La Georgia e il copione ucraino

La Georgia e il copione ucraino

    Le attuali dimostrazioni in Georgia e il modo in cui esse vengono interpretate e diffuse dalla maggior parte dei mass media e delle istituzioni europee e americane suggeriscono con prepotenza la replica  di un copione: quello ucraino. Anche nel 2013, nella piazza Maidan a Kiev, folle di dimostranti inneggianti alla democrazia protestarono contro un governo democraticamente eletto, provocandone la caduta e l’ascesa di un presidente commediante. Il ruolo avuto in tali eventi dalla faccendiera Victoria Nuland, alto funzionario del Dipartimento di Stato americano, è un segreto di Pulcinella  e non vale la pena di insistervi.

     Il risultato del colpo di Stato è sotto gli occhi di tutti, almeno di coloro che li tengono aperti: montagne di armi, corruzione dilagante, 500.000 morti, run Paese semi distrutto, un regime ormai dittatoriale con legge marziale, senza opposizione e con elezioni rimandate sine die. Nonostante tale catastrofico risultato e il criminale sperpero di risorse e vite umane, sembra che la lezione non sia bastata e la storia pare stupidamente ripetersi. Non si sa se meravigliarsi o indignarsi per tanta ottusa insistenza.

    Almeno ufficialmente, la levata di scudi e le critiche nei confronti del governo georgiano riguardano il progetto di legge mirante a rendere trasparenti le attività delle organizzazioni non governative (ONG) operanti in Georgia e finanziate dall’estero. Il progetto di legge prevede infatti che le organizzazioni che ricevono più del 20% dei loro fondi dall’estero dovranno registrarsi come agenti al servizio di entità straniere. Da notare che proprio  la UE sta per approvare una legge volta ad assicurare che organizzazioni e individui operanti al servizio di Stati estranei alla UE emettano dei rendiconti pubblici sulle loro attività a i fondi ricevuti. 

    Vale inoltre la pena di ricordare che una legge simile, il Foreign Agents Registration Act è in funzione negli Stati Uniti addirittura dal 1938. Più precisamente, la legge in questione richiede, come recita espressamente il sito del Dipartimento di Giustizia, “che certi agenti di potenze straniere, debitamente registrati come tali e che sono impegnati in attività politiche o di altra natura, debbano emettere periodici pubblici rendiconti della loro relazione con entità straniere così come anche delle attività, finanziamenti ed esborsi connessi a tali attività.”

    Insomma, il Governo georgiano è accusato di voler applicare delle misure già in vigore da decenni negli Stati Uniti e che stanno per esserlo anche nella UE. La contraddizione e il criterio dei due pesi e delle due misure non potrebbero essere più clamorosi e impudenti. Come mai tanto zelo? I ministri degli esteri di Lettonia, Lituania, Estonia e Islanda si sono addirittura precipitati a visitare il presidente georgiano, contrario alla legge, per esprimerle tutta la loro solidarietà e il loro sostegno. Di fatto, una plateale intromissione negli affari interni della Georgia.

 

     La suddetta visita, i commenti europei sulla questione e le stesse dichiarazioni dei dimostranti georgiani la dicono lunga sulla ormai consolidata tendenza allo stravolgimento dei fatti e offrono un istruttivo esempio di come la demonizzazione dell’Altro sia al servizio della manipolazione degli ingenui.

     Ecco per esempio Il quotidiano Il Giornale tacciare la legge di “illiberale” anche se di fatto non spiega perché. Gli aggettivi pittoreschi sono di moda.  Il sito The Watcher Post, va ancora più in là, perchè afferma che  la legge mira “a mettere in una black list” (sic) tutte le organizzazioni operanti in Georgia che ricevono almeno il 20% di finanziamenti dall’estero. Anche in questo caso, non solo la definizione di black list è fuorviante ma non vengono fornite ulteriori spiegazioni sul perché.

      Il lessico in proposito diventa progressivamente ancora più demonizzante. Secondo Il Riformista,  infatti, “la repressione in Georgia è già iniziata, con la polizia che ha iniziato a picchiare i manifestanti e ad arrestarli”. 

     Insomma, lo scenario proiettato è quello di un regime oppressivo e dittatoriale. Da notare che il partito al governo ha vinto le elezioni per tre volte di seguito e che la legge è stata approvata con una schiacciante maggioranza. La demonizzazione in alcune significative  dichiarazioni  di Peter Stano, portavoce del Servizio di Azione Estera dell’Ue, secondo cui la legge in questione “è molto pericolosa per le ambizioni europee della Georgia. Le attese dell’Ue sono molto chiare: l’adozione di questa legge è un ostacolo grave nel percorso della Georgia per l’ingresso in Ue”. Non meno enfatica, la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola, che scrive su X: “Tbilisi, ti ascoltiamo! Ti vediamo! I Georgiani nelle strade sognano l’Europa. Sventola con orgoglio la bandiera europea.

       Il canto dell’allodola (ovvero l’adescamento) per i Georgiani è insomma chiaro, così come lo sono le minacce. Un libro aperto.  L’ingresso nella UE e magari anche nella NATO sono subordinati al docile allineamento con Bruxelles e alla presa di distanza da Mosca non solo a livello diplomatico. La situazione non potrebbe essere infatti più ingarbugliata. La Georgia ha rotto i rapporti diplomatici con la Russia dopo la separazione dell’Ossetia e dell’Abkazia. D’altra parte, il Paese non ha partecipato alle sanzioni anti-russe. Nello stesso tempo, il fondatore dell’attuale partito al governo (“Il sogno georgiano”) è un miliardario arricchitosi in Russia. Difficile infine dimenticare che Stalin era georgiano e che intere fasi di storia e di generazioni georgiane del XX secolo hanno avuto uno scenario russo. Le aspirazioni di una parte della società georgiana, soprattutto dei giovani, a un ingresso europeo contrastano insomma con la storia e la geografia del Paese, ancora più eccentrica e distante dall’Europa della stessa Turchia.

       La più prosaica verità è che dietro le ostilità euro-americane nei confronti del contestato progetto legge sulle organizzazioni agisce il vecchio e onnipresente progetto anti-russo, divenuto un’ossessione auro-americana dopo esserlo stato di Napoleone, della Gran Bretagna imperiale e poi di Hitler. Di fatto, l’ostilità è anche una coda di paglia: la trasparenza richiesta alle varie organizzazioni, infatti, rivelerebbe fino a che punto settori chiave dell’economia e delle istituzioni georgiane sono dipendenti da finanziamenti esterni e quindi di fatto condizionati e influenzabili. Al di là degli slogans democratici, diventano a questo punto più evidenti anche le reali ragioni delle reazioni popolari al progetto legge, fra l’altro stimolate e rinvigorite dai moniti comunitari. Non solo diventerebbe chiara la natura, peso e identità dei vari finanziatori stranieri, ma il loro eventuale ostacolo colpirebbe privilegi e vantaggi acquisiti, mentre l’irritazione di Bruxelles minerebbe le aspettative di ingresso nella UE.

     Il meccanismo psicologico e la sequenza non fanno una grinza.

 

     Fra le numerose organizzazioni straniere operanti in Georgia, l’americana USAID  costituisce un esempio istruttivo di quale possa essere il loro peso economico e quindi la relativa capacità di influenza. Secondo dati della stessa suddetta agenzia, negli ultimi 30 anni la Georgia ha ricevuto dagli Stati Uniti aiuti pari a 6 miliardi di dollari, di cui due miliardi erogati dalla stessa USAID. La cronologia  non è casuale: gli aiuti coincidono con il progressivo allargamento della NATO. Tenendo conto che il PNL del Paese ammonta a non più di 28 miliardi di dollari, appare ancora più evidente l’entità e peso di tali aiuti. Non meno significativa è la missione che l’USAID si attribuisce. Vale la pena di trascrivere alcune definizioni: “L’USAID collabora col governo e col popolo della Georgia  al fine di rafforzare la sicurezza del Paese, la sua sicurezza e le sue istituzioni democratiche…L’attività dell’USAID migliora la sicurezza nazionale americana e dimostra la generosità dell’America…”

       In altre parole, dietro il velo dell’indignazione e dell’ostilità delle varie istituzioni europee e delle proteste popolari locali agisce un consolidato meccanismo di striscianti ricatti e vassallaggi da una parte,  unito dall’altra al timore di dover rinunciare a certi vantaggi ormai acquisiti. La trama è in fondo banale. Il gioco del panem et circensens ha una lunga storia.

       I Georgiani corrono il rischio di cadere nella tragica trappola in cui sono caduti milioni di Ucraini a causa del dilettantismo di un ex-commediante e della caparbia stupidità della classe dirigente americana incapace di perseguire, come ha affermato di recente Jeffrey Sachs, “le vie della diplomazia”. I pericoli sono dunque reali. La visione di un Segretario di Stato americano che suona la chitarra elettronica a Kiev mentre sul fronte orientale dei giovani continuano ad essere mandati allo sbaraglio dovrebbe aprire gli occhi a tutti quei Georgiani a cui si cerca di far passare il messaggio che i Russi sono cattivi e che gli Europei e gli Stati Uniti sono buoni.

       Ma la trappola è ancora più beffarda: i Georgiani anelano ad essere accolti in un organismo (la UE) sempre più autoritario e dispotico, sganciato dalle realtà nazionali,  gestito da burocrati di basso livello e di fatto docili strumenti degli Stati Uniti. Gli aspiranti membri sono attirati con la promessa di piccole carote, e i grandi sono minacciati (vedi Ungheria) con lo spettro di privarli di carote più grandi. Nel caso dei dissidenti anche non membri (vedi Serbia), l’alter ego e braccio destro, la NATO, compie selvagge azioni punitive in nome della democrazia. E i Georgiani aspirano ad entrare anche nella NATO…

       Non hanno capito.

Antonello Catani, 18 maggio 2024

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