Geopolitica, marionette e fanatismo

Geopolitica, marionette e fanatismo

        Da tempo avviene, sotto gli occhi di tutti, un gioco di marionette e pedine spacciato per difesa della democrazia (vedi Ucraina) e per la libertà (vedi la questione palestinese). In entrambi i casi, si demonizza un oppressore che spesso sta molto lontano dai premurosi difensori del diritto. Gli Stati Uniti utilizzano l’Ucraina per indebolire la Russia, mentre l’Iran, tramite i suoi luogotenenti, utilizza la striscia di Gaza per ampliare il suo disegno di influenza regionale, che va dallo Yemen fino alla Siria e al Libano. Le guerre per procura sono alla moda.

     Queste sono le premesse delle due crisi in atto dove non a caso agiscono due dei principali protagonisti: Stati Uniti e Russia. L’eterogenesi dei fini può essere  beffarda e maligna. Mosca, umiliata e offesa anche nei suoi musicisti (!) dal concerto euro-americano, è ora in indecorosi abbracci, perlomeno tattici, non solo con la Cina e con la Turchia del nuovo aspirante sultano ma soprattutto anche con l’Iran e Hamas. Quello che avrebbe dovuto e potuto essere il più formidabile alleato dell’Europa e degli Stati Uniti nel bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente, è diventato un sorridente alleato di regimi reazionari e di entità terroriste. La cosa non fa onore a Vladimir Putin e cancella, spiace dirlo, una parte notevole del suo credito e della sua legittima reazione al demenziale accerchiamento NATO.

       Solo la colossale miopia americana poteva provocare tale risultato. L’atavica ostilità di Washington dalla II guerra mondiale in poi verso tutto ciò che è russo, sovietico o meno che sia, è diventata ancora più ossessiva con l’attuale amministrazione, che mostra di essere una delle più fallimentari della storia degli Stati Uniti. Dal frettoloso ritiro dall’Afghanistan, con il gigantesco arsenale di armi abbandonate nel Paese, ai milioni di immigrati ispanici che si riversano da sud e da est, all’inflazione galoppante e al mare di armi fornite all’Ucraina, un Presidente in visibile declino fisico e mentale ha prodotto disastri e, come dice il titolo di un famoso romanzo,  Le stelle stanno a guardare.”

      Fuori dalla metafora, non solo le stelle guardano ma anche spettatori meno innocui ne stanno approfittando. A parte protagonisti più voluminosi, anche entità lillipuziane come il Qatar contribuiscono ad imbrogliare la matassa con ambigui doppi o tripli giochi senza che nessuno lo inviti ad abbandonare la diplomazia degli intrighi, che vanno dai Talibani fino ad Hamas.

     I fattori sopra menzionati non sono infatti estranei  agli attuali eventi di Gaza. Non è un caso che il massacro perpetrato da Hamas sia avvenuto dopo anni di scarsa attenzione degli Stati Uniti al Mediterraneo orientale, al Medio Oriente e all'Oceano indiano. Fra l'altro, l'Amministrazione Biden ha cocciutamente perseguito una politica di appeasement nei confronti dell'Iran, facilitando la continuazione dei progetti atomici di quest'ultimo e abolendo di recente significative sanzioni.Favorito quindi dalla rinnovata disponibilità di ingenti risorse finanziarie, l’Iran ha colto un momento favorevole per sconvolgere il progetto di riavvicinamento Israele-Arabia Saudita  che passa sotto il nome di accordi Abraham. Si può immaginare una gestione più ingenua?

       La normalizzazione dei rapporti col detentore dei luoghi sacri dell’Islam avrebbe automaticamente indebolito il ruolo di burattinaio di Iran. In più, le immense risorse finanziarie e capacità di influenza del regno saudita  sui colleghi arabi meno fortunati avrebbero smorzato o dissolto vecchie ostilità. Insomma, Teheran rischiava di perdere mordente e di trovarsi totalmente isolata anche fra i Musulmani. L’attacco di Hamas ha sconvolto e fatto deragliare il progetto, almeno per il momento.

        Se ora diamo un’occhiata più da vicino allo scenario di cui sopra, è ormai sempre più evidente, anche per gli Europei e per Washington, che le conclamata contro-offensiva dell’Ucraina è solo una farsa e la Russia sta consolidando sempre più le sue conquiste sul terreno. In altre parole, l’Ucraina non ha nessuna speranza di vincere una guerra del resto già persa in partenza. Il fatto che il Presidente americano abbia ora proposto al Congresso un pacchetto complessivo di aiuti di cui ben 61 miliardi sarebbero destinati all’Ucraina e solo 14 a Israele è l’ultima clamorosa prova di quanto l’Amministrazione di Washington abbia perso il senso della realtà, acuendo ancora di più il caos ucraino (vedi le inutili morti  dei giovani Ucraini mandati allo sbaraglio dal commediante Zelenski e l’aumento della corruzione, senza contare la sospensione dei partiti dell’opposizione, le censure ai mass media e le minacce alla Chiesa, tutti patrocinati da quest’ultimo. 

        Veniamo quindi a Gaza e agli eventi che la concernono.

        Le crescenti manifestazioni di antisemitismo che si susseguono in varie nazioni, a cui si aggiungono con ritmo incalzante il ritiro di vari ambasciatori da Israele, gli attacchi anche di Hizbollah e da ultimo i lanci di missili dallo Yemen riconfermano l’atavico rifiuto dell’esistenza stessa di Israele da parte del mondo arabo in particolare e la tendenza delle masse a diventare un branco inferocito appena si profila un utile capro espiatorio. Non è un caso che l’invasione e distruzione americana  dell’Iraq, con la complicità dell’ONU, non abbia a suo tempo suscitato analoghe passioni La cosa surreale è che l’Iraq era un naturale baluardo difensivo nei confronti dell’Iran. Un’altra miopia di Washington.

       E’ semplicemente vergognoso  che i dimostranti  che accusano Israele di barbarie e parlano di genocidio sembrano aver del tutto dimenticato l’eccidio di Hamas con i suoi 1400 morti e bambini sgozzati o rapiti. Già solo questo oblio suggerisce la qualità dei suddetti dimostranti.. Del resto, quanti furono a protestare in modo altrettanto furioso quando l’invasione in Iraq provocò, secondo stime per difetto, almeno 150.000 morti? I bombardamenti che suscitano lo scandalo dei benpensanti in poltrona  e degli scalmanati stradali, innamorati delle proteste per qualsiasi cosa avvengono contro militanti che usano i civili come scudo umano. Sembra incredibile, ma questo cruciale dettaglio sembra passare in secondo piano. L’unica spiegazione possibile è che la capacità di riflettere e di giudicare presente nei fiumi di dimostranti deve essere quasi inesistente.

      Vi è da credere che gli Israeliani per primi non abbiano alcun interesse a mietere vittime nella popolazione civile, ben sapendo che esse li penalizzano di fronte all’opinione pubblica mondiale e costituiscono quindi una formidabile arma propagandistica di Hamas. Poiché però gli autori dell’attacco si nascondono letteralmente dietro la popolazione civile e i loro covi sono anche dentro gli ospedali, solo l'ipocrisia può pretendere che dopo il 7 ottobre l’esercito israeliano doveva indietreggiare di fronte al paravento degli scudi umani. L’unica opzione era e rimane quella di estirpare Hamas nel senso letterale del termine, a qualsiasi costo, fino all’autimo uomo. Nel 1945, a guerra praticamente finita, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna fecero cose infinitamente peggiori per distruggere definitivamente il morale degli avversari: non esitarono a radere al suolo senza scrupoli città intere dove NON esistevano avversari nascosti dentro le case ma solo civili, come accadde nei terribili bombardamenti di Dresda, Tokyo, Nagasaki e Hiroshima. Non risulta che allora siano avvenute oceaniche dimostrazioni di protesta.

       Ora, a proposito della popolazione civile, essa è in realtà l’ostaggio ma anche la complice di un’organizzazione  il cui unico e vero scopo è quello di cancellare lo Stato di Israele e fra l’altro promette nuovi e ulteriori 7 ottobre. La ragnatela di tunnel e di covi e l’enorme arsenale di armi nascoste sono del resto prove del premeditato disegno di provocare morti e rovine. I tunnel sono stati costruiti per anni sotto la striscia di Gaza con la connivenza, indifferenza o impotenza degli abitanti. Molti sapevano, ma nessuno protestò, o se lo fece, fu messo a tacere. Vicenda analoga in Libano, anch’esso ostaggio di un altro gruppo terroristico, Hizbollah, sempre manovrato dall’Iran.  Il Libano, un tempo luogo vibrante e prospero, è oggi un Paese avvilito, impaurito ed impoverito. Stesso copione. Sorge spontanea la domanda come l’afflusso di una simile gigantesca quantità di armi abbia potuto passare inosservata all’intelligence di tante nazioni, Stati Uniti compresi. In ogni caso, che tale quantità fosse e sia enorme è comprovata dal fatto che, nonostante il passare delle settimane e dei continui lanci di razzi dalla striscia di Gaza, la potenza di fuoco di Hamas non pare diminuire. Il lati perversi della questione sono evidenti: i Palestinesi, da complici  o spettatori passivi, sono diventati anche  vittime dei loro stessi presunti difensori, che se ne fanno scudo senza scrupoli. Senza l’esistenza della popolazione civile a Gaza, diventata uno scudo difensivo, Hamas sarebbe infatti già stata debellata senza vittime civili. L’arma più efficace a livello di opinione pubblica mondiale è ormai diventata la falsa proiezione di un deliberato genocidio in atto da parte di Israele, mentre la vera responsabile dei morti civili è proprio la tattica difensiva di Hamas.       

      Gli odierni moti di protesta nei confronti degli Ebrei, registrati in tutto il mondo, non rappresentano comunque una novità, ma fanno parte di un rituale ben noto. Basterebbe pensare ai massacri di Ebrei durante la Peste nera o ai pogroms in Russia a cavallo del XX secolo, giusto per citare alcuni episodi di una lista interminabile E’ comunque surreale che le manifestazioni antisemite avvengano anche in Germania (e Auschwitz?) e negli Stati Uniti. L’assassinio a Detroit di Samantha Wol, presidentessa di una sinagoga locale, proietta scenari inquietanti sugli umori in corso. Che simili rigurgiti di astio si manifestino anche in tale nazione suona incredibile, così come era impensabile che atteggiamenti analoghi potessero affiorare anche in Gran Bretagna. Tenendo però conto che la popolazione islamica di quest’ultima conta ormai ben 4 milioni, possiamo tranquillamente supporre che fra i dimostranti vi siano anche molti Musulmani trapiantati. Il fatto la dice lunga sulle implicazioni delle immigrazioni di intere comunità le cui intime adesioni ideologiche non coincidono con quelle dei luoghi di accoglienza.

        Alle isterie popolari, stimolate da giornalieri rinforzi mediatici (con commenti musicali per drammatizzare meglio la narrativa), si sono aggiunte quelle più calcolate ma non meno farneticanti  di alcuni personaggi ufficiali. Si è quindi visto un ministro degli esteri iraniano minacciare gli Stati Uniti all’ONU - cioè, in casa loro! - dando lezioni di umanità e diritti umani. Nessuno gli ha riso in faccia, ricordandogli i morti le brutalità e le annose tirannie del regime a carico dei suoi concittadini, tanto più che l’orchestrazione iraniana di gruppi come Hamas, Hizzbollah e Houthis – le tre H - è ormai un segreto di Pulcinella. Timidezze diplomatiche, politica degli struzzi o semplicemente un’inesplicabile debolezza.

       Ancora più surreali  le recenti dichiarazioni del Presidente turco, che non ha mancato di ricordare che Gaza e Salonicco facevano parte della patria ottomana e che  “la sicurezza di Gaza è la sicurezza della Turchia.” (Sic!). Chi pensasse che affermazioni simili siano solo un’occasionale retorica pecca d’ingenuità. Distrutto in buona parte il più savio e moderato progetto  kemalista di una Turchia laica, oltre all’imposizione di una capillare museruola della libera opinione, da lungo tempo il regime al potere ha perseguito un sistematico revanscismo nazionalistico all’insegna dell’Islàm più rigido (vedi per esempio il ripristino di Santa Sofia come moschea). Gli odierni atteggiamenti di erede dei sultani e protettore dell’Islàm di Recep Erdogan sono una velleitaria replica di quelli del sultano Abdul Hamid II, che alla fine del XIX secolo cercò di utilizzare la ricetta del pan-islamismo per consolidare il proprio regime autocratico all’interno. Potremmo aggiungere le nostalgie imperiali di Mussolini. La ricetta è identica. La differenza è che ai tempi di Abdul Hamid circolavano meno armi letali e non vi era internet.

       Considerando che nella base di Incirlik sono custodite una cinquantina di bombe atomiche NATO, appare chiaro in quale pasticcio si ritrovino oggi Stati Uniti ed Europa con un supposto “alleato” che va a braccetto con Vladimir Putin e riceve come quest’ultimo i dignitari di Hamas. Una nemesi storica per aver voluto un Paese in buona parte ancora asiatico (salvo la capitale e alcune città costiere) e con non sopite nostalgie imperiali e califfali a guardia dei confini sud con l’Unione sovietica.

       Sembrerebbe insomma che la causa delle minacce arabe e iraniane di ritorsioni siano i massicci bombardamenti di cui parliamo. In realtà, questi ultimi hanno fatto riemergere,  almeno nelle frange più irriducibili dei Paesi arabi, un malessere mai scomparso nonostante gli accordi Camp David: l‘esistenza di Israele come Stato sovrano. 

       Anche se a parole tutti sembrano auspicare l’indipendenza dei Palestinesi, il dente duole altrove. La sincerità dei relativi auspici appare poco credibile. La nozione di indipoendenza richiama quella dello “Stato di diritto”, di effettive libertà. In realtà, nessuno Stato arabo o islamico del Mediterraneo e del Medio Oriente può vantare di essere un modello in questo senso. Dal Marocco fino alla Siria e continuando poi per la Turchia e l’Iran, per non parlare della Penisola araba o del Pakistan, le libertà politiche sono un’entità  volatile o comunque labile. La solidarietà di alcuni capi di Stato arabi potrà forse essere genuina, ma non va in alcun modo disgiunta dalla necessità di soddisfare basi popolari da sempre aizzate contro i nemici dell’Islàm e in particolare contro Israele. Non possono scontentarle, anche se volessero. Un esempio in proposito sono le furiose arringhe del Presidente turco, che ormai si sta dipingendo come l’unico salvatore della Patria islamica dalla Libia al Caucaso. 

       E’ insomma discutibile uno sviscerato amore per la causa palestinese. Non è infatti un caso che nessuno dei supposti difensori arabi o musulmani si dimostri disposto ad ospitare dei Palestinesi, incluso l’Iran. Non solo, ma a suo tempo, nel famoso “Settembre nero” del 1970, decine di migliaia di essi furono uccisi proprio in Giordania, dove stavano cercando di rovesciare il trono di Husayn. Avvennero allora analoghe dimostrazioni popolari di protesta in giro per il mondo? No. Il sovrano hascemita non era ebreo…

       Il vero problema e la causa del massacro del 7 ottobre, delle crescenti minacce iraniano-libanesi e delle incursioni anche dallo Yemen è insomma l’esistenza di Israele in quanto tale. I meno ipocriti, come Hizbollah, Hamas e l’Iran lo dicono apertamente, altri si barcamenano fra gli umori delle masse fanatizzate e le convenienze dell’amicizia con gli Stati Uniti. Facciamo tuttavia un passo in più e tocchiamo un tasto non appariscente ma sicuramente sensibile nella mentalità collettiva del  mondo arabo-islamico. Israele non solo non è né arabo né musulmano ma è al contrario europeo. Cosa sono infatti la maggioranza degli Israeliani, a parte alcune minoranze provenienti da altre nazioni, se non degli Europei trapiantati, che pregano nella sinagoga anziché in chiesa? Anche gli ultra-ortodossi, i cosiddetti Haredim, nonostante la loro bigotteria – segregazione dei sessi, rifiuto delle occupazioni che non siano lo studio della Torah, etc,- sono anch’essi per la maggior parte di origine europea. Ironicamente, lo Stato di Israele è la replica giudaica delle Crociate cristiane, con la differenza che, al contrario dei Crociati, gli Ebrei vantano radici storico-geografiche sulla regione.

        Aggiungiamo alle cause latenti del risentimento una molto probabile gelosia per la capacità di Israele di aver saputo costruire dal nulla una nazione prospera e con industrie sofisticate, contrariamente agli altri vicini, a parte forse l’Iran, e avremo individuato un’ulteriore realistico fattore alla base del livore sopra menzionato. 

       Se ora si esamina l’altro corollario  della narrativa ufficiale, e cioè quello dei Palestinesi come “nazione”, vale la pena di osservare come l’esistenza di una distinta identità palestinese, come è per esempio quella dei Kurdi,  non trova riscontro con la realtà. Durante i secoli di dominazione ottomana, la maggior parte degli abitanti del luogo erano indistinguibili da quelli che vivevano più all’interno e cioè nella regione oggi chiamata Giordania, ma che fino a non molto tempo fa appariva nelle carte come Transgiordania ed era semplicemente un’estensione della Siria. I relativi abitanti erano quindi Palestinesi, Giordani, Siriani? In realtà, quello che si può dire con sicurezza è che erano Arabi, alcuni dei quali cristiani, ma comunque Arabi. Accanto ad essi convivevano anche comunità di Ebrei. Tutto qui. Dalla metà del XIX secolo in poi, grazie ad innovazioni amministrative e a varie iniziative economiche promosse da immigrati ebrei, l’abbandono in cui era vissuta per secoli la regione costiera a sud del Libano cedette il passo a un crescente sviluppo economico, che attraeva sia nuovi Ebrei russi in particolare che abitanti dell’entroterra (le future Giordania e Siria) e dell’Egitto. Quel processo si accelerò dopo la Guerra mondiale e crebbe dopo lo sterminio degli Ebrei dell’Europa orientale e dei Balcani. Per una crudele ironia della sorte, lo sterminio degli Ebrei in Europa precipitò la loro rinascita sui luoghi della loro epopea nazionale.  

      La nozione di una specifica e distinta identità nazionale palestinese, al di là dell’omonimia geografica manca insomma di elementi specifici, di continuità storiche, di un epos nazionale, tutte cose che per esempio i vicini Egiziani possono vantare. Anche il considerare i vecchi Filistei (per via dell’assonanza del nome) come gli antenati dei Palestinesi odierni sarebbe problematico. Primo, perché presumibilmente gli stessi Filistei erano originari dell’Egeo (i Popoli del mare) e si mescolarono poi con le varie popolazioni della costa sud della Fenicia, chiamata anche Canaan. Secondo, perché dopo le invasioni assire e persiane della Palestina nel VII e VII secolo, gli abitanti del luogo furono praticamente eliminati o deportati, come avvenne anche per gli Ebrei. La differenza è che l’epos nazionale ebraico sopravvisse anche a tale cattività babilonese oltre che a quella egiziana, mentre nulla di ciò avvenne con i Filistei, le cui tracce si spensero. Quasi inutile poi osservare come il muro del pianto, a ridosso del quale pii Ebrei confabulano col loro Dio, esisteva prima di Betlemme e almeno 1500 anni prima della moschea al-Aqsa, da cui, secondo la tradizione islamica, il Profeta si sarebbe involato in cielo in groppa al cavallo Buraq. Curiosamente, abbiamo qui una perfetta simmetria: gli Ebrei rivendicano Gerusalemme in nome del Vecchio Testamento, e gli Arabi o comunque i Musulmani rivendicano lo stesso luogo in nome del Corano.

      Tutto ciò per dire che negare, come pretendono i fondamentalisti islamici, il millenario legame degli Ebrei con i luoghi dove essi hanno costruito una nazione è banalmente patetico e contrario all’evidenza. Il risultato è allora che gli Arabi palestinesi non hanno diritto di vivere in pace? O che non può esistere un più sereno modus vivendi? Ovviamente, no. Gli eventi attuali ma anche quelli successivi alla formazione dello Stato di Israele suggeriscono tuttavia come, sposando la causa di un arabismo armato e violento, adottando fin dall’inizio la causa della negazione a priori di Israele, avvelenando generazioni intere con insegnamenti anti-ebraici, accettando la collusione con organizzazioni terroristiche e sanguinarie, costoro abbiano commesso e continuino a commettere un tragico errore, suscitando un analogo e reciproco meccanismo di rifiuto. Allo stesso modo dei cittadini dell’Ucraina, essi sono diventati solo pedine di un gioco perverso più grande di loro. I due fenomeni sembrerebbero distanti, ma sono in realtà speculari.

      Nonostante il tema venga sottovalutato o evitato, dietro l’attuale situazione palestinese si agita inoltre uno spettro che la maggioranza degli osservatori e anche degli esponenti politici, sia occidentali che musulmani, fa finta che non esista: quello dello “scontro di civiltà”. Paradossalmente, i meno ipocriti al riguardo sono proprio tutti i fondamentalisti musulmani che apertamente vorrebbero sostituire il Corano (anche col kalashnikov o i razzi) alla cultura laica del mondo occidentale. Verosimilmente,  la sostituzione salverebbe comunque i cellulari e altre amenità tecnologiche più sofisticate. E qui un dettaglio significativo. Anche se le accomodanti proiezioni ufficiali tendono a privilegiare la nozione di “pace” nell’immagine dell“Islàm”, in realtà, le cose sono meno limpide e innocenti. Semanticamente, la radice alla base del termine salama, da cui appunto proviene Islàm, implica tanto la pace quanto la “sottomissione” (a Dio). Conditio sine qua non della pace è insomma la sottomissione. Per avere pace, bisogna arrendersi e sottomettersi, ma a chi? Inevitabilmente, ai tutori terreni della fede, Imam,  Califfi e predicatori di tutte le risme.  Detto fra parentesi, anche l''Occidente cristiano ha conosciuto i suoi Savonarola e i  Papi del Medioevo condividevano una visione del mondo analoga. La differenza è che in Occidente ha prevalso la divisione delle sfere, è fallito il predominio del potere religioso. Nel mondi islamico non esiste ancora una divisione netta. I Musulmani, anche quelli meno radicali e più moderati, non sembrano avere molte difficoltà o scarso interesse a separare la sfera religiosa da quella politica. Per questo, l’integrazione sincera e senza riserve dei MusulmanI in una società laica è un’eccezione piuttosto che la regola, come dimostra una miriade di episodi. Ecco perché si registrano in Europa tante comunità musulmane auto-ghettizzate e gli antichi equilibri culturali vengono sempre più messi a dura prova.

      Ma ritorniamo ancora una volta al futuro di questa crisi e alla soluzione così spesso auspicata fin dagli albori dello Stato di Israele, ovvero quella dei due Stati. Essa appare suggestiva ma, come tutte le soluzioni ideali, appare difficilmente praticabile. Che territori includerebbe infatti un eventuale Stato palestinese e dove abiterebbero i suoi cittadini? L’attuale Autorità palestinese assorbirebbe Gaza e questa sarebbe disposta a farsi assorbire? E il territorio di quest’ultima diventerebbe una succursale marina di un neo Stato palestinese?  Se così fosse, la carta della regione diventerebbe un caotico intrico di confini con immaginabili conseguenze giuridiche, doganali e politiche. Se invece l’accorpamento implicasse una ricollocazione dei Palestinesi di Gaza nei territori adiacenti il Golan, verrebbe richiesto agli Israeliani un compenso territoriale per lo scambio, ma costoro lo accetterebbero? E che ne sarebbe di Gerusalemme? E fino a che punto si sentirebbe sicura una Giordania con altri milioni di Palestinesi che premono ai suoi confini? C’è da immaginare, non bene.

      A parte questi scogli geografici  e amministrativi, si aggiungono problemi di ordine economico e politico. Almeno in teoria, un’entità statale dovrebbe essere anche economicamente indipendente e capace di difendersi. In realtà, già ora, né Gaza né l’Autorità palestinese lo sono e vivono di favori e sussidi da parte degli Stati arabi ricchi.In quanto alla loro difesa, anche lì, i mezzi vengono da fuori. Ora, i favori, si sa, generano anche obbligazioni. Un domani, per quanto in apparenza Stato, entrambe continuerebbero a non essere economicamente e politicamente indipendenti e inevitabilmente, ancora una volta, clienti passivi e servizievoli di Stati più potenti e più ricchi. L’unica cosa che cambierebbe sarebbe l’etichetta giuridica. Ma vi è di più: la creazione di uno Stato palestinese farebbe automaticamente  scomparire la presenza di Hizbollah a nord? Eliminerebbe gli influssi e le manovre dell’Iran? Annullerebbe le vecchie rivendicazioni anti-Israele? Non vi sono elementi che confortino tale ipotesi. In altre parole, la soluzione dei due Stati assomiglia a un mito, attraente ma per molte ragioni illusorio.

      Per portare agli estremi il concetto, potremmo provocatoriamente immaginare, con scandalo di molti lettori, che dopo la partenza degli Inglesi dalla Palestina   nel 1948 non si formasse nessuno Stato di Israele, addirittura che non vi fossero affatto Israeliani, ma che esistesse solo uno sparuto manipolo di Arabi palestinesi circondati dall’Egitto a est, da una Giordania a sud e da Libano a nord. Cosa sarebbe avvenuto in tale regione per secoli terra di nessuno? Tutto lascia pensare che qualcuno avrebbe cercato di estendere la sua  posizione nel territorio a spese degli altri, accampando diritti vari. Difficilmente, questo qualcuno sarebbero stati gli Arabi palestinesi, sprovvisti di capacità militari, di risorse, di precedenti esperienze organizzative e soprattutto di un epos nazionale, di cui al contrario sia Egiziani che Libanesi e Giordani erano provvisti sia pure in differenti misure. Supposto che ciò accadesse, l’unica differenza rispetto alla situazione attuale è che l’eventuale usurpatore non sarebbe ebreo. ma quasi sicuramente non sarebbero gli Arabi palestinesi!

       Se la simulazione è provocatoria anche la soluzione dei due Stati non affronta i nodi collaterali dello scenario. Essi sono l’esistenza di gruppi terroristici armati come Hamas e Hizbollah e gli intrighi e le mire di interessati burattinai, dalla Turchia all’Iran e al Qatar. Parlare di soluzione del problema palestinese ha senso solo se primai suddetti nodi sono stati tutti debitamente eliminati o resi inoffensivi, dal primo all’ultimo. Quella di Hamas è una chirurgia molto parziale e non sufficiente.

       Forse a quel punto, eliminati gli attizzatori dell’odio e smascherate le amicizie  fraudolente, gli Arabi palestinesi per primi si renderebbero conto che essere a pieno diritto cittadini di Israele potrebbe riservare loro una pace e benefici che i loro supposti difensori di oggi non gli hanno mai offerto e che sarebbero fra l’altro di gran lunga più fertili e più realistici delle velleità di una falsa indipendenza nazionale con i piedi di argilla.

Anronello Catami, Atene, 6 novembre 2023

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