I dilettanti allo sbaraglio

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Come noto, Ursula von der Leyen si è recata a Kiev per annunziare la concessione di un nuovo prestito di 35 miliardi di Euro, non ancora ratificato dal Consiglio della UE ma comunque attinto ai proventi dei fondi russi congelati. Il prestito in questione sarebbe utilizzato per sopperire a emergenze energetiche e per l'acquisto di nuovi armamenti. La signora in questione, che non si capisce come abbia potuto essere rieletta (per altri 5 anni!) dopo i disastri combinati (per esempio, le ossessive sanzioni boomerang anti-russe o la masochistica politica immigratoria) non ha speso una parola per invocare soluzioni diplomatiche. Segue le orme dell'arruffone Boris Johnson, che si recò precipitosamente a Kiev per dissuadere Zelensky dall'intavolare trattative di pace. In altre parole, continua l'alimentazione della demenziale guerra ucraina e l'inspiegabile legittimazione di un personaggio che non è più presidente dal 20 maggio. Sembra che l'obiettivo sia combattere la Russia fino all'ultimo ucraino. Le reali cause del conflitto, e cioè, la dissennata e proterva espansione della NATO senza nessun motivo o provocazione e percepita quindi dai Russi come una minaccia esistenziale, sono disinvoltamente ignorate dai vari supposti responsabili politici e dai pappagalli mediatici. Al contrario, vengono alimentate le favole di imminenti invasioni russe di mezza Europa e aumentano gli incitamenti a difendersi e ad armarsi. L'isteria guerrafondaia cresce sempre più.

Non è ben chiaro se si tratta di irresponsabilità, di cretinismo o di pura follia. Rimane il fatto che ogni giorno che passa il rischio di catastrofiche conseguenze aumenta assieme al numero dei morti inutili in Ucraina, mercenari compresi. Mentre voci più sagge, che vengono ironicamente dagli Stati Uniti (vedi i vari Mearsheimer, Sachs, etc.) denunciano la paranoia anti-russa americana, anche in Europa sembra che tutti facciano a gara per prolungare la guerra, compresa la Gran Bretagna, che anziché occuparsi dei suoi problemi interni (che sono molti) continua a comportarsi come se l'Ucraina fosse una parte del Regno Unito. Non solo, ma il nuovo Primo Ministro si è recato a Washington per perorare con Joe Biden, per il momento senza successo, l'utilizzo di razzi a lunga gittata verso l'interno della Russia. Dietro la proposta vi è la convinzione che tanto i Russi starebbero solo "bluffando"quando minacciano pesanti ritorsioni nei confronti dei Paesi che forniscono armi all'Ucraina. Le giustificazioni che l'Ucraina ha il diritto di difendersi fanno comunque a pugni col fatto che le armi sono tutte appositamente fornite da Paesi terzi il cui obiettivo è quello di colpire e indebolire la Russia senza però sporcarsi le mani. L'ipocrisia e il cinismo sono lampanti. La parziale spiegazione di tanta sollecitudine britannica è che Londra è diventata una fedele ancella di Washington, mentre Bruxelles fa da cameriera. In entrambi i casi, si sottovalutano non solo la pazienza ma anche le capacità militari della Russia. A questo proposito, è significativo che, questi giorni, proprio l'ex Cancelliere tedesco Schroeder abbia invitato chi favoleggia di vittorie sulla Russia a leggere qualche libro di storia e a fare attenzione. Egli ha inoltre confermato, se mai ce ne fosse bisogno, che il quasi raggiunto accordo di risoluzione del conflitto nel 2022 a Istanbul naufragò a causa dell'ostilità di entità nazionali che speravano che il proseguimento della guerra avrebbe indebolito la Russia e provocato un cambio di regime. Non ci vuole molto a capire che dietro le entità nazionali vi erano appunto la Gran Bretagna del già citato Boris Johnson e l'amministrazione di Washington. Visto che le affermazioni provengono da Schroeder e non dalla Tass, risulta arduo definirle propaganda. I ripetuti moniti di Joe Biden riguardo alle forniture di gas russo a buon mercato all'Europa, poi materializzatasi nel sabotaggio al gasdotto, costituisce una monumentale prova che il danneggiamento della Russia doveva avvenire anche a costo di mettere in ginocchio l'Europa sotto il profilo energetico, cosa infatti poi accaduta.

Chi quindi parla di vittoria, come fa ora Zelensky, che si è recato a Washington appunto per illustrare il suo "piano di vittoria", vive in un mondo fantastico ma pericoloso per gli altri. Nel caso di quest'ultimo, stupisce come egli venga ancora trattato come un "Presidente", visto che il suo mandato è ufficialmente scaduto da mesi. La scusa dello "stato di corte marziale "che non prevede elezioni è perlomeno pietosa. Ancora più stupisce come i suoi compiacenti interlocutori sottovalutano ciò che appare sempre più evidente a una spassionata osservazione dei comportamenti e dello stesso aspetto fisico del personaggio. La sua eterna maglietta verde tradisce il suo background di ex uomo di teatro che peraltro continua a fare impunemente teatro. Il volto sempre più torvo e lo sguardo cupo richiamano le foto segnaletiche dei tipici ricercati di turno. A parte questi elementi figurativi, il bavaglio ai partiti dell'opposizione e alle tv private assieme alle minacce alla chiesa ortodossa e ai monasteri sono esempi dello stile democratico del personaggio. Ancora, l'insistenza con cui Zelensky continua a chiedere armi e denaro (dalle destinazioni fumose) e a inviare al fronte giovani imberbi e non addestrati ricorda analoghi comportamenti di altri leader in divisa militare durante la II Guerra mondiale. Si sa che fine fecero le divisioni lanciate allo sbaraglio dalla Germania e dall'Italia in Russia. Bisognava farsi ammazzare (vedi Stalingrado e le sciagurate divisioni russe di Mussolini). Paradossalmente, egli assomiglia in questo al generale ceceno Alaudinov, che ha recentemente rimproverato i soldati ceceni caduti prigionieri degli Ucraini di non essersi fatti uccidere eroicamente (sic). Non si sa chi dei due è peggiore. In ogni caso, i disastri militari vengono regolarmente imputati da Zelenski ad altri. Vale insomma il detto "il capo "non sbaglia mai. E' sempre colpa di qualcun altro. Il travestimento della realtà si estende inoltre dalla maglietta anche al numero dei morti.

Secondo Zelensky, essi sarebbero solo 31.000, mentre tutto suggerisce come il numero reale abbia ormai superato i 600.000. Se ciò non fosse, non si capisce perché l'Ucraina abbia un problema di reclutamento. Le rimozioni sempre più numerose di funzionari e anche di generali sono quindi un corollario del rifiuto di assumere ogni responsabilità sopra menzionato. Alle rimozioni seguono piani e progetti che capovolgerebbero la situazione, come quello catastrofico di Kurks (costo 16.000 morti) e ora il sedicente "piano di vittoria" con Biden. Anche in questo caso, non mancano preimpostate astute autodifese. Secondo Zelenski, infatti, condizione essenziale che il piano funzioni è che nuovamente sempre altri (EU e Stati Uniti) si uniformino alle sue richieste, una delle quali è la fornitura di armi a lunga gittata e il permesso di colpire l'interno della Russia. L'auto-difesa è insomma già predisposta: se il piano non funziona, la colpa non è sua. Una mitomania e una furberia da ciarlatano. In altre parole, ci troviamo di fronte a un dissimulato psicopatico, pericoloso per i suoi concittadini ma anche per il resto dell'Europa. Quanti morti deve ancora costare?

La cosa sconcertante è quindi come, nonostante ciò, egli continui ad essere ricevuto, ascoltato, e a ricevere sussidi in ami e denaro e a incitare le nazioni europee ad affrontare la Russia. Nel frattempo, voci sempre più numerose alludono alle curiose ricchezze dell'individuo, tipo la villa da 4.5 milioni di Euro intestata a una sedicente San Tommaso SRL dietro cui secondo alcuni vi sarebbe la moglie. Ma ovviamente si tratta solo di un iceberg. Ritornando ora allo scenario più generale, non ci sono parole per commentare adeguatamente le devastanti conseguenze che la politica di Washington ha avuto per l'Europa in particolare sotto l'infelice mandato di Joe Biden, complici le centinaia di "comparse" dei sedicenti Consigli d'Europa o della Commissione presieduta dalla signora sopra menzionata. La crisi economica della Germania è solo uno degli effetti della vergognosa sudditanza europea che ha demonizzato la Russia come non era accaduto neanche al tempo dei Bolscevichi, ha privato l'industria europea di energie a buon mercato (il gas russo così inviso a Washington al punto da far saltare in aria il gasdotto). La perversa e incestuosa sovrapposizione UE-NATO, ha scatenato sanzioni boomerang, provocato lo sperpero di centinaia di miliardi di armi andate a finire male e di denaro andato a finire in tasche non meglio identificate. E' semplicemente incredibile che decine di nazioni siano docili vittime delle ossessioni egemoniche di uno Stato da cui le separano migliaia di chilometri di oceano.

Il citato John Mearsheimer, lucido critico della politica estera americana, ha ascritto le suddette tendenze a un messianico progetto di estendere il conclamato liberalismo statunitense a tutto il pianeta. Non bisogna infatti dimenticare che nel DNA nazionale scorre sangue di ardenti "pellegrini" eredi di violente faide religiose. Mentre Mearsheimer è un uomo di grande intelligenza e serietà, egli ha tuttavia omesso di prendere in considerazione altri fattori nascosti dietro le quinte. Uno è quell'entità nebbiosa e opaca che passa sotto il nome di "Military-industrial complex". L'altro è il ruolo sempre più autonomo, sovversivo e planetario della CIA, a suo tempo istituita da Truman come semplice agenzia di informazioni ma poi diventata anche un tentacolare braccio operativo. Un altro, forse il più importante è che la moderna tecnologia rende fatalmente vicine entità statali un tempo separate da invalicabili oceani e deserti e perciò tali da non potersi scontrare. A loro tempo, anche l'Impero romano o quello cinese, per esempio, avevano aspirazioni egemoniche. La geografia, i deserti e il cammello impedirono loro di scontrarsi. Esistevano insomma vari centri di potere ma tutti distanti uno dall'altro. E quando erano vicini, come lo erano per esempio i Germani o i Parti all'impero romano, rovinose batoste frenarono l'espansione di Roma (vedi il povero Varo e Crasso, entrambi fatti fuori ingloriosamente).

Il problema degli Stati Uniti è che dopo la caduta dell'Unione Sovietica l'élite dirigente americana si illuse di poter essere l'unico egemone planetario, non rendendosi conto che esistevano anche altri candidati o comunque co-egemoni regionali, dalla Cina alla Russia all'India fino all'Iran o al revanscismo turco di questi giorni. Adesso, nonostante sia sempre più evidente che il regime di Kiev è in realtà un fantoccio pilotato da Washington, che non solo la Russia non è crollata (come gli esperti scommettevano) ma rischia al contrario di occupare molto più territorio ucraino di quanto in fondo si fosse prefissa, i risultati delle suddette illusioni americane e del servilismo europeo sono a dir poco disastrosi. La paranoica russofobia ha precipitato e innescato inaudite e discutibili amicizie o alleanze, magari anche solo tattiche (vedi quella fra Russia e Iran e Nord Corea o il BRICS) che stanno sconvolgendo il vecchio ordine geopolitico. Nel frattempo, l'irresponsabilità dei dilettanti bellicosi dalla Manica alla Finlandia rischia di innescare un conflitto nucleare. Come facciano le varie capitali che hanno favorito il pasticcio a sottovalutare tali rischi è incomprensibile.

Antonello Catani, 25 settembre 2024

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Uk: masochismo immigratorio e totalitarismo travestito

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Un’ondata di agitazioni e violente proteste sta sconvolgendo numerose città del Regno Unito da Londra a Belfast. Secondo il primo ministro britannico, Sir Keir Starmer, esse sarebbero “opera di thugs di estrema destra e di razzisti.” (sic). Come si sa, l’etichetta “estrema destra “è da tempo diventata l’arma demonizzante di qualsiasi atteggiamento o opinione che non siano allineati al conformismo imperante, alias nuovo fascismo travestito

      Le suddette accuse del nuovo Primo Ministro britannico, miopi e pretestuose, sembrano inaugurare una gestione governativa ancora più fallimentare della precedente. Per quanto inetti, i Conservatori non avevano almeno esibito analoghe tendenze totalitarie e repressive.

      Nonostante le caratterizzazioni del Primo Ministro britannico,  a parte alcuni episodi di vandalismo, le proteste denunciano in realtà il profondo malcontento popolare nei confronti di un’invasione migratoria legittimata dall’élite dirigente di entrambi i partiti ed esplosa negli ultimi anni 90 grazie alle irresponsabili iniziative di Tony Blair, oggi prudentemente appartato. 

      Banalmente, gli Inglesi non ne possono più e protestano.

      Solo che le loro proteste, al contrario di quelle a favore della Palestina o dell’Ucraina, sembrano non essere legittime… Il perché è intuibile: i tumulti pro-palestinesi e pro-ucraini sono alla moda e sono avallati e legittimati dalle èlites di molti Paesi. Le attuali proteste degli Inglesi, al contrario, hanno cause ed obiettivi di tipo identitario e che mettono in forse le ricette ideologiche delle suddette élites. Ecco così che esse sono fulminate e castigate.

      Ora, gli Inglesi sono stati per così dire tradizionalmente mansueti e alieni dalle rivoluzioni. Hanno fatto una “rivoluzione industriale”, ma non una rivoluzione politica come fecero i Francesi o i Russi. Anzi, grazie alla Baronessa Orczy, la figura della Primula rossa (vedi Lesley Howard) contribuì a consolidare la nozione dei “malvagi rivoluzionari.“ Ciò spiega come in Gran Bretagna l’aristocrazia terriera, che possiede circa un terzo del Paese abbia continuato a prosperare indenne senza rivolte o rivendicazioni popolari e nonostante due guerre mondiali. La presumibile spiegazione è che gli Inglesi rispettano e sopportano i loro Duchi così come le loro dinastie reali, anche se sempre più parassitiche e anacronistiche. In fondo, tutto rimane in famiglia…

      Nel caso degli immigranti e della strisciante infiltrazione anche economica, sociale e culturale di origine musulmana o comunque non cristiano-europea - questa è la vera causa delle proteste - le cose sono a quanto pare differenti. Non è più un affare di famiglia. E’ un affare di estranei. Il rigetto, da lungo tempo latente, eminentemente pratico  e non ideologico, è ora emerso alla superficie. Il Primo ministro inglese ha cercato di stigmatizzarlo in modo infelice e sostanzialmente ipocrita. 

      Rimane il fatto che, per imporre la sua versione dei fatti, egli ha instaurato un clima di persecuzione giudiziaria senza precedenti su chiunque osi dissentire, fosse anche tramite commenti on-line. Da qui, le varie condanne anche a 3 anni (!) inflitte anche a chi non ha preso parte ai tumulti. Lo scenario da caccia alle streghe e da stalinismo di russa memoria è irresistibile. Del resto, le suddette condanne sono ancora più assurde, se le si confronta con la mitezza e passività nei confronti dei violenti tumulti pro-palestinesi nonché dei giornalieri accoltellamenti e crimini stradali diventati una sorta di macabro distintivo del sindaco Sadik Khan, musulmano di origine pachistana al suo terzo (!) mandato e, cosa di solito trascurata, anche Commissioner ovvero responsabile della gestione e controllo della polizia londinese. Tenendo conto che il 16% della popolazione londinese è musulmana, che già solo i Pachistani residenti a Londra sono circa 290.000 e che a Londra esistono ben 460 moschee, non è difficile capire il perché delle sue multiple elezioni e della politica dei due pesi e delle due misure nei confronti delle agitazioni di piazza.   Il trend dell’aumento della popolazione musulmana è del resto significativo: il numero dei Musulmani in Gran Bretagna nel 1991 era pari a circa 950.000 individui, ovvero l’1,9% della popolazione totale; tale numero è oggi salito a 4 milioni, ovvero circa il 6% della popolazione.

      Il processo in questione non è certo sfuggito agli Inglesi che oggi protestano. Dei semplici dati quantitativi confortano l’idea che i tumulti siano infatti strettamente connessi con l’ondata migratoria che si si è riversata sulla Gran Bretagna in particolare negli ultimi 30 anni. Per una paradossale ironia, molti di tali immigrati provengono da ex colonie britanniche e la maggior parte sono musulmani. Le nemesi stoiche possono essere beffarde.

      Secondo il censimento del 2021-2022, il 16% della popolazione inglese globale, ovvero 10.7 milioni abitanti, è nata all’estero. Lo stesso vale per il 40% dei residenti di Londra. Nel corso degli anni, l’afflusso di immigranti è progressivamente aumentato. Mentre negli anni 70 la media annuale degli immigrati era di circa 70.000 individui, decrescendo a circa 54.000 negli anni 80 e primi 90, il numero salì bruscamente a 100.000 nel 1997 . Da allora ha continuato a crescere (è l’epoca del già menzionato e fatale Tony Blair.) Secondo il censimento del 2021-2022, l’immigrazione netta nel periodo 2012-2021 è stata pari a 2,.2 milioni di individui, mentre nel solo 2023 l’immigrazione netta è stata pari a 685.000 individui.

      Tenendo conto che la Gran Bretagna è un Paese affollato (67 milioni) e dalle risorse scarse, i suddetti numeri parlano da soli e denunciano una situazione surreale.  Gli immigrati sono infatti alloggiati, rifocillati e mantenuti a spese dello Stato, che elargisce quindi a degli stranieri dei benefici altrimenti negati ai cittadini di origine inglese. Secondo dati citati dal Financial Times, i costi per l’accoglimento dei “cercatori di asilo” in Gran Bretagna è stato pari a 4 miliardi di sterline nel 2023, il doppio dell’anno precedente e sei volte più alto di quello del 2018. 

     Parrebbe che tutti abbiano paura di ammettere che quello dei cosiddetti “cercatori di asilo” è in realtà solo una frode concettuale e un pericoloso equivoco e che si tratta piuttosto di individui alla ricerca del Bengodi. Già…Internet e cellulari arrivano anche nei deserti, nelle giungle e nelle catapecchie. Come era possibile che, dopo aver saputo che certi Stati europei non solo accolgono ma anche dispensano alloggio, vitto e stipendio gratis a tutti quelli che arrivano in barcone o meno, come era possibile che inesauribili torme umane e trafficanti di barconi non ne fossero stimolati e invogliati? E occorre molta fantasia o ingegno per capire che, una volta istallati in un luogo, le minoranze così createsi e moltiplicatesi (tassi di natalità più alti) producono poi rivendicazioni economico-politico-religiose? Ecco quindi, per esempio, i numerosi sindaci musulmani di tante città inglesi, le 3000 moschee e gli oltre 130 tribunali religiosi islamici. Una minoranza che fabbrica procedure parallele a quelle della struttura giudiziaria nazionale. Sotto certi aspetti, il fenomeno ricorda le famigerate Capitolazioni vigenti nell’Impero ottomano e che assicuravano una giurisdizione extra-territoriale agli stranieri non musulmani residenti. La differenza è che questo tipo di Capitolazioni non è oggi imposto da una qualche potenza esterna ma attuato dalla minoranza straniera con la connivenza delle Autorità.

      Inevitabilmente, le varie entità sopra menzionate non solo rappresentano la minoranza musulmana ma diventano anche centri di indottrinamento ideologico, culturale e religioso. Nonostante le affermazioni contrarie, una buona parte dei trapiantati nutre valori non necessariamente coerenti con quelli del luogo ma anzi spesso opposti. Quelli islamici in particolare, basati sull’incondizionata prevalenza di un testo religioso “Il Corano”, sono infatti organicamente estranei a quelli del mondo occidentale, cristiano di nome ma di fatto laico e quindi psicologicamente e praticamente organizzato secondo due sfere distinte. La suddetta distinzione è inesistente e vietata nelle società musulmane.

         Per quanto aspetto che segue sia di solito trascurato e considerato neutro, in realtà l’infiltrazione arabo-islamica è anche di tipo economico-finanziario. Il peso delle nazioni del Golfo, del Kuwait e dell’Arabia saudita nelle proprietà immobiliari e negli investimenti strategici britannici è enorme e difficilmente sovrastimabile.  Giusto per fare solo un esempio, la maggior parte degli alberghi di lusso di Londra è di proprietà del Qatar assieme al 20% dell’aeroporto di Heathrow. Ma si tratta solo di un minuscolo esempio e della punta dell’iceberg di una gigantesca  infiltrazione economico-finanziaria. Che alcune briciole di tali risorse vengano poi destinata al finanziamento e sostegno delle comunità e di istituzioni islamiche di vario tipo è intuitivo. E’ altrettanto intuitivo il fatto che l’establishment politico, quale che sia il colore, è inevitabilmente alleato o complice di tale infiltrazione, non fosse altro che sotto pretesti politici e di benefici economici a livello nazionale.

      Insomma, un processo sia immigratorio che finanziario, cosa che spiega come i temi arabo-palestinesi, assieme a quelli russo-ucraini, sembrino guidare la politica britannica e anche di altri Paesi. La progressiva islamizzazione della Gran Bretagna è sotto gli occhi di tutti.

     Quanto tale processo sia anomalo e per così dire perverso dovrebbe apparire inoppugnabile, soprattutto se lo si compara con un analogo ma inverso processo avvenuto in tutti i Paesi musulmani dal Marocco al Pakistan  dalla fine della II Guerra mondiale in poi ma anche prima. L’invasione islamica dell’Europa è infatti speculare alla cacciata delle minoranze etnico-religiose dai Paesi islamici e alla loro persecuzione in tale periodo

     Detto in altri termini, mentre il termine “islamofobia” è anch’esso uno di quelli diventato di moda e abusato  anche quando si tratta di innocenti critiche e confronti, nessuno osa ammettere  l’esistenza di ben più aggressive “cristianofobie” e “ebraicofobie”. Nel loro caso, non si tratta di definizioni virtuali ma di una consolidata tradizione repressiva, che tutti fanno finta di ignorare.

      Gli esempi sono innumerevoli. Ne citiamo alcuni a caso. Dalla I Guerra mondiale in poi i Turchi procedettero a una sistematica pulizia etnica sotto forma di genocidio ed espulsioni delle comunità armene, assire, greche ed ebree esistenti nel Paese. L’ultima di queste ondate avvenne nel 1963, ma ancora oggi lo sparuto numero dei Greci ortodossi e degli Ebrei è in costante diminuzione e soggetto ad ostilità da parte di fasce nazionaliste e fondamentaliste. Tale pulizia etnica e religiosa non ha nulla che fare con vendette nei confronti di ex dominatori coloniali. Né Assiri, né Greci, né Armeni o Ebrei furono mai dei colonizzatori dell’Impero Ottomano. Semplicemente, essa era ed è un rigetto di elementi estranei alla cultura dominante locale.

      Se prendiamo l’Egitto, le cose non cambiano. Per quanto non con le stesse violente modalità, le comunità italiane e greche esistenti nel Paese almeno dai tempi di Mohammed Alì furono sostanzialmente costrette ad andarsene. Almeno 150.000 fra Italiani e Greci lasciarono l’Egitto dal 1945 in poi. Gli stessi Copti, che pure sono a tutti gli effetti egiziani, sono anch’essi spesso oggetto di violenze a causa della loro confessione religiosa. Nella Tunisia francese degli anni ’20 esistevano almeno 100.000 italiani immigrati, che non potevano certo essere considerati come colonizzatori. Nel giro di pochi decenni essi furono costretti ad andarsene. Processi analoghi ebbero ovviamente luogo anche in Algeria, Marocco, Siria, Libano, etc. Centinaia di migliaia di stranieri, ma quindi i non musulami, furono costretti ad abbandonare tali Paesi o sono comunque oggetto di oscillanti aggressività. .Se poi volessimo ritornare più indietro nel tempo, nbsterebbe ricordare i famosi massacri di Cristiani avvenuti in Libano nel 1860.

      Non si tratta tuttavia solo dell’espulsione fisica di individui stranieri non musulmani L’intolleranza riguarda anche la libertà di culto e di opinione per quelli che ancora vivono in Paesi musulmani.

      In nessuno di tali Paesi sarebbe immaginabile assistere a folle di credenti che effettuano le loro preghiere nelle strade, come avviene per esempio a Londra. Simili atti andrebbero incontro a dei linciaggi o, nel migliore die casi a degli arresti. L’equivalente cristiano dell’Allahu Akbar in pubblico è semplicemente impensabile. Ancora, l’erezione di chiese è proibita o effettuata col contagocce nella maggior parte dei Paesi musulmani. Anche quando esse esistono per motivi pratici – vedi per esempio le comunità cattoliche filippine semi-schiavizzate che assicurano il funzionamento di molti Stati del Golfo, le preghiere possono essere effettuate solo all’interno di luoghi privati. Non c’è bisogno di menzionare che se in tali luoghi dei sacerdoti incitassero al proselitismo e alla guerra agli infedeli, come avviene spesso in tante moschee in Europa, essi sarebbero soggetti alla pena capitale. Immaginare ancora degli immigrati cristiani o comunque non musulmani in qualche Parlamento arabo o turco sarebbe evidentemente  ancora più assurdo. Paragoni analoghi potrebbero essere fatti per tutte le numerose ex comunità ebraiche un tempo disseminate dal Marocco allo Yemen. Esse sono praticamente quasi tutte scomparse.

      In altre parole, i Paesi musulmani hanno applicato ed applicano una sistematica pulizia etnica e una discriminazione religiosa di fatto sconosciute anche al tempo dell’Impero ottomano, che riconosceva l’autonomia delle varie (Millet ) comunità di altre confessioni. 

      Lo sbilancio e la contraddizione col trattamento degli stranieri musulmani nei Paesi cristiani sono quindi clamorosi.  Il fatto che oggi nessuno accenni ai suddetti elementi e tratti anzi con compatimento la nozione di “scontro di civiltà” (vedi Huntington) mostra il grado di ipocrisia o di ignoranza o di banale stupidità delle masse e delle attuali classi dirigenti. Paradossalmente, con tutta la loro intolleranza - Islàm significa letteralmente “sottomissione” - i Paesi musulmani sono almeno più coerenti e meno masochisti di quelli dell’Europa o del mondo anglosassone cristiano. Nel bene e nel male, essi proteggono e difendono l’omogeneità della loro fabbrica sociale. Il cosiddetto “multiculturalismo.”, anch’esso un equivoco alla moda, non gode di favore fra di loro. Esso era una realtà ed aveva senso al tempo dei Bizantini e degli Ottomani, ma vi era una ragione: chiunque, fosse armeno, greco, albanese o georgiano veniva accettato all’interno di tali sistemi di governo a patto che dichiarasse la sua lealtà a chi deteneva il potere e a patto che esercitasse in modo discreto la sua fede religiosa. E’ chiaro che il supposto multiculturalismo attuale  manca dei suddetti elementi di coesione e controllo.

       Se ora ritorniamo alle infelici espressioni del Primo Ministro britannico e alle proteste che agitano il Regno Unito, apparirà chiaro come le politiche governative che favoriscono o permettono l’attuale invasione migratoria siano sostanzialmente criminali e masochiste. Nello stesso tempo, apparirà anche chiaro quanto tale permissivismo e le pretese e l’aggressività degli immigranti specie musulmani siano in clamoroso contrasto  con il comportamento e attitudine dei Paesi musulmani nei confronti degli eventuali immigrati stranieri e dei non musulmani.

      Se gli Inglesi protestano, ne hanno ben donde.

Antonello Catani, 24 agosto 2024

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Elezioni britanniche: una vittoria in attesa di verifiche

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     Elezioni britanniche. Travolgente vittoria laburista. Euforia e sorrisi del neo Primo Ministro Keir Starmer. Perdita del seggio per numerosi parlamentari conservatori di spicco, da Penny Mordaunt al borioso Rees Mogg, inclusa anche l‘iper-fallimentare ex Primo Ministro Liz Truss.

     Insomma, una falcidia senza precedenti che ha decimato in poche ore un partito al potere da oltre un decennio e che dovrebbe ricordare agli stessi vincitori di oggi come anche le ascese possano essere meteoriche.

     Bisogna leggere al di là di questi aspetti apparentemente conclusivi ed auto-esplicativi.

     Mentre la goffaggine, le maldestre piroette e l’incompetenza dei Tories negli ultimi anni erano lampanti, non si può dire che i loro oppositori, e cioè, i Laburisti, abbiano proiettato maggiori affidabilità e concrete alternative. A parte i battibecchi di maniera ai due lati del grande bancone di Westminster, nel corso degli ultimi anni i vari esponenti laburisti non hanno offerto ricette alternative originali e chiare. Alcuni, anzi, come l’attuale vice Primo Ministro Angela Rayner, si sono caso mai distinti per i loro eterni silenzi e muti assensi alle recite dell’oratore del partito, cosa che legittima la curiosità sulle reali virtù politiche della signora in questione.

     In ogni caso, dal Brexit (tabù intoccabile) all’Ucraina o alla Nato (altri intoccabili tabù) fino alle ondate migratorie o alle incomprensibili apparizioni di velivoli militari britannici nel Mar nero, in nessuna di queste aree i due partiti hanno mostrato di essere realmente su due sponde opposte.

     Su altri temi più domestici, come il ruolo di una monarchia sempre più petulante e narcisistica – contrariamente alle altre loro omologhe europee – o il perdurare dei privilegi fiscali di una classe di proprietari terrieri che possiedono gigantesche proprietà per milioni di ettari (inclusa la stessa famiglia reale) fino alla strisciante islamizzazione e indianizzazione della società britannica, su tutti questi temi, un silenzio totale.

      Temi tuttavia cruciali per varie ragioni. Nonostante le velleità e l’oleografia, la Gran Bretagna è un Paese decaduto o comunque infinitamente lontano, anche dal punto di vista economico, dalla sua acme imperiale. Basterebbe fare solo un confronto fra il generale aspetto dei passanti nelle strade di Oslo, per esempio, e di quelli di Londra per rendersi conto della lampante disparità di benessere e di agio che traspare anche dall’abbigliamento e dall’ambiente esterno. Le barriere doganali e la perdita di competitività dovute al Brexit hanno solo acuito  la crescente penuria di risorse e gli effetti di una continua asfissia demografica dovuta a decenni di massiccia e incontrollabile immigrazione. Quest’ultimo fenomeno sarà uno dei veri banchi di prova del nuovo governo, per non parlare dell’atteggiamento nei confronti dell’Ucraina e del conflitto in Israele.

      Banalmente, priva degli antichi immensi vantaggi di un monopolio mercantile coloniale, la Gran Bretagna di oggi è un Paese sempre più povero ma che non ha tuttavia perduto le sue antiche velleità (vedi per esempio le sue basi a Cipro, le portaerei, le sue politiche di aiuto militare in Ucraina, etc). Nel frattempo, il boomerang del Brexit e la caotica gestione politica degli ultimi anni hanno anche indebolito e messo in dubbio l’immagine  di una Londra come insuperato teatrofinanziario. Molte società hanno scelto altre destinazioni meno caotiche politicamente, mentre anche varie prestigiose università lamentano un inquietante declino delle laute iscrizioni di studenti stranieri.

       Ma ritorniamo all’immigrazione e alle sue derive culturali.

      Contrariamente alle rozze dicerie dei pappagalli maldicenti, quest’ultima non è un problema di razza ma di sostenibilità economica e prima ancora di integrazione culturale, perno di qualsiasi stabilità sociale.  I ripetuti episodi di fanatismo, gli incitamenti anti-semiti in varie moschee e le recenti violente dimostrazioni a favore della Palestina (ma mai contro Hamas), non ostacolate dalla polizia londinese, sono un eloquente esempio di come le lealtà e le identificazioni di un gran numero di immigrati anche naturalizzati non coincidono con quelle del luogo. Non solo, ma trascinano il fervore di masse altrimenti ignare e facilmente manipolabili, meccanismo che il diluvio e sempre crescente pervasività dei mass media e degli strumenti di comunicazione elettronici stimola e rinforza. Dato che le minoranze sono sempre più diventate degli strumenti di pressione all’interno dei sistemi politici, sarebbe ingenuo o in malafede ritenere che qualsiasi governo britannico, sia esso conservatore o laburista, possa conservare una sua indipendenza di azione e non essere condizionato da una minoranza come quella islamica che oggi ammonta a 4 milioni di individui. Stessi discorsi potrebbero essere fatti per i cittadini britannici di origine e religione indù, con la fondamentale differenza che l’India non ha mai tradizionalmente esportato fondamentalismi ma al contrario ideologie pacifiste (vedi Gandhi).     

       A questo proposito, è certo una sorta di straordinaria nemesi storica il fatto che oggi un gran numero di funzionari e parlamentari britannici siano proprio di origine pachistana o indiana (basti pensare allo stesso sindaco di Londra, Sadik Khan).

       I rigurgiti della storia possono essere implacabili.

       Mentre il vero fattore essenziale non è l’origine etnica ma l’incondizionata lealtà ai valori del luogo di adozione, non potrà comunque far riflettere il fatto che nessun individuo di origine britannica o anche europea siede tuttavia nei parlamenti dell’India, del Pakistan o di qualsiasi altro paese del Medio Oriente. Osservazioni analoghe potrebbero essere fattieriguardo alla Germania, con i suoi parlamentari di origine turca, mentre la Turchia ha al contrario espulso qualsiasi minoranza non islamica e non etnicamente pura (gli stessi Curdi sono sopportati e visti con sospetto). La singolarità non è quindi che una parlamentare di origine indiana come Priti Patel sia stata Ministro degli interni, carica del resto ricoperta con efficienza a differenza di quella dell’altro parlamentare di origine indiana, Rishi Sunak, oggi clamorosamente sconfitto. La singolarità è che fenomeni analoghi e reciproci non accadono e non sono immaginabili nei Paesi di origine di simili individui.

     In altre parole, il partito laburista eredita nodi e problematiche non solo politici ma anche economici e strutturali che gli slogans della “democrazia”, di un rinnovato “impegno sociale” e dei “diritti umani“ e del “public service” non bastano ad eliminare o a risolvere come per magia. Fino a che punto, infatti, la colossale perdita di seggi dei Tories e del Partito Nazionale Scozzese è stata dovuta alle attrazioni di comprovate ricette laburiste o semplicemente alla frustrazione per la caotica gestione dei Conservatori?

     Solo i fatti mostreranno fino a che punto i Laburisti abbiano realmente un nuovo progetto che affronti spinosi problemi di fondo come quelli prima menzionati.

    E’ solo questione di tempo.

Antonello Catani, 8 luglio 2024

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