La riforma della Giustizia: gli interventi sulla durata dei processi saranno efficaci?

La riforma della Giustizia: gli interventi sulla durata dei processi saranno efficaci?

Le criticità del settore giustizia sono, purtroppo, esperienza diretta della maggior parte dei cittadini. Quasi tutti noi, almeno una volta, ci siamo dovuti confrontare con la cavillosità del sistema giudiziario, con difficoltà nell’orientarsi tra normative non coordinate tra di loro e di non uniforme interpretazione o, ancora, abbiamo avuto prova della elefantiaca lentezza dei processi. 

Proprio quest’ultimo aspetto ha acquistato, negli anni, connotati di preoccupante gravità, condizionando con note di disvalore l’efficacia del sistema giudiziario, ritenuto troppo spesso non rispondente ai bisogni sociali ed economici del Paese ed incapace di positivizzare il confronto costi/benefici.
La società ha, infatti, bisogno di regole di convivenza dall’ermeneutica certa e di efficace applicazione, esigenza basilare per qualsiasi comunità di ieri, di oggi e di domani, esigenza che affonda la propria origine nel pensiero degli antichi che già lo declinavano col brocardo ubi societas, ibi ius e che, all’inizio della vita repubblicana, il Calamandrei ha icasticamente espresso coniando l’espressione “fede nel diritto”, titolo di un suo celebre saggio.
E certamente non è stata e tuttora non è valida soluzione al problema la specifica azione giudiziaria prevista per censurare la subita violazione dei termini ragionevoli del processo, palliativo che garantisce un mero (e tardivo) risarcimento pecuniario per equivalente e che, peraltro, produce il deleterio effetto di ingolfare il ruolo dei Giudici di ulteriori nuovi fascicoli che si sommano all’arretrato preesistente.
Corretto, pertanto, prevedere un intervento preventivo che cerchi soluzioni per una più rapida definizione del pregresso e per una razionalizzazione in chiave limitativa dei nuovi carichi.
Ma è ragionevole disincentivare l’accesso alla giustizia aumentandone i costi di accesso, ossia quelle spese vive che vanno allo Stato sotto forma di contributi unificati, marche da bollo e tasse di registro? La risposta potrebbe anche, eventualmente, essere positiva se quel quod in più andasse ad incrementare l’organico tecnico (Giudici) e di supporto (cancellieri) o a creare un istituto premiale per il personale giudiziario laddove vi sia reale produttività. Invece, si assiste ad una scelta legislativa di tendenza diversa, che dissuade dal contenzioso tradizionale attraverso sanzioni fortemente punitive sotto il profilo economico a carico di chi soccomba in primo grado e la previsione di un filtro rigoroso ai gravami, come se la riforma sottendesse comune la pratica di processi dilatori e pretestuosi, con un implicito disvalore per la categoria forense. A ciò si aggiunge, poi, la devoluzione a riti semplificati di quelle controversie che vengono ritenute di facile trattazione (che, poi, quali siano è difficile dirlo a priori, non costituendo una categoria così facilmente individuabile, come insegna l’esperienza di chi lavora quotidianamente in questo ambito).
L’altra corrispettiva faccia della medaglia è rappresentata dall’aumento dei Giudici non togati e dalla promozione dei riti alternativi al contenzioso che, tanto praticati in altre realtà giuridiche, sono, però, ancora lontani dalla mentalità giuridica degli operatori del diritto italiani e, per questo, destinati ad essere inefficaci. Non si tratta di essere critici a priori, ma semplicemente realisti, guardando alla recente esperienza della mediazione che, fortemente avversata dalla categoria, dichiarata incostituzionale e nuovamente reintrodotta per legge, non ha portato benefici, ma solo aggravi procedurali e di costi per il cittadino, costretto dalla legge ad intraprendere un percorso che il proprio patrocinatore - purtroppo spesso - considera solo necessitata condizione di procedibilità per il successivo accesso alla giustizia.
Forse occorre solo tempo per lo svilupparsi di una diversa forma mentale, tanto più che i meccanismi di definizione del contenzioso fuori dalle aule di giustizia non sono mai stati estranei alle originarie previsioni normative codicistiche, come dimostrano, ad esempio, gli istituti dell’arbitrato e della transazione accomunati dalla seria volontà delle parti di trovare un’intesa o i tentativi di conciliazione previsti per numerose controversie settoriali, tutti caratterizzati dalla elevata specializzazione dell’organo cui viene devoluta la lite.
E, forse, è proprio questa la caratteristica su cui dovrebbe puntare una efficace riforma della giustizia: la comprovata specializzazione dell’organo giudicante – sia esso togato o meno – potrebbe essere una parte importante della soluzione al problema.  

Avv. Giosetta Pianezze

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