Dalle Salomone all'Ucraina

Dalle Salomone all'Ucraina

        Il bombardamento di notizie sull’attuale guerra in Ucraina sempre più offusca e distorce il suo scenario di fondo e le sue vere ragioni.

        Per quanto ciò a prima vista possa apparire paradossale, le vicende che ruotano attorno a un signore chiamato Manasseh Sogavare e che vive a 13.500 chilometri dall’Ucraina offrono una lente più attendibile della dilagante ipocrisia e demenziale irresponsabilità che sta affliggendo l’Europa.

        Il suddetto signore è in realtà il Primo Ministro delle Isole Salomone (fra cui la famosa Guadalcanal), sperdute nel Pacifico e abitate da circa 700.000 anime. Nel 2019 il minuscolo Stato interruppe il suo rapporto diplomatico con Taiwan e stabilì relazioni ufficiali con la Cina. Le notizie del progetto di un patto di sicurezza e di concessione di scali costieri per rifornimenti e provviste della marina militare cinese – la stipulazione dell’accordo è nelle sue fasi finali – hanno mandato in tilt ben tre capitali, da Washington a Canberra a Wellington, preoccupatissime per “la sicurezza della regione” (sic). Tale fu la preoccupazione di Washington che il servizievole Mike Pence – a questo servono i Vice-Presidenti – fu inviato immantinente alla capitale Honiata per far presente al signor Sogavare che gli Stati Uniti non gradivano la mossa. Il viaggio di Mike Pence non diede i risultati sperati e adesso le Isole Salomone e la Cina si apprestano a siglare il malvisto accordo. Nel frattempo, il Ministro della difesa australiano, Peter Dutton, ha dichiarato che pur rispettando la sovranità delle Salomone, l’accordo tradisce “le mire aggressive della Cina nella regione”(sic). Per concludere sul signor Sogavare, è bene ricordare che le Salomone distano 3300 chilometri dall’Australia e 7500 dagli Stati Uniti.

       Trasportiamoci adesso in Europa.

       Gli Stati Uniti, che si preoccupano della concessione di alcune stazioni di rifornimento alla flotta cinese in isole distanti ben 7500 chilometri dalle loro coste, hanno 100.000 soldati in Europa, inviano mastodontiche quantità di armi all’Ucraina e possiedono un centinaio di super-agguerrite basi militari nel solo continente europeo - bombe atomiche incluse - senza contare le basi in Turchia e in Gran Bretagna e le altre centinaia nel resto del mondo. Da notare che la distanza fra New York e Mosca è di 7.500 chilometri. In quanto all’Australia, che dista ben 14.500 chilometri dalla Russia, il Premier Morrison tuona contro Putin e  si è precipitato ad inviare anche lui armi all’Ucraina.

       Cosa si deduce da queste clamorose contraddizioni? Non contenti di considerare l’intera America del sud off-limits (vedi la dottrina Monroe), gli Stati Uniti sembrano considerare anche il Pacifico (che è piuttosto grande) come un loro lago privato e sono anche riusciti a trasformare l’Europa in una docile fantesca, a cui prescrivono con chi può tenere relazioni, da chi può comprare le cose che le servono per sopravvivere e per di più obbligata ad ospitare per l’eternità la loro ingombrante presenza.

       Il preambolo potrà sembrare inusuale, ma è di certo di gran lunga più realistico e ancorato alla realtà delle farneticanti proiezioni riguardo alle vicende attuali. Fra di esse primeggiano quella secondo cui “la Russia è una minaccia per  l’Europa”e quella che vede Putin desideroso ripristinare “l’Impero degli zar”. Un minimo di buon senso e di  elementari nozioni di storia e geografia suggerisce che si tratta di scempiaggini. L’ossessivo e martellante oratorio delle supposte atrocità commesse solo dai “cattivi”, cioè, sempre e solo dai Russi, senza però effettive investigazioni indipendenti e neutrali, contribuisce a rendere ancora più fosco il nemico. Ovvero, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Ogni volta che il Manicheismo impera, c’è da sospettare.

        Quando quindi uno degli incendiari più accaniti del caos attuale nonché cortigiano laureato, e cioè, Jens Stoltenberg, afferma con sicumera che “il Nord America e l’Europa devono lavorare uniti per la nostra comune sicurezza”, egli sta legittimando le pretese americane di considerare anche l’Europa come una zona dove può essere minacciata la propria sicurezza. L’impudenza del richiamo alla “sicurezza”, con postazioni missilistiche alle porte della Russia, e l’allarme degli USA per delle stazioni di scalo in affitto ai Cinesi, a 7500 chilometri di distanza dalle coste americane, è praticamente indefinibile.

       In questa cornice di disinvolta ipocrisia, i vari leader – la summenzionata fantesca – non sembrano rendersi conto che il continuo afflusso di armi all’Ucraina serve solo a incattivire gli animi dalle due parti e a prolungare la guerra. Tutto suggerisce che il prolungamento della guerra sia in realtà strumentale alla strategia americana. Ogni giorno che passa, diventa infatti sempre più chiaro che il vero scontro non è fra Russia e Ucraina ma fra Stati Uniti e Russia. Lo scopo è quello di annichilire quest’ultima. Perché? Se fosse perché gli Stati Uniti sono una nazione democratica e invece la Russia una nazione autoritaria, ci sarebbe solo da ridere.

      L’irresponsabile e scervellata frenesia sanzionistica che imperversa oggi in Europa, promossa  e sostanzialmente pretesa dagli Stati Uniti,  ne è la prova lampante. Il fatto che l’opinione comune stia in genere assorbendo senza un pizzico di critica e di perplessità questo torrente di menzogne, di deformazioni e di malafede la dice lunga sul livello di plagio collettivo in atto. Il masochismo dell’Europa e l’insistenza con cui i suoi supposti leader ma anche individui come il Consigliere per la Sicurezza Nazionale americano, Jack Sullivan, pretendono di descrivere Putin come un genio maligno e la Russia come un pariah mondiale, campione di atrocità e efferate crudeltà, sono semplicemente incredibili. Quest’ultimo in particolare, assieme al suo collega Segretario di Stato, dimentica con disinvoltura i disastri e le stragi ad opera degli USA praticamente in ogni parte del mondo. Che adesso Joe Biden accusi la Russia di genocidio costituisce un insulto all'intelligenza. Farebbe bene a chiedere a Noam Chomsky cosa pensa dei crimini commessi dai Presidenti americani da Eisenhower in poi.

      Addirittura, in un crescendo di surreale irresponsabilità, si odono voci di possibile ingresso nella NATO anche di Svezia e Finlandia e di aumento di truppe ai confini con la Russia. Il colmo della paranoia. Come dire che l’accerchiamento deve proseguire. Cose da pazzi. Pochi si rendono conto che tale protervia minaccia di avere conseguenze imponderabili. E’ tipico.

       Del resto, anche le ricadute economiche di questo vortice senza controllo sono ormai sempre più visibili. Ovviamente, esse non colpiranno i vari cortigiani e improbabili leader che da Bruxelles ma anche da Londra moltiplicano le sanzioni e l’invio di armi in Ucraina. I loro stipendi gli consentono di non avere problemi per il rincaro energetico e dei generi di prima necessità. Colpiranno il resto della popolazione, ovvero il 99,% dell’Europa. C’è qualcuno che se ne preoccupa? Pare di no, a parte isole di moderazione e buon senso come l’Ungheria. L’atteggiamento di Bruxelles nei confronti di quest’ultima la dice lunga sulla saggezza politica e sulla mentalità di chi gestisce la UE. Esso costituisce un esempio delle tendenze ormai sempre radicate a Bruxelles. Dichiarare “vergognosa”, come ha fatto Ursula von der Leyen, la legge ungherese che proibisce l’inclusione dell’omosessualità nei programmi scolastici, il relativo congelamento di 7 miliardi di euro di aiuti per il Covid a causa di tale legge e le affermazioni del Primo Ministro Olandese, secondo cui “non vi è posto nella UE per l’Ungheria”, illustrano il grado di totalitarismo travestito da liberalismo che dilaga sempre più sfrontato. In realtà, un’unione coatta, fondata sul vassallaggio e su diktat ai membri anche in questioni di educazione rischia di provocare fratture poco rimediabili.  

        Uno dei problemi di fondo della UE è l’emergere dell’intolleranza e del moralismo da strapazzo, di un piegarsi alle mode – anche il plauso dell’omosessualità è diventato una moda e guai a chi non si associa – e in generale lo scollamento fra la retorica e i reali problemi dell’Europa. Si badi, dell’Europa e non della NATO, ovvero del “collare” atlantico.

        Un altro, non meno fatale, è infatti l’aberrante sovrapposizione, ormai interscambiabilità e identificazione della UE con la NATO.  Si tratta di un veleno, di  un madornale e demenziale errore, che nulla di buono ha regalato all’Europa, salvo una sudditanza sempre più controproducente e miseranda, e adesso un conflitto che l’Europa pagherà sempre più caro e le cui ramificazioni superano di gran lunga l’Ucraina. L’Europa sta buttando a mare il suo futuro di indipendenza e nuovi orizzonti strategici a causa della mancanza di visione e di coraggio nello sganciarsi da una tutela soffocante e settuagenaria. La stessa Ucraina si è lasciata plagiare da una classe dirigente miope o velleitaria e da strategie di strumentalizzazione. Risultato: sia l’una che l’altra stanno sempre più affondando in un disastroso pantano. E il comodo e facile capro espiatorio è la Russia…

       Non c’è da consolarsi se tale madornale errore è esattamente speculare a quello degli Stati Uniti, patologicamente afflitti da una sbornia egemonica e da un’inguaribile Russo-fobia. La cosa più sorprendente è che proprio una legione di eminenti Americani abbia cercato, invano, di dissuadere le varie Amministrazioni da questa sindrome obsoleta e paranoica, utile solo ai grandi fabbricanti di armi. Questi Americani, che non erano e non sono affatto comunisti, socialisti o anarchici, ma anzi fervidi patrioti, fanno onore agli Stati Uniti e sono da ammirare. Non esistono voci analoghe in Europa. E questo è triste. Il risultato di  tale ostinazione anti-russa è adesso l’avvicinamento Russia-Cina e forse anche dell’India. Non è un caso che alti dignitari americani ma anche britannici e russi abbiano visitato l’India nelle ultime settimane - Modi ha però ricevuto solo quello russo - e che a Washinton si siano incontrati questi giorni i rispettivi ministri degli esteri e della difesa dei due Paesi e sia avvenuto un incontro virtuale fra Joe Biden e Narendra Modi. Se lo scopo era quello di ridurre gli acquisti indiani di petrolio russo e insomma di scollare l’India dalla Russia, le taglienti dichiarazioni di Jaishankar – “l’Europa acquista in un pomeriggio dalla Russia ciò che l’India acquista in un mese” – mostrano che l’India non ha nessuna intenzione di piegarsi agli inviti americani in materia. Di fronte alla non inverosimile prospettiva di una possibile triplice alleanza asiatico-russa diventa quindi ancora più incomprensibile come l’Amministrazione di Washington non riesca a togliersi l’intossicante ed arcaica camicia russo-fobica e lasci perdere schemi che da decenni hanno perduto di significato, cosa che, tradotta, vorrebbe dire sbarazzarsi della NATO e trasformare la Russia in un prezioso alleato.

       In realtà, con tutti i suoi difetti da dilettante e da imprenditore in odore mafioso, almeno Trump aveva un senso più pratico delle cose: non credeva nella NATO e non vedeva in Putin “il nemico” per eccellenza. Il suo successore, al contrario, sta dando prova di una pericolosa ostinazione nel colpire la Russia, fra l’altro adesso acuita non solo dal suo visibile declino fisico e cognitivo ma anche dalle indagini a livello federale che riguardano le ambigue e ormai documentate transazioni per milioni di dollari del figlio Hunter e del fratello James, avvenute durante la sua vice-presidenza e guarda caso con partner ucraini, russi e cinesi!.

        Se uno guarda alla sequenza temporale degli eventi, una coincidenza sembra indiscutibile: il caos ucraino, la battaglia delle sanzioni, la frenesia armigera di Washington esplodono con la presidenza di Joe Biden. Non prima. Non a questi livelli. La sua sempre più livida crociata contro Putin aumenta inoltre man mano che si abbassa il suo indice popolare di gradimento e stampa e autorità federali intensificano le investigazioni sulle transazioni finanziarie della famiglia.  Può sembrare una fantasia romanzesca, ma la coincidenza rimane.

       In conclusione, solo un ascesso di Russo-fobia? Un declino psico-somatico? Un tentativo di distogliere l'attenzione dalla galoppante inflazione e rincaro dei prezzi e quindi riguadagnare il favore popolare in vista delle prossime elezioni di medio termine? Oppure una fuga in avanti riguardo a possibili trascorsi familiari ucraini?

       Difficile dirlo. L’escalation degli eventi suggerisce che gli autori e co-autori di questo caos sono ormai prigionieri di un vortice che sta diventando sempre più incontrollabile e sempre più pericoloso.

Antonello Catani,  13 aprile 2022

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