Separazioni e divorzi: rivoluzione in vista? Dubbi...

Separazioni e divorzi lampo dall’avvocato ed in Comune: è davvero semplificazione ed accelerazione? Da tempo si sente parlare della necessità di semplificare ed accelerare le procedure di regolamentazione della crisi di coppia. Negli ultimi anni sono state presentate in Parlamento numerose proposte dai contenuti più disparati. La più nota concerne la riduzione del periodo che deve intercorrere tra separazione e divorzio che, attualmente pari a tre anni, si vorrebbe limitare ad uno solo. Ma si tratta ancora di mero disegno parlamentare, attualmente all’esame della Commissione Giustizia al Senato. Invece, nei giorni scorsi, con il D.L. 12.09.2014 n. 132, è diventato legge l’input accelerativo al rito separatizio e divorzile. O, almeno, è ciò che si apprende dalle fonti di informazioni che evidenziano il superamento della complessa procedura giudiziale, potendo, oggi, lo scioglimento del vincolo affettivo trovare definizione negli studi degli avvocati o, addirittura, con semplice dichiarazione raccolta dall’Ufficiale dello Stato Civile.

Ma è davvero così?

La lettura per esteso e ragionata del provvedimento in questione mostra una innovatività solo apparente. Vediamo perché.

La snella procedura proposta dal D.L. 132/2014 presuppone una limitata litigiosità tra marito e moglie, acredine che, però, evidentemente, la classe forense già ben sapeva smussare ante riforma con adeguati interventi mediativi se le statistiche hanno registrato, nell’anno 2012, l’85,4% delle separazioni ed il 77,4% dei divorzi consensuali. Ciò significa che, nella quasi totalità delle cause di famiglia, le parti si sono presentate avanti al Giudice con una proposta di accordo già raggiunta attraverso i rispettivi legali, proposta che l’Autorità Giudiziaria si è limitata a confermare, previa valutazione della sua conformità a legge e salva verifica della sua rispondenza agli interessi della eventuale prole.

Dunque, sotto tale profilo poco cambia, se non dal punto di vista procedurale. Ora, infatti, separazioni, divorzi e procedure di modifica delle condizioni di separazione e divorzio (dunque, non lo scioglimento dei rapporti affettivi tra conviventi) possono essere definiti con accordo consensuale assunto avanti il legale – come già prima uno per parte o anche uno solo per entrambe le parti - che si sostituisce al Giudice nella valutazione di rispondenza a diritto delle intese raggiunte. Si tratta della cosiddetta convenzione di negoziazione assistita che l’avvocato, entro tassativi giorni dieci dalla redazione, trasmette per le necessarie annotazioni all’Ufficiale dello Stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, ultima fase della procedura.

L’iter dianzi descritto resta, comunque, opzionale e, quindi, alternativo all’ordinaria azione giudiziale che, peraltro, permane l’unica strada percorribile laddove la coppia in crisi abbia prole minorenne, figli maggiorenni ma non ancora economicamente autosufficienti o, ancora, maggiorenni incapaci o portatori di handicap. E statisticamente l’esperienza dell’avvocato insegna che, nell’ambito del diritto di famiglia, la giustizia viene maggiormente adita proprio laddove siano da regolamentare gestione, frequentazione e mantenimento dei figli nella diversa situazione di nucleo genitoriale disgregato.

Parimenti, è abbastanza frequente la necessità di disciplinare trasferimenti patrimoniali. Pertanto si può ipotizzare alquanto limitato il ricorso all’altra procedura introdotta dal D.L che permetterà la cessazione del rapporto con mera dichiarazione raccolta dall’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di iscrizione/trascrizione del matrimonio solo alla duplice condizione dell’assenza di beni da dividere e di figli da tutelare. Se ne parla al futuro, poiché essa sarà operativa solo trenta giorni dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge.

Rammentiamo, infatti, che i provvedimenti qui esaminati sono recati da legislazione d’urgenza – il decreto legge – che potrebbe decadere in assenza di sua conversione entro sessanta giorni dalla pubblicazione, intervenuta il 12 settembre. La decadenza recherebbe con sé la perdita di efficacia delle disposizioni ivi contenute e la conseguente mancanza del supporto legale degli atti compiuti in sua attuazione, salvo leggi di sanatoria o reiterazioni.

Ciò conduce a riflettere sull’opportunità di affidare a decretazione d’urgenza un tema così delicato qual è la crisi di coppia, che involge questioni che vanno ben al di là del mero aspetto giuridico. I tempi della separazione legale non coincidono con quelli - decisamente più lunghi - della separazione emotiva, fatta di graduale distacco affettivo, rielaborazione dell’abbandono e ricostruzione di una progettualità di vita senza il partner . Tant’è che ben sanno gli avvocati quanto permanga forte il conflitto nei primi periodi del post-separazione e quanto sia utile la contemporanea presenza di Giudici, avvocati e consulenti ausiliari quali psicologi, mediatori, assistenti sociali sia per regolare la disgregazione del nucleo familiare, che per supervisionare l’altrettanto importante momento di assimilazione del ritorno a dimensione individuale, non più parte della coppia.

Da ultimo, una riflessione sull’impatto psicologico della riforma: far cessare il matrimonio con la semplicità di una dichiarazione è davvero la giusta risposta all’ammirevole ricerca di riduzione del contenzioso legale o conduce, piuttosto, a sminuire il valore della progettualità di una vita insieme suggellata, essa sì, da rito solenne, espressione del valore della famiglia che ben dovrebbe animare tutti, sia chi possegga un’impostazione religiosa, sia chi segua una visione laica?

avv. Giosetta Pianezze, avvocato in Mondovì (Cn) e Torino

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La riforma della Giustizia: gli interventi sulla durata dei processi saranno efficaci?

Le criticità del settore giustizia sono, purtroppo, esperienza diretta della maggior parte dei cittadini. Quasi tutti noi, almeno una volta, ci siamo dovuti confrontare con la cavillosità del sistema giudiziario, con difficoltà nell’orientarsi tra normative non coordinate tra di loro e di non uniforme interpretazione o, ancora, abbiamo avuto prova della elefantiaca lentezza dei processi. 

Proprio quest’ultimo aspetto ha acquistato, negli anni, connotati di preoccupante gravità, condizionando con note di disvalore l’efficacia del sistema giudiziario, ritenuto troppo spesso non rispondente ai bisogni sociali ed economici del Paese ed incapace di positivizzare il confronto costi/benefici.
La società ha, infatti, bisogno di regole di convivenza dall’ermeneutica certa e di efficace applicazione, esigenza basilare per qualsiasi comunità di ieri, di oggi e di domani, esigenza che affonda la propria origine nel pensiero degli antichi che già lo declinavano col brocardo ubi societas, ibi ius e che, all’inizio della vita repubblicana, il Calamandrei ha icasticamente espresso coniando l’espressione “fede nel diritto”, titolo di un suo celebre saggio.
E certamente non è stata e tuttora non è valida soluzione al problema la specifica azione giudiziaria prevista per censurare la subita violazione dei termini ragionevoli del processo, palliativo che garantisce un mero (e tardivo) risarcimento pecuniario per equivalente e che, peraltro, produce il deleterio effetto di ingolfare il ruolo dei Giudici di ulteriori nuovi fascicoli che si sommano all’arretrato preesistente.
Corretto, pertanto, prevedere un intervento preventivo che cerchi soluzioni per una più rapida definizione del pregresso e per una razionalizzazione in chiave limitativa dei nuovi carichi.
Ma è ragionevole disincentivare l’accesso alla giustizia aumentandone i costi di accesso, ossia quelle spese vive che vanno allo Stato sotto forma di contributi unificati, marche da bollo e tasse di registro? La risposta potrebbe anche, eventualmente, essere positiva se quel quod in più andasse ad incrementare l’organico tecnico (Giudici) e di supporto (cancellieri) o a creare un istituto premiale per il personale giudiziario laddove vi sia reale produttività. Invece, si assiste ad una scelta legislativa di tendenza diversa, che dissuade dal contenzioso tradizionale attraverso sanzioni fortemente punitive sotto il profilo economico a carico di chi soccomba in primo grado e la previsione di un filtro rigoroso ai gravami, come se la riforma sottendesse comune la pratica di processi dilatori e pretestuosi, con un implicito disvalore per la categoria forense. A ciò si aggiunge, poi, la devoluzione a riti semplificati di quelle controversie che vengono ritenute di facile trattazione (che, poi, quali siano è difficile dirlo a priori, non costituendo una categoria così facilmente individuabile, come insegna l’esperienza di chi lavora quotidianamente in questo ambito).
L’altra corrispettiva faccia della medaglia è rappresentata dall’aumento dei Giudici non togati e dalla promozione dei riti alternativi al contenzioso che, tanto praticati in altre realtà giuridiche, sono, però, ancora lontani dalla mentalità giuridica degli operatori del diritto italiani e, per questo, destinati ad essere inefficaci. Non si tratta di essere critici a priori, ma semplicemente realisti, guardando alla recente esperienza della mediazione che, fortemente avversata dalla categoria, dichiarata incostituzionale e nuovamente reintrodotta per legge, non ha portato benefici, ma solo aggravi procedurali e di costi per il cittadino, costretto dalla legge ad intraprendere un percorso che il proprio patrocinatore - purtroppo spesso - considera solo necessitata condizione di procedibilità per il successivo accesso alla giustizia.
Forse occorre solo tempo per lo svilupparsi di una diversa forma mentale, tanto più che i meccanismi di definizione del contenzioso fuori dalle aule di giustizia non sono mai stati estranei alle originarie previsioni normative codicistiche, come dimostrano, ad esempio, gli istituti dell’arbitrato e della transazione accomunati dalla seria volontà delle parti di trovare un’intesa o i tentativi di conciliazione previsti per numerose controversie settoriali, tutti caratterizzati dalla elevata specializzazione dell’organo cui viene devoluta la lite.
E, forse, è proprio questa la caratteristica su cui dovrebbe puntare una efficace riforma della giustizia: la comprovata specializzazione dell’organo giudicante – sia esso togato o meno – potrebbe essere una parte importante della soluzione al problema.  

Avv. Giosetta Pianezze

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