L'effetto domino

L'effetto domino

     Il recente rapporto sui documenti ufficiali indebitamente conservati dal Presidente americano Biden anche nel garage della sua abitazione, che lo esonera da una condanna, ha suscitato un putiferio e costituisce un coltello a due tagli. Da una parte esonera il Presidente e, dall’altra, proprio definendolo “un simpatico vecchio con scarsa memoria”, evoca fatalmente la domanda del come allora egli possa ricoprire la sua carica.  

     Prima ancora che dal suddetto rapporto, la narrativa ufficiale di un Presidente capace di dirigere la nazione, strenuamente difesa dalla Casa Bianca e anche da social media allineati, quali CNN e MSNBC, è impietosamente contraddetta da una folla di comportamenti. I suoi frequenti e ripetuti vuoti di memoria, gli scatti spesso rabbiosi nei confronti dei giornalisti, il dettato spesso incerto e confuso da molti mesi a questa parte, i visibili bigliettini da lui usati nelle interviste e nei colloqui, incluso quello recente con Scholz, e infine le sue sempre più brevi e controllate apparizioni pubbliche sono eloquenti segnali di un progressivo declino fisico e mentale che solo gli struzzi possono ignorare. Rimane pertanto incomprensibile come Joe Biden pensi a un secondo mandato e inoltre che i suoi alleati democratici non abbiano ancora cercato un altro candidato. Paura di un eventuale subentro di Kamal Harris oppure del senatore democratico Bernie Sanders, anche lui ultra ottantenne? Oppure, semplicemente il Partito democratico non è in grado di trovare alternative più promettenti? Le voci (peraltro cervellotiche) che non escludono una possibile candidatura della stessa moglie di Barak Obama, confermano che il partito democratico non sembra avere dei candidati di riserva.

     Già questi elementi, a cui si possono aggiungere le incertezze riguardo all’atteso verdetto della Corte Suprema circa la legittimità di escludere Donald Trump dalla competizione elettorale, danno un’idea della confusione di fondo che regna sulla scena politica americana ma che oscura un altro problema assai più inquietante.

     Il declino mentale del Presidente, pateticamente negato dal Partito democratico e dai suoi sostenitori, legittima infatti un-ovvia domanda:  da “chi”è in realtà gestita la politica americana? E da quanto tempo, negli ultimi 3 anni? Di chi sono figli il mal congegnato ritiro dall’Afghanistan, la politica estera cocciutamente incentrata sul sostegno all’Ucraina, la spasmodica attenzione per Taiwan e il sostanziale disinteresse per il Medio Oriente?

     L’ipotesi  più realistica e banale è che le senili ostinazioni pro-Ucraina di Joe Biden siano state e vengano sfruttate o pilotate da una ristretta cerchia di Consiglieri e opachi Centri di potere, a cui la figura del Presidente offre uno schermo. Si tratta di uno scenario non insolito e del resto anticipato già molti anni or sono da vari studiosi americani (vedi, per esempio, The Invisible Government, di D. Wise e Thomas Ross, apparso nel 1964).

    Chiunque di fatto gestisca il potere, gli effetti pratici sono comunque fallimentari.  

    Per quanto guarda la politica estera, una buona parte dei disordini e dei conflitti che sconvolgono attualmente il Medio Oriente sono una conseguenza dell’ossessiva e unilaterale strategia americana anti-russa che ha fatto perdere di vista ciò che stava maturando in giro per il mondo, inclusi gli stessi confini sud degli Stati Uniti.

     In tutti questi anni, gli Stati Uniti, docilmente seguiti da Bruxelles, hanno speso tempo, denaro ed energie nel tentativo di indebolire il supposto nemico russo, ignorando altri e ben più pericolosi protagonisti e fenomeni, che ora stanno emergendo in maniera sempre più incontrollata.

     Fra di essi, si possono citare la sempre più imperterrita invasione migratoria; la strisciante ma progressiva islamizzazione dell’Europa; l’espansionismo regionale iraniano portato avanti tramite quinte colonne di integralisti islamici; la sotterranea costruzione di un gigantesco arsenale anti-Israele a Gaza e in Libano; i capricci di una Turchia, ironicamente membro della NATO ma anche in ambigue relazioni con Hamas e ora braccetto con l’Iran, per giunta sovrappopolata e sull’orlo della bancarotta ma con revanchismi imperiali.

      Questi fenomeni, ognuno dei quali con ulteriori destabilizzanti riverberi, non sono spuntati all’improvviso, maturavano da tempo. La distrazione, la miopia, e il dilettantismo  ne hanno accelerato l’esplosione. La guerra in Palestina fornisce solo un pretesto ai suddetti attori per scacciare gli USA dalla regione, eliminare Israele e instaurare regimi d’ispirazione integralista. Vale la pena di menzionare come   distrazioni e abbagli simili siano già accaduti in passato e sempre con risultati spiacevoli. Nel VII secolo, Bizantini e Persiani persero tempo ed energie a combattersi a vicenda, non accorgendosi dell’imminente eruzione dei beduini della Penisola Araba. I costi furono il crollo dei Persiani (i Sasanidi) e la progressiva islamizzazione del Medio Oriente.  Nel XVIII secolo i Francesi, distratti dalle loro beghe europee, persero i loro possedimenti coloniali in Canada e in India.  Anche qui, i costi della miopia furono altissimi.

      Insomma, molti elementi suggeriscono che Washington e Bruxelles siano vittime di distrazioni analoghe e che altri temi avrebbero dovuto assorbire tutta la loro attenzione.      

      Nulla di ciò è avvenuto. Attenzione e risorse sono state sperperate prima nei Balcani, agevolando l’infelice disintegrazione della ex-Jugoslavia, e adesso con l’Ucraina, per difendere un regime palesemente reazionario e corrotto, gestito da un ex-commediante. Energie analoghe sono spese in Asia orientale, con Taiwan e Filippine.

      Come se ciò non bastasse, Europa e Stati Uniti sono nel frattempo diventati un colabrodo migratorio e qualsiasi invito alle restrizioni viene tacciato di “estremismo di destra” e mancanza di solidarietà.

      I risultati sono noti. In Italia, per esempio, gli abitanti di Lampedusa sono diventati vittime esemplari di un incessante arrivo di barconi. In ciò non sono soli. Anche senza barconi, il Texas è diventato il bersaglio di inarrestabili moltitudini che si riversano a mo’ di Zombie verso i confini. I suoi abitanti, nella persona del governatore Abbott, stanno perlomeno provando a bloccare il flusso, contrastati tuttavia da un Presidente che invia la polizia federale a rimuovere il filo spinato collocato dalla guardia nazionale texana. Sembra assurdo, eppure è ciò che accade.

      Il surreale disegno di legge del senato, che prevedeva altri 60 miliardi (!) di aiuti all’Ucraina  e (solo) 14 a Israele, legittimando inoltre l’ingresso giornaliero di 5000 immigranti illegali, è stato respinto dalla Camera dei Rappresentanti. Mentre osservatori locali definiscono la situazione come “una traiettoria suicida”, la schizofrenia del suddetto fallito progetto di legge è evidente. Anziché occuparsi dei problemi domestici, dalla criminalità dilagante, dei milioni di poveri locali, del gigantesco debito pubblico da 33.000 miliardi, l’Amministrazione di Washington ha facilitato l’ingresso in soli 3 anni di oltre 9 milioni di non meglio identificati immigranti illegali. A costoro si pensa di dare un permesso immediato di lavoro, carte di credito, vitto e alloggio. Un insulto per i ca. 37 milioni di Americani poveri registrati dall’Ufficio Censimenti Americano nel 2022. 

      Le accuse secondo cui questa deliberata politica dei confini aperti corrisponde a un ineffabile disegno dei Democratici di fabbricare un futuro serbatoio di voti sono l’unica ragionevole spiegazione dell’attuale politica dei confini aperti.

     Se ritorniamo ora alla politica estera, gli attuali spostamenti di equilibri ed alleanze e la tumultuosa serie di tensioni e conflitti militari appaiono come l’inevitabile nemesi della suddetta monocentrica strategia americana. Quelli che seguono sono alcuni degli effetti in proposito.

     I massicci e continui aiuti militari all’Ucraina e le sanzioni hanno avuto como risultato il rafforzamento dei rapporti della Russia con la Cina, per non menzionare la costituzione del BRIC. La concentrazione delle attenzioni nei riguardi dell’Ucraina ha pertanto incoraggiato una serie di colpi di mano che attendevano solo l’occasione favorevole. Forte delle distrazioni euro-americane, Hamas ha così lanciato il suo attacco in Israele. Il riavvicinamento Israele-Arabia Saudita è fallito, almeno per il momento. La Cina si è inserita come paciere e intermediaria di alleanze in Medio Oriente, riavvicinando Iran e Araba Saudita.  Finanziati dall’Iran, gli Houthis  intervengono poi nella scena e con la scusa della Palestina mettono in crisi il traffico nel Mar Rosso. Si intensificano inoltre le disinvolte ma poco felici lune di miele, probabilmente non durature, di una Russia ortodossa con un Iran teocratico e sciita, ma anche con la Turchia e col regime di Pyongyang.

      In altre parole, i summenzionati eventi, così articolati e incrociati fra loro, non sono altro che un esteso “Effetto Domino”, evidentemente non previsto dall’Amministrazione di Washington.

     Il pasticcio, se si può utilizzare tale eufemismo, è notevole. Le invocazioni alla pace e simili esercizi verbali lasciano evidentemente il tempo che trovano. Solo un radicale mutamento della situazione può frenare e arrestare l’anarchia in corso.

     Per quanto l’ipotesi in questione possa apparire ai più una fantasia e magari anche un’aberrazione, una soluzione sarebbe che Washington e Mosca diventassero “alleati”. Proprio così! Una simile alleanza estinguerebbe una buona parte del caos e dell’anarchia attualmente vigenti in Medio Oriente, Turchia, Iran e Pakistan, con un gran profitto per la sicurezza mondiale. In più, ciò costituirebbe un argine alle non dissimulate ambizioni di invasione commerciale della Cina e alle paranoie della Corea del nord. I vantaggi sarebbero molteplici e ben più realistici delle velleitarie dichiarazioni e piroette dei vari summit indetti allo scopo.

      Il problema è che la soluzione sopra menzionata presuppone almeno 2 protagonisti, entrambi armati di visione e liberi da rovinose ideologie. Purtroppo, uno di costoro è in luna di miele con Cina e Iran, e l’altro non si sa esattamente che volto abbia, avvolto com’è in uno scenario confuso e opaco.

     Occorrerebbe un miracolo…

Antonello Catani, 14 febbraio 2024

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