Marmi greci e tensioni diplomatiche

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       Questi giorni, a Londra, il Primo Ministro inglese Rishi Sunak ha cancellato la sera del giorno prima il programmato incontro col Primo Ministro greco Kyriakos Mitsotakis. L’agenda del supposto incontro prevedeva vari temi, fra cui Gaza, il cambiamento climatico e i famigerati marmi del Partenone, di cui Atene richiede la restituzione. 

       L’improvvisa e tardiva cancellazione è stata interpretata come un affronto dai commentatori e dalla classe politica greca, mentre anche i Laburisti inglesi hanno sfruttato l’episodio in parlamento a scopi politici. 

       In realtà, l’accaduto richiede qualche commento che ridimensiona e pone in luce meno imbarazzante il primo ministro britannico. Saranno pertanto utili alcune premesse.

      La storia dei marmi del Partenone è vecchia ma mal presentata e per certi versi noiosa. Quando Lord Elgin, allora ambasciatore inglese a Istanbul, rimosse i fregi del Partenone (1812), egli potè farlo solo grazie a un permesso del Sultano. A quell’epoca, esistevano aspirazioni locali all’indipendenza, ma la Grecia come nazione e con un suo effettivo e non solo letterario o artistico passato nazionale non esisteva. Il territorio era una provincia ottomana. Fra l’altro, una parte della popolazione del Peloponneso e dell’Attica era e parlava albanese. Atene contava allora solo qualche decina di migliaia di abitanti, la metà dei quali, Turchi. Nessuno degli Ateniesi di allora battè ciglio, salvo Lord Byron, che appunto era un poeta e un ricco snob. Da notare che poco tempo prima, in Egitto, anche un’altra pietra famosa, quella di Rosetta, fu trovata dai Francesi e poi requisita dagli Inglesi.

       Negli ultimi decenni, la restituzione dei marmi è diventata una sorta di ossessiva competizione agonistica e un cavallo politico per i vari governi greci, i quali reclamano i marmi come parte dell’eredità culturale della Grecia. naturalmente, quella di 2500 anni fa. Cosa analoga fanno gli Egiziani per il busto di Nefertiti custodito a Berlino. 

       Dalla teoria alla pratica vi è sempre un’imbarazzante distanza. 

       Il passato greco, come quello egiziano, non è stato riscoperto dai Greci o dagli Egiziani ma da studiosi e archeologi di altre nazioni. Non tutti quegli archeologi furono dei rapinatori. Semmai, fu addirittura un Francese, Mariette, a fondare il museo egiziano del Cairo e a proteggere le antichità del luogo. Nel caso della Grecia, tutti i suoi siti archeologici più importanti, da Olimpia a Delfi, Delos, Micene, etc., furono esplorati e restituiti alla luce grazie a scavi effettuati e finanziati da Tedeschi, Francesi, Inglesi e Italiani. La Grecia non pagò nulla, ma si tenne tutti i reperti. 

       Per completare il quadro, vale la pena di menzionare come in questi anni il Partenone sia stato oltraggiato da un manto di cemento steso sulla sua superficie dallo stesso Dipartimento greco delle Antichità per consentire anche ai disabili  - questa, la giustificazione – di visitare il monumento. E’ sicuro che Fidia non sarebbe stato d’accordo. Nel frattempo, anche una sommaria perlustrazione dei vari siti archeologici greci riserva immancabilmente malinconiche sorprese. A parte i siti più famosi, quelli che garantiscono un afflusso di turisti, la maggior parte degli altri sono sostanzialmente negletti e abbandonati. 

       Se le rivendicazioni sono apparentemente fondate sul pletorico nazionalismo ed eccezionalismo ellenico, sarebbe ingenuo sottovalutare, oltre agli aspetti politici interni, anche le dissimulate ma ansiose aspettative turistiche e commerciali: il turismo pesa per almeno un quarto del PNL in una nazione dove il settore manifatturiero è praticamente inesistente, a parte quello dei latticini e farmaceutico, e che fra l’altro sta poco saggiamente vendendo porti, aeroporti, miniere e cantieri navali.

       Le suddette premesse sottolineano come fra le rivendicazioni e il loro merito scorra un oceano e come sia impossibile eliminare le attese anche turistiche dalle suddette rivendicazioni in quanto tali. Per attese analoghe, l’Egitto ha costruito un nuovo faraonico museo archeologico costato miliardi di dollari. Anche in Egitto, il turismo pesa una voce considerevole del PNL.

       Del resto, se vi è qualcuno a cui paradossalmente la Grecia dovrebbe chiedere restituzioni o ammende, questa sarebbe prima di tutto ....Venezia! Fu un suo antenato, il nobile e poi Doge Francesco Morosini, a bombardare e a ridurre in rovina il Partenone nel 1687. Se non lo avesse fatto, il monumento sarebbe ancora intatto e verosimilmente nessuno avrebbe tentato di smontarlo. 

       Infine, anche concettualmente, il criterio delle restituzioni sulla base di un presunto passato nazionale non solo è falso, perché le nazioni sono una creazione ottocentesca, ma esso rischierebbe di produrre un incontrollabile effetto domino senza analoghe garanzie di protezione e custodia, soprattutto in Paesi sprovvisti delle strutture e risorse adeguate.

       Possiamo ora ritornare al cancellato incontro.

       Ciò che i commentatori, in particolare quelli greci, hanno indebitamente trascurato sono due errori comportamentali del primo Ministro greco. Uno è aver concesso alla BBC, durante il suo soggiorno londinese, un’intervista-show dove egli ribadiva con sussiego il diritto della Grecia a rientrare in possesso dei marmi. In altre parole, in casa d’altri e ancora prima di discutere del problema col suo reale interlocutore ufficiale, il Primo Ministro greco stava già cercando di creare una sorta di preambolo di marketing. Una gaffe psicologica.

       La seconda e più grave gaffe del Primo Ministro greco è stata il suo colloquio, anch’esso prima del programmato incontro col Primo Ministro, con Sir Keir Starmer, leader dell’opposizione, che ha già pubblicamente reso noto cdi essere disponibile alla restituzione dei marmi in caso di una vittoria elettorale del suo partito. Insomma, ancora prima di incontrare chi in questo momento è l’unico responsabile governativo legittimato ad esprimersi sulla restituzione, il Primo Ministro greco ha pubblicamente discusso il tema con degli interlocutori secondari. A sgarbo ha risposto sgarbo.       

       Il fatto che i commentatori in blocco abbiano coralmente omesso di sottolineare tutti i suddetti aspetti di un episodio acriticamente demonizzato costituisce un esempio della strisciante tendenza alla manipolazione o distorsione degli eventi, di cui ormai i mass media sono gli incontrastati agenti. Fra l’altro, vista la caotica situazione politica ed economica internazionale, una simile esibizionistica petulanza e il chiasso successivo sull’argomento appaiono incongrui, se non ridicoli.

Antonello Catani, 30 novembre 2023

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Geopolitica, marionette e fanatismo

        Da tempo avviene, sotto gli occhi di tutti, un gioco di marionette e pedine spacciato per difesa della democrazia (vedi Ucraina) e per la libertà (vedi la questione palestinese). In entrambi i casi, si demonizza un oppressore che spesso sta molto lontano dai premurosi difensori del diritto. Gli Stati Uniti utilizzano l’Ucraina per indebolire la Russia, mentre l’Iran, tramite i suoi luogotenenti del terrore, utilizza la striscia di Gaza per ampliare il suo disegno di influenza regionale, che va dallo Yemen fino alla Siria e al Libano. Le guerre per procura sono alla moda.

     Queste sono le premesse delle due crisi in atto dove non a caso agiscono due dei principali protagonisti: Stati Uniti e Russia. L’eterogenesi dei fini può essere  beffarda e maligna. Mosca, umiliata e offesa anche nei suoi musicisti (!) dal concerto euro-americano, è ora in indecorosi abbracci, perlomeno tattici, non solo con la Cina e con la Turchia del nuovo aspirante sultano ma soprattutto anche con l’Iran e Hamas. Quello che avrebbe dovuto e potuto essere il più formidabile alleato dell’Europa e degli Stati Uniti nel bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente, è diventato un sorridente alleato di regimi reazionari e di entità terroriste. La cosa non fa onore a Vladimir Putin e cancella, spiace dirlo, una parte notevole del suo credito e della sua legittima reazione al demenziale accerchiamento NATO.

       Solo la colossale miopia e paranoia americana poteva provocare tale risultato. L’atavica ostilità di Washington dalla II guerra mondiale in poi verso tutto ciò che è russo, sovietico o meno che sia, è diventata ancora più isterica con l’attuale amministrazione, che mostra di essere una delle più catastrofiche della storia degli Stati Uniti. Dal frettoloso ritiro dall’Afghanistan, con il gigantesco arsenale di armi abbandonate nel Paese, ai milioni di immigrati ispanici che si riversano da sud e da est come una marea selvaggia, all’inflazione galoppante e al mare di armi fornite all’Ucraina, un Presidente in visibile declino fisico e mentale ha prodotto disastri e, come dice il titolo di un famoso romanzo,  Le stelle stanno a guardare.”

      Fuori dalla metafora, non solo le stelle guardano ma anche spettatori meno celestiali ne stanno approfittando. A parte protagonisti più voluminosi, anche entità lillipuziane come il Qatar contribuiscono ad imbrogliare la matassa con ambigui doppi o tripli giochi senza che nessuno lo inviti con fermezza ad abbandonare la diplomazia degli intrighi, che vanno dai Talibani fino ad Hamas.

     I fattori sopra menzionati non sono infatti estranei  agli attuali eventi di Gaza. Non è un caso che il massacro perpetrato da Hamas sia avvenuto in uno scenario geopolitico che vede gli Stati Uniti guidati da un Presidente incespicante e con gli occhi allucinati, per giunta in odore di impeachment, e con una Russia che stringe disinvolte alleanze con una sempre più baldanzosa Turchia e col regime di Teheran. Favorito anche dall’allentamento delle sanzioni economiche e quindi dalla rinnovata disponibilità di ingenti risorse finanziarie - anche questo, regalo del Presidente americano – l’Iran ha colto un momento favorevole per sconvolgere il progetto di riavvicinamento Israele-Arabia Saudita  che passa sotto il nome di accordi Abraham. Si può immaginare una gestione più fallimentare?

       La normalizzazione dei rapporti col detentore dei luoghi sacri dell’Islam avrebbe automaticamente indebolito il ruolo di burattinaio di Iran. In più, le immense risorse finanziarie e capacità di influenza del regno saudita  sui colleghi arabi meno fortunati avrebbero smorzato o dissolto vecchie ostilità. Insomma, Teheran rischiava di perdere mordente e di trovarsi totalmente isolata anche fra i Musulmani. L’attacco di Hamas ha sconvolto e fatto deragliare il progetto, almeno per il momento.

        Se ora diamo un’occhiata più da vicino allo scenario delle pedine di cui sopra, è ormai sempre più evidente, anche per gli Europei e per Washington, che le conclamata contro-offensiva dell’Ucraina è solo una farsa e la Russia sta consolidando sempre più le sue conquiste sul terreno. In altre parole, l’Ucraina non ha nessuna speranza di vincere una guerra del resto già persa in partenza. Il fatto che il Presidente americano abbia ora proposto al Congresso un pacchetto complessivo di aiuti di cui ben 61 miliardi sarebbero destinati all’Ucraina e solo 14 a Israele è l’ultima clamorosa prova di quanto l’uomo e il suo entourage abbiano perso il senso della realtà, acuendo ancora di più il caos ucraino (vedi le inutili morti  dei giovani Ucraini mandati allo sbaraglio dal commediante Zelenski e l’aumento della corruzione, senza contare la sospensione dei partiti dell’opposizione, le censure ai mass media e le minacce alla Chiesa, tutti patrocinati da quest’ultimo. Come i Parlamenti di mezzo mondo abbiano ricevuto in pompa magna un mediocre e fraudolento personaggio di tal fatta rimarrà un mistero.  

        Veniamo quindi a Gaza e agli eventi che la concernono.

        Le crescenti e luride manifestazioni di antisemitismo che si susseguono in varie nazioni, a cui si aggiungono con ritmo incalzante il ritiro di vari ambasciatori da Israele, gli attacchi anche di Hizbollah e da ultimo i lanci di missili dallo Yemen riconfermano l’atavico rifiuto dell’esistenza stessa di Israele da parte del mondo arabo in particolare e la tendenza delle masse a diventare un branco inferocito appena si profila un utile capro espiatorio. Non è un caso che l’invasione e distruzione americana  dell’Iraq, con la serafica complicità dell’ONU, non abbia a suo tempo suscitato analoghe passioni La cosa surreale è che l’Iraq era un naturale baluardo difensivo nei confronti dell’Iran. Un’altra inaudita miopia di Washington.

       E’ semplicemente scandaloso  che i dimostranti  che accusano Israele di barbarie e parlano di genocidio sembrano aver del tutto dimenticato l’eccidio di Hamas con i suoi 1400 morti e bambini sgozzati o rapiti. Già solo questo oblio suggerisce il livello umano e mentale dei suddetti dimostranti.. Del resto, quanti furono a protestare in modo altrettanto furioso quando l’invasione in Iraq provocò, secondo stime per difetto, almeno 150.000 morti? I bombardamenti che suscitano lo scandalo dei benpensanti in poltrona  e degli scalmanati stradali, innamorati delle proteste per qualsiasi cosa – la categoria è di gran lunga più folta di quanto non si creda - avvengono contro militanti che usano i civili come scudo umano. Sembra incredibile, ma questo sinistro e cruciale dettaglio sembra passare in secondo piano. L’unica spiegazione possibile è che la capacità di riflettere e di giudicare presente nei fiumi di dimostranti deve essere quasi inesistente. Branchi allo sbaraglio.

      Vi è da credere che gli Israeliani per primi non abbiano alcun interesse a mietere vittime nella popolazione civile, ben sapendo che esse li penalizzano di fronte all’opinione pubblica mondiale e costituiscono quindi una formidabile arma propagandistica di Hamas. Poiché però gli autori dell’attacco si nascondono letteralmente dietro la popolazione civile e i loro covi sono anche dentro gli ospedali, solo un’impudente ipocrisia può pretendere che dopo il 7 ottobre l’esercito israeliano doveva indietreggiare di fronte al paravento degli scudi umani. L’unica opzione era e rimane quella di estirpare Hamas nel senso letterale del termine, a qualsiasi costo, fino all’autimo uomo. Nel 1945, a guerra praticamente finita, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna fecero cose infinitamente peggiori per distruggere definitivamente il morale degli avversari: non esitarono a radere al suolo senza scrupoli città intere dove NON esistevano avversari nascosti dentro le case ma solo civili, come accadde nei terribili bombardamenti di Dresda, Tokyo, Nagasaki e Hiroshima. Quella fu barbarie. Ma non avvennero oceaniche dimostrazioni di protesta.

       Ora, a proposito della popolazione civile, essa è in realtà l’ostaggio ma anche la complice di un’organizzazione  il cui unico e vero scopo è quello di cancellare lo Stato di Israele e fra l’altro promette nuovi e ulteriori 7 ottobre. Tutto ciò è tipico del fanatismo più livido. La ragnatela di tunnel e di covi e l’enorme arsenale di armi nascoste sono tutti delle prove del premeditato disegno di provocare morti e rovine. I tunnel sono stati costruiti per anni sotto la striscia di Gaza con la connivenza, indifferenza o impotenza degli abitanti. Molti sapevano, ma nessuno protestò, o se lo fece, fu messo a tacere. Vicenda analoga in Libano, anch’esso ostaggio di un altro gruppo terroristico, Hizbollah, sempre manovrato dall’Iran.  Il Libano, un tempo luogo vibrante e prospero, è oggi un Paese avvilito, impaurito ed impoverito. Stesso copione. Sorge spontanea la domanda come l’afflusso di una simile gigantesca quantità di armi abbia potuto passare inosservata all’intelligence di tante nazioni, Stati Uniti compresi. In ogni caso, che tale quantità fosse e sia enorme è comprovata dal fatto che, nonostante il passare delle settimane e dei continui lanci di razzi dalla striscia di Gaza, la potenza di fuoco di Hamas non pare diminuire. Il lati perversi della questione sono evidenti: i Palestinesi, da complici  o spettatori passivi, sono diventati anche  vittime dei loro stessi presunti difensori, che se ne fanno scudo senza scrupoli. Senza l’esistenza della popolazione civile a Gaza, diventata uno scudo difensivo, Hamas sarebbe infatti già stata debellata senza vittime civili. L’arma più efficace a livello di opinione pubblica mondiale è ormai diventata la falsa proiezione di un deliberato genocidio in atto da parte di Israele, mentre la vera responsabile dei morti civili è proprio la tattica difensiva di Hamas. I dimostranti non se ne preoccupano.

      

      Gli odierni moti di protesta nei confronti degli Ebrei, registrati in tutto il mondo, non rappresentano comunque una novità, ma fanno parte di un rituale ben noto. Basterebbe pensare ai massacri di Ebrei durante la Peste nera o ai pogroms in Russia a cavallo del XX secolo, giusto per citare alcuni episodi di una lista interminabile E’ comunque surreale che le manifestazioni antisemite avvengano anche in Germania (e Auschwitz?) e negli Stati Uniti. L’assassinio a Detroit di Samantha Wol, presidentessa di una sinagoga locale, proietta scenari inquietanti sugli umori in corso. Che simili rigurgiti di astio si manifestino anche in tale nazione suona incredibile, così come era impensabile che atteggiamenti analoghi potessero affiorare anche in Gran Bretagna. Tenendo però conto che la popolazione islamica di quest’ultima conta ormai ben 4 milioni, possiamo tranquillamente supporre che fra i dimostranti vi siano anche molti Musulmani trapiantati. Il fatto la dice lunga sulle implicazioni delle immigrazioni di intere comunità le cui intime adesioni ideologiche non coincidono con quelle dei luoghi di accoglienza.

        Alle isterie popolari, stimolate da giornalieri rinforzi mediatici (con commenti musicali per drammatizzare meglio la narrativa), si sono aggiunte quelle più calcolate ma non meno farneticanti  di alcuni personaggi ufficiali. Si è quindi visto un ministro degli esteri iraniano minacciare gli Stati Uniti all’ONU - cioè, in casa loro! - dando lezioni di umanità e diritti umani. Nessuno gli ha riso in faccia, ricordandogli i morti le brutalità e le annose tirannie del regime a carico dei suoi concittadini, tanto più che l’orchestrazione iraniana di gruppi come Hamas, Hizzbollah e Houthis – le tre H - è ormai un segreto di Pulcinella. Timidezze diplomatiche, politica degli struzzi o semplicemente un’inesplicabile debolezza.

       Ancora più surreali e paranoiche le recenti dichiarazioni del Presidente turco, che non ha mancato di ricordare che Gaza e Salonicco facevano parte della patria ottomana e che  “la sicurezza di Gaza è la sicurezza della Turchia.” (Sic!). Chi pensasse che affermazioni simili siano solo un’occasionale retorica pecca d’ingenuità. Distrutto in buona parte il più savio e moderato progetto  kemalista di una Turchia laica, oltre all’imposizione di una capillare museruola della libera opinione, da lungo tempo il regime al potere ha perseguito un sistematico revanscismo nazionalistico all’insegna dell’Islàm più rigido (vedi per esempio il ripristino di Santa Sofia come moschea). Probabilmente Kemal Ataturk si rivolta nella tomba. Gli odierni atteggiamenti di erede dei sultani e protettore dell’Islàm di Recep Erdogan sono una velleitaria e anacronistica replica di quelli del sultano Abdul Hamid II, che alla fine del XIX secolo cercò di utilizzare la ricetta del pan-islamismo per consolidare il proprio regime autocratico all’interno. Potremmo aggiungere le nostalgie imperiali di Mussolini. La ricetta è identica. La differenza è che ai tempi di Abdul Hamid circolavano meno armi letali e non vi era internet.

       Considerando che nella base di Incirlik sono custodite una cinquantina di bombe atomiche NATO, appare chiaro in quale pasticcio si ritrovino oggi Stati Uniti ed Europa con un supposto “alleato” che va a braccetto con Vladimir Putin e riceve come quest’ultimo i dignitari di Hamas. Una nemesi storica per aver voluto un Paese in buona parte ancora asiatico (salvo la capitale e alcune città costiere) e con non sopite nostalgie imperiali e califfali a guardia dei confini sud con l’Unione sovietica.

       Sembrerebbe insomma che la causa delle minacce arabe e iraniane di ritorsioni siano i massicci bombardamenti di cui parliamo. In realtà, questi ultimi hanno fatto riemergere,  almeno nelle frange più irriducibili dei Paesi arabi, un malessere mai scomparso nonostante gli accordi Camp David: l‘esistenza di Israele come Stato sovrano. 

       Anche se a parole tutti sembrano auspicare l’indipendenza dei Palestinesi, il dente duole altrove. La sincerità dei relativi auspici appare poco credibile. La nozione di indipoendenza richiama quella dello “Stato di diritto”, di effettive libertà. In realtà, nessuno Stato arabo o islamico del Mediterraneo e del Medio Oriente può vantare di essere un modello in questo senso. Dal Marocco fino alla Siria e continuando poi per la Turchia e l’Iran, per non parlare della Penisola araba o del Pakistan, le libertà politiche sono un’entità  volatile o comunque non all’altezza del termine. La solidarietà di alcuni capi di Stato arabi potrà forse essere genuina, ma non va in alcun modo disgiunta dalla necessità di soddisfare basi popolari da sempre aizzate contro i nemici dell’Islàm e in particolare contro Israele. Non possono scontentarle, anche se volessero. Un esempio in proposito sono le demagogiche arringhe del Presidente turco, che ormai si sta dipingendo come l’unico salvatore della Patria islamica dalla Libia al Caucaso. La megalomania è un fossile longevo.

       E’ insomma discutibile uno sviscerato amore per la causa palestinese. Non è infatti un caso che nessuno dei supposti difensori arabi o musulmani si dimostri disposto ad ospitare dei Palestinesi, incluso l’Iran. Non solo, ma a suo tempo, nel famoso “Settembre nero” del 1970, decine di migliaia di essi furono uccisi proprio in Giordania, dove stavano cercando di rovesciare il trono di Husayn. Avvennero allora analoghe dimostrazioni popolari di protesta in giro per il mondo? No. Il sovrano hascemita non era ebreo…

       Il vero problema e la causa del massacro del 7 ottobre, delle crescenti minacce iraniano-libanesi e delle incursioni anche dallo Yemen è insomma l’esistenza di Israele in quanto tale. I meno ipocriti, come Hizbollah, Hamas e l’Iran lo dicono apertamente, altri si barcamenano fra gli umori delle masse fanatizzate e le convenienze dell’amicizia con gli Stati Uniti. Facciamo tuttavia un passo in più e tocchiamo un tasto non appariscente ma sicuramente sensibile nella mentalità collettiva del  mondo arabo-islamico. Israele non solo non è né arabo né musulmano ma è al contrario europeo. Cosa sono infatti la maggioranza degli Israeliani, a parte alcune minoranze provenienti da altre nazioni, se non degli Europei trapiantati, che pregano nella sinagoga anziché in chiesa? Anche gli ultra-ortodossi, i cosiddetti Haredim, nonostante la loro bigotteria e fanatismo – segregazione dei sessi, rifiuto delle occupazioni che non siano lo studio della Torah, etc,- sono anch’essi per la maggior parte di origine europea. Ironicamente, lo Stato di Israele è la replica giudaica delle Crociate cristiane, con la differenza che, al contrario dei Crociati, gli Ebrei vantano radici storico-geografiche sulla regione.

        Aggiungiamo alle cause latenti del risentimento una molto probabile gelosia per la capacità di Israele di aver saputo costruire dal nulla una nazione prospera e con industrie sofisticate, contrariamente agli altri vicini, a parte forse l’Iran, e avremo individuato un’ulteriore realistico fattore alla base del malessere sopra menzionato. 

       Se ora si esamina l’altro corollario  della narrativa ufficiale, e cioè quello dei Palestinesi come “nazione”, vale la pena di osservare come l’esistenza di una distinta identità palestinese, come è per esempio quella dei Kurdi,  non trova riscontro con la realtà. Durante i secoli di dominazione ottomana, la maggior parte degli abitanti del luogo erano indistinguibili da quelli che vivevano più all’interno e cioè nella regione oggi chiamata Giordania, ma che fino a non molto tempo fa appariva nelle carte come Transgiordania ed era semplicemente un’estensione della Siria. I relativi abitanti erano quindi Palestinesi, Giordani, Siriani? In realtà, quello che si può dire con sicurezza è che erano Arabi, alcuni dei quali cristiani, ma comunque Arabi. Accanto ad essi convivevano anche comunità di Ebrei. Tutto qui. Dalla metà del XIX secolo in poi, grazie ad innovazioni amministrative e a varie iniziative economiche promosse da immigrati ebrei, l’abbandono in cui era vissuta per secoli la regione costiera a sud del Libano cedette il passo a un crescente sviluppo economico, che attraeva sia nuovi Ebrei russi in particolare che abitanti dell’entroterra (le future Giordania e Siria) e dell’Egitto. Quel processo si accelerò dopo la Guerra mondiale e crebbe dopo lo sterminio degli Ebrei dell’Europa orientale e dei Balcani. Per una crudele ironia della sorte, lo sterminio degli Ebrei in Europa precipitò la loro rinascita sui luoghi della loro epopea nazionale.  

      La nozione di una specifica e distinta identità nazionale palestinese, al di là dell’omonimia geografica manca insomma di elementi specifici, di continuità storiche, di un epos nazionale, tutte cose che per esempio i vicini Egiziani possono vantare. Anche il considerare i vecchi Filistei (per via dell’assonanza del nome) come gli antenati dei Palestinesi odierni sarebbe problematico. Primo, perché presumibilmente gli stessi Filistei erano originari dell’Egeo (i Popoli del mare) e si mescolarono poi con le varie popolazioni della costa sud della Fenicia, chiamata anche Canaan. Secondo, perché dopo le invasioni assire e persiane della Palestina nel VII e VII secolo, gli abitanti del luogo furono praticamente eliminati o deportati, come avvenne anche per gli Ebrei. La differenza è che l’epos nazionale ebraico sopravvisse anche a tale cattività babilonese oltre che a quella egiziana, mentre nulla di ciò avvenne con i Filistei, le cui tracce si spensero. Quasi inutile poi osservare come il muro del pianto, a ridosso del quale pii Ebrei confabulano col loro Dio, esisteva prima di Betlemme e almeno 1500 anni prima della moschea al-Aqsa, da cui, secondo la tradizione islamica, il Profeta si sarebbe involato in cielo in groppa al cavallo Buraq. Curiosamente, abbiamo qui una perfetta simmetria: gli Ebrei rivendicano Gerusalemme in nome del Vecchio Testamento, e gli Arabi o comunque i Musulmani rivendicano lo stesso luogo in nome del Corano.

      Tutto ciò per dire che negare, come pretendono i più facinorosi fondamentalisti islamici, il millenario legame degli Ebrei con i luoghi dove essi hanno costruito una nazione è banalmente patetico e contrario all’evidenza. Il risultato è allora che gli Arabi palestinesi non hanno diritto di vivere in pace? O che non può esistere un più sereno modus vivendi? Ovviamente, no. Gli eventi attuali ma anche quelli successivi alla formazione dello Stato di Israele suggeriscono tuttavia come, sposando la causa di un arabismo armato e violento, adottando fin dall’inizio la causa della negazione a priori di Israele, avvelenando generazioni intere con insegnamenti anti-ebraici, accettando la collusione con organizzazioni terroristiche e sanguinarie, costoro abbiano commesso e continuino a commettere un tragico errore, suscitando un analogo e reciproco meccanismo di rifiuto. Allo stesso modo dei cittadini dell’Ucraina, essi sono diventati solo pedine di un gioco perverso più grande di loro. I due fenomeni sembrerebbero distanti, ma sono in realtà speculari.

      Nonostante il tema venga sottovalutato o evitato, dietro l’attuale situazione palestinese si agita inoltre uno spettro che la maggioranza degli osservatori e anche degli esponenti politici, sia occidentali che musulmani, fa finta che non esista: quello dello “scontro di civiltà”. Paradossalmente, i meno ipocriti al riguardo sono proprio tutti i fondamentalisti musulmani che apertamente vorrebbero sostituire il Corano (anche col kalashnikov o i razzi) alla cultura laica del mondo occidentale. Verosimilmente,  la sostituzione salverebbe comunque i cellulari e altre amenità tecnologiche più sofisticate. E qui un dettaglio significativo. Anche se le accomodanti proiezioni ufficiali tendono a privilegiare la nozione di “pace” nell’immagine dell“Islàm”, in realtà, le cose sono meno limpide e innocenti. Semanticamente, la radice alla base del termine salama, da cui appunto proviene Islàm, implica tanto la pace quanto la “sottomissione” (a Dio). Conditio sine qua non della pace è insomma la sottomissione. Per avere pace, bisogna arrendersi e sottomettersi, ma a chi? Inevitabilmente, ai tutori terreni della fede, Imam,  Califfi, predicatori di tutte le risme di tutte le risme - lanche 'Occidente ha conosciuto i suoi Savonarola - o, peggio, i terroristi. I Papi del Medioevo condividevano a loro modo tale visione del mondo e per lungo tempo cercarono di imporla ai vari regnanti, anche con la spada o le scomuniche.

        Ironicamente, il mondo sognato dal fanatismo dei mujahidin in questione assomiglia sotto molti aspetti a quello dei Papi medioevali, un mondo che l’occidente ha ripudiato da secoli, separando la sfera religiosa da quella politica. I Musulmani, anche quelli meno radicali e più moderati, non ci sono riusciti e sembrano avere molte difficoltà in merito. Per questo, l’integrazione sincera e senza riserve dei MusulmanI in una società laica è un’eccezione piuttosto che la regola, come dimostra una miriade di episodi. Ecco perché si registrano in Europa tante comunità musulmane auto-ghettizzate e gli antichi equilibri culturali vengono sempre più messi a dura prova.

      Ma ritorniamo ancora una volta al futuro di questa crisi e alla soluzione così spesso auspicata fin dagli albori dello Stato di Israele, ovvero quella dei due Stati. Essa appare suggestiva ma, come tutte le soluzioni ideali, appare difficilmente praticabile. Che territori includerebbe infatti un eventuale Stato palestinese e dove abiterebbero i suoi cittadini? L’attuale Autorità palestinese assorbirebbe Gaza e questa sarebbe disposta a farsi assorbire? E il territorio di quest’ultima diventerebbe una succursale marina di un neo Stato palestinese?  Se così fosse, la carta della regione diventerebbe un caotico intrico di confini con immaginabili conseguenze giuridiche, doganali e politiche. Se invece l’accorpamento implicasse una ricollocazione dei Palestinesi di Gaza nei territori adiacenti il Golan, verrebbe richiesto agli Israeliani un compenso territoriale per lo scambio, ma costoro lo accetterebbero? E che ne sarebbe di Gerusalemme? E fino a che punto si sentirebbe sicura una Giordania con altri milioni di Palestinesi che premono ai suoi confini? C’è da immaginare, non bene.

      A parte questi scogli geografici  e amministrativi, si aggiungono problemi di ordine economico e politico. Almeno in teoria, un’entità statale dovrebbe essere anche economicamente indipendente e capace di difendersi. In realtà, già ora, né Gaza né l’Autorità palestinese lo sono e vivono di favori e sussidi da parte degli Stati arabi ricchi.In quanto alla loro difesa, anche lì, i mezzi vengono da fuori. Ora, i favori, si sa, generano anche obbligazioni. Un domani, per quanto in apparenza Stato, entrambe continuerebbero a non essere economicamente e politicamente indipendenti e inevitabilmente, ancora una volta, clienti passivi e servizievoli di Stati più potenti e più ricchi. L’unica cosa che cambierebbe sarebbe l’etichetta giuridica. Ma vi è di più: la creazione di uno Stato palestinese farebbe automaticamente  scomparire la presenza di Hizbollah a nord? Eliminerebbe gli influssi e le manovre dell’Iran? Annullerebbe le vecchie rivendicazioni anti-Israele? Non vi sono elementi che confortino tale ipotesi. In altre parole, la soluzione dei due Stati assomiglia a un mito, attraente ma per molte ragioni illusorio.

      Per portare agli estremi il concetto, potremmo provocatoriamente immaginare, con scandalo di molti lettori, che dopo la partenza degli Inglesi dalla Palestina   nel 1948 non si formasse nessuno Stato di Israele, addirittura che non vi fossero affatto Israeliani, ma che esistesse solo uno sparuto manipolo di Arabi palestinesi circondati dall’Egitto a est, da una Giordania a sud e da Libano a nord. Cosa sarebbe avvenuto in tale regione per secoli terra di nessuno? Tutto lascia pensare che qualcuno avrebbe cercato di estendere la sua  posizione nel territorio a spese degli altri, accampando diritti vari. Difficilmente, questo qualcuno sarebbero stati gli Arabi palestinesi, sprovvisti di capacità militari, di risorse, di precedenti esperienze organizzative e soprattutto di un epos nazionale, di cui al contrario sia Egiziani che Libanesi e Giordani erano provvisti sia pure in differenti misure. Supposto che ciò accadesse, l’unica differenza rispetto alla situazione attuale è che l’eventuale usurpatore non sarebbe ebreo. ma quasi sicuramente non sarebbero gli Arabi palestinesi!

       Se la simulazione è provocatoria anche la soluzione dei due Stati non affronta i nodi collaterali dello scenario. Essi sono l’esistenza di gruppi terroristici armati come Hamas e Hizbollah e gli intrighi e le mire di interessati burattinai, dalla Turchia all’Iran e al Qatar. Parlare di soluzione del problema palestinese ha senso solo se primai suddetti nodi sono stati tutti debitamente eliminati o resi inoffensivi, dal primo all’ultimo. Quella di Hamas è una chirurgia molto parziale e non sufficiente.

       Forse a quel punto, eliminati gli attizzatori dell’odio e smascherate le amicizie  fraudolente, gli Arabi palestinesi per primi si renderebbero conto che essere a pieno diritto cittadini di Israele potrebbe riservare loro una pace e benefici che i loro supposti difensori di oggi non gli hanno mai offerto e che sarebbero fra l’altro di gran lunga più fertili e più realistici delle velleità di una falsa indipendenza nazionale con i piedi di argilla.

Anronello Catami, Atene, 6 novembre 2023

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Migranti: un nuovo tipo di guerra

       Oggi si assiste a una serie di inquietanti contraddizioni. Una di esse è il contrasto fra la sempre maggiore efficienza degli strumenti di trasmissione delle informazioni e delle notizie e l’amplificazione e lo stimolo che tali strumenti conferiscono alle più sfrenate stupidaggini, ipocrisie e distorsioni concettuali. Piovono a cascata, giornalmente, senza tregua  

      Questo nuovo tipo di oppio, apparentemente innocente, si insinua nei cervelli, si stratifica, si consolida e diventa una lente deformante collettiva.

      Il tema dei migranti costituisce un esempio per eccellenza di tali aspetti. Esso occupa le testate dei giornali, i canali televisivi, le discussioni politiche sia in Europa che oltre Atlantico, ma la lente è deformata e ben pochi, a livello ufficiale, hanno il coraggio di dare al fenomeno  il nome che gli spetta.

      Come è noto, anche il mondo antico conobbe il fenomeno di masse intere di popolazioni che penetravano nei confini altrui. I libri di storia non esitano a definirlo come “invasioni”, sia che si trattasse di Germani, Vandali, Ostrogoti, Unni o Mongoli. 

      Oggi, nonostante appunto masse intere di individui penetrino o cerchino di penetrare in confini altrui, una singolare ipocrisia o miopia vieta di definire il fenomeno come “un’invasione”. Un’invasione destabilizzante, catastrofica non solo economicamente ma soprattutto socialmente, etnicamente, culturalmente. Ecco così il Primo Ministro italiano Giorgia Meloni, che in tempi elettorali aveva promesso dei fantomatici blocchi navali, limitarsi ad affermare alle Nazioni Unite che gli arrivi per mare hanno posto l’Italia “ sotto un’incredibile pressione”. Un patetico eufemismo che maschera la vera natura del problema, il suo vero nome.

      Durante La stessa seduta delle Nazioni Unite, molti sono stati gli interventi. Fra di essi, si sono distinti per impudenza quelli del Presidente iraniano, che addirittura pretendeva di dare lezioni di democrazia all’Assemblea; quelli grotteschi del Presidente commediante  ucraino in maglietta, sempre più torvo e truce, che ha sostenuto che la difesa dell’Ucraina è la difesa della democrazia nel mondo (sic). Dulcis in fondo,l’intervento del Presidente americano, che biascicando ha informato che gli Stati Uniti continueranno ad investire (ovviamente con armi) in Ucraina. Ha  infatti chiesto altri 24 miliardi di dollari al Congresso….Non una parola sui migranti, nonostante ogni giorno, col beneplacito dell’Amminstrazione di Washington, penetrino indisturbati ai confini ben 7.000 individui. La senile e disastrosa ostinazione di quest’uomo sempre più balbettante e dallo sguardo allucinato si commenta da sé.

      Il fatto che le dichiarazioni del Primo Ministro italiano siano state dunque allineate alla retorica dei suddetti oratori non diminuisce la gravità dell’accomodante eufemismo delle sue dichiarazioni. Dall’inizio dell’anno, 130.000 individui sono entrati nel territorio italiano con la docile connivenza delle stesse autorità italiane. Il colmo della schizofrenia è rappresentato dall’affermazione dello stesso Primo Ministro, secondo cui “l’Italia e l’Europa hanno bisogno dei migranti”. Quello che stupisce non è tanto il perché il Primo Ministro non si sia ancora dimesso per dignità ma il fatto che i disgraziati cittadini di Lampedusa e della Sicilia non si siano rivoltati in massa.

      La cruda verità è insomma che il fenomeno dei migranti corrisponde a tutti gli effetti a delle invasioni. E’ semplicemente sbalorditivo che i Governanti europei mostrino tanta remissività e indecisione al riguardo e abbiano investito enormi capitali e risorse nel conflitto russo-ucraino, viziato fin dall’inizio e stimolato dalle isterie anti-russe corroborate da sanzioni altrettanto isteriche e balorde. A metà strada fra la stupidità e il masochismo è inoltre il fatto che, per assecondare la demenziale paranoia anti-russa americana, tali Governanti si siano anche privati di fonti di energia a buon mercato. Non ci sono parole sufficienti per definire tanta dabbenaggine. Anziché dedicare tempo e risorse per arginare l’invasione reale, una coorte di pseudo uomini politici si è data da fare per arginare una supposta invasione russa dell’Europa. Potenza delle allucinazioni.

      Ora, allo stesso modo in cui, ai tempi della II Guerra mondiale, la Gran Bretagna si era resa conto che l’Italia costituiva il ventre molle dell’Asse, oggi sia i disperati che i contrabbandieri di vite umane hanno capito che proprio l’Italia offre molte opportunità, sfruttando quindi, oltre a una mal riposta compassione,  anche il famigerato “Diritto del Mare”, ovviamente stravolto e mistificato. Da nessuna parte, infatti, quest’ultimo ipotizza il transito e il salvataggio di migliaia e migliaia di imbarcazioni deliberatamente poste in mare per contrabbandare degli individui. I prima citati 130.000 arrivi fino ad ora sono comunque la conferma che l’escamotage funziona. Nella peggiore delle ipotesi, qualcuno affoga, ma la maggior parte approda e viene accolto. 

      Chi si oppone all’’uso perverso e maligno del suddetto “Diritto del Mare”, come fece a suo tempo l’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini, rischia di essere incriminato per delitti contro l’umanità o nel migliore dei casi è tacciato di “razzismo” e “fascismo”. Dalla fine della II Guerra Mondiale in poi, queste due etichette hanno offerto alle menti deboli e insomma agli imbecilli e agli ignoranti un comodo strumento di demonizzazione di tutto ciò che andava contro la pigrizia e l’apatia della maggioranza silenziosa. Una forma di maccartismo europeo che tutt’ora imperversa e che in parte spiega l’omertà e la reticenza di molti nell’esprimere la loro sincera opinione. In realtà, la resurrezione del fascismo in forma subdola.

      Non stupiscono quindi la timidezza e l’ipocrisia a proposito della vera natura dell’attuale gigantesco movimento di masse umane. Quasi superfluo menzionare come dietro quest’ultimo agiscano due enormi meccanismi affaristici dalle dimensioni poco sottostimabili: quello della mafia contrabbandiera trasportatrice (nel caso del Mediterraneo) e quello, legittimato, del poco trasparente apparato degli aiuti comunitari, ovviamente attinti alle tasche dei contribuenti europei. 

     L’inarrestabile flusso migratorio viene quindi di volta in volta per così dire legittimato da pretestuose, mal riposte e in buona parte false nozioni quali la compassione, il “Diritto del Mare, la ”Convenzione di Ginevra, l’illegalità dei blocchi navali in tempo di pace, etc. Esso è inoltre difeso dal cinismo di quanti affermano che “tanto il problema è insolubile.” Vanno poi aggiunte le accomodanti e bizantineggianti distinzioni fra “migranti” e “profughi”. In realtà, nessuno sa esattamente quanti e chi siano i profughi e quanti e chi siano i migranti.

     Vi è da rimanere sbalorditi dal livello di confusione, distorsione e ipocrisia che circonda l’argomento e soprattutto dalla remissività e docilità con cui, da un capo all’altro dell’Europa, i relativi cittadini subiscono le disastrose politiche in proposito. Cosa ancora più incomprensibile, nessuno sembra ricordare il perché vi siano tanti profughi o comunque migranti e porsi la domanda se a suo tempo fu fatto qualcosa per impedirlo. I  vari governi europei che adesso si agitano, non mossero un dito quando le invasioni in Iraq e in Libia ruppero gli argini che per decenni avevano tenuto sigillati quei confini a est e a sud. 

     Al tempo dei tanto denigrati Saddam Hussein e Muammar Gheddafi, nessun esodo.

      Che a provocare tale rottura di argini sia stata l’Amministrazione americana non esime dalle loro responsabilità tutti quei Governi europei che non si opposero. Del resto, molti stoltamente collaborarono (vedi la Francia di Sarkozy). Lo stesso vale per la trasformazione della Siria in un campo di calcio armato. Da qui le turbe umane che scapparono fra il 2015 e il 2016. Si oppose qualcuno ai vari contendenti per procura, dalla Turchia all’Iran, la Russia e gli Stati Uniti? Nessuno. 

     Da notare che gli Americani assassinarono Saddam Hussein, ma non fecero nulla di analogo per cercare di far implodere il regime dei turbanti di Teheran. Le sanzioni sono state un comodo ma inefficace compromesso. Il protrarsi, in pieno XXI secolo, di una teocrazia così visceralmente fanatica nonché oppressiva soprattutto nei riguardi delle donne costituisce un’anomalia non meno surreale del regime di Pyongyang. Non meno surreale, il fatto che l’Amministrazione americana ora patteggi col suddetto regime sotto varie forme, ultima delle quali il rilascio di 6 miliardi di dollari congelati dietro la liberazione di ostaggi. Paradossalmente, anche l’arci-nemico di Washington, la Russia di Putin, sembra prediligere flirts di cattivo gusto e molto poco onorevoli con il regime di Teheran. Questa è probabilmente la vera grande colpa di Vladimir Putin degli ultimi 20 anni. Se aveva ragioni da vendere con l’Ucraina, ne ben poche ha con l’Iran.

      Insomma, sulle ragioni e origini di una parte dell’esodo terrestre da oriente nessuno fiata e tutti fanno finta che non c’entrano nulla.

     In quanto all’esodo da sud, e cioè dalle coste dell’Africa, anche lì sembra che tutti facciano a gara per ignorare la banale realtà: indirettamente, in maniera strisciante e silenziosa, l’Africa esporta o espelle le sue tensioni, le sue lacerazioni sociali e razziali, la sua vertiginosa crescita demografica. Basterebbe pensare che nel 1850 la sua popolazione era pari a circa 100 milioni, mentre oggi ha raggiunto i 1.460 milioni (Fonti: FMI, Worldometer). L’incremento la dice lunga. Da allora ad oggi non vi è stato un comparabile aumento del PNL dell’Africa. Anche se in crescita, senza l’aggiustamento e la cartina di tornasole della corrispondente crescita della popolazione nello stesso periodo, ogni dato positivo sulla crescita economica  è inevitabilmente ingannevole per non dire falso. In altre parole, l’economia africana cresce, ma la sua popolazione cresce ancora di più. Quel di più  sono i milioni e milioni che cercano di fuggire.

      Non è un caso che anche il movimento di migranti che oggi investe i confini meridionali degli Stati Uniti obbedisca agli stessi meccanismi di esplosione demografica e di fuga. La popolazione dell’America Latina e dei Caraibi  è infatti passata da circa 168 milioni nel 1950 a circa 665 milioni nel 2023. (Fonte: Macrotrends). Quella del Messico in particolare, direttamente confinante col gli Stati Uniti, è passata dai 14 milioni nel 1900 ai 28 nel 1950 fino a raggiungere i 128 milioni nel 2023 (Fonte: Statista). Un disastro con pochi confronti. In altre parole, anche i migranti che si riversano a milioni sui confini degli Stati Uniti sono figli dell’esplosione demografica, che i vari Paesi del Continente non sono riusciti a frenare. Come sosteneva a suo Tempo A. Huxley in A brave new world revisited, proprio i progressi della medicina e dell'igiene sono paradossalmente uno dei più attivi fattori del drammatico incremento demografico del pianeta, che non attrae l'attenzione che merita da parte dei governanti.

      Mentre quindi il fenomeno migratorio non è limitato all’Europa e al Mediterraneo, le migrazioni africane sono influenzate da fattori che si aggiungono alla pressione demografica. Se infatti  formalmente l’era coloniale finisce attorno agli anni 1960, gli effetti della decolonizzazione sono ben lontani dall’essere cessati. 

      In molte regioni africane gli abusi e le violazioni commesse dagli Europei nel periodo coloniale sono state superate o comunque ampiamente pareggiate dai genocidi, scontri armati, faide locali che ancora insanguinano parte del Continente. Senza per questo nobilitare o giustificare in nessun modo l’era coloniale, rimane un fatto incontrovertibile: in quel periodo non vi era nessun esodo verso il nord e tantomeno esistevano sacche fondamentaliste e agitatori terroristici. A parte la minore pressione demografica, un maggior ordine pubblico e un più stretto e diffuso controllo delle vie di transito lo rendevano insomma impossibile. Ma anche a nord, sulle coste del Mediterraneo, il controllo delle allora Potenze coloniali agiva da freno e anche in questo caso non era ancora emersa la cancrena del terrorismo islamico. Oltre che da incredibili povertà, è anche da simili conflitti etnici e religiosi che scappano i migranti (vedi per esempio i recenti furiosi scontri fra fuoriusciti Eritrei in Israele). Che c’entra l’Europa con tutto ciò? E semplicistico e sempre più falso continuare a collegare simili situazioni , come fanno vari leaders africani, col passato coloniale.

      Ben pochi sembrano in ogni caso rendersi conto che sia il cambiamento climatico che l’esodo dall’Africa sono strettamente collegati alla vertiginosa crescita demografica. Che il problema esista, lo sanno evidentemente anche molti dei suddetti leaders africani, specie della regione del Sahel. Non risulta tuttavia che vi siano in Africa drastici progetti globali di contenimento o blocco delle nascite. 

      Mentre è ragionevole prevedere che nel lungo termine l’esplosione demografica affosserà lo sviluppo umano (= la qualità media della vita)  del Continente,  già oggi essa sta comunque destabilizzando tutto il bacino del Mediterraneo e l’Europa occidentale germanico-romanza (profughi e migranti non prediligono i Balcani e i Paesi slavi). La responsabilità dei vari Governi locali,  a cui quelli europei non hanno mai intimato con fermezza delle reali misure di controllo e contenimento di transito, è scarsamente sottostimabile.  Quando i Farisei sostengono che i blocchi navali sono legittimi solo in caso di guerra e che quindi non sarebbe accettabile posizionare delle flotte di fronte a Stati sovrani, costoro sembrano trascurare il fatto che l’attuale invasione, di cui tali Stati sono corresponsabili, ognuno a suo modo, corrisponde a un’invasione del territorio, alla sua destabilizzazione sociale ed economica, insomma a una guerra sotto altro nome. La penetrazione forzosa di gruppi umani in un altro territorio scardina la millenaria nozione giuridica e geografica dei confini e corrisponde insomma a una guerra.. Negarla o sottovalutarla equivale a legittimare il caos in nome di mal riposte nozioni di compassione, che sono in realtà una dissimulata apatia, indifferenza e mancanza di responsabilità.

             In conclusione, il problema dei migranti dissimula una tragica serie di omissioni, di mistificazioni, di ipocrisie, una clamorosa mancanza di visione di un futuro già presente (i miserandi ghetti spuntati come funghi in tutte le città europee). Finchè le nazioni europee non difenderanno realmente i loro confini e le nazioni esportatrici e corresponsabili dell’incontrollato flusso umano non saranno chiamate alle loro responsabilità e messe di fronte a misure appropriate, qualsiasi discorso sui migranti è solo una patetica e criminale presa in giro le cui vittime sono i cittadini del luogo.

Antonello Catani, 22 settembre 2023

      

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