Il turismo di massa: un'epidemia senza vaccini

Il turismo di massa: un'epidemia senza vaccini

       Il turismo è diventato uno dei temi più frequenti del cicaleccio mediatico e riceve trattamenti di riguardo anche in più serie analisi economiche. Al pari di tanti altri fenomeni del nostro tempo, esso è diventato un fatto ovvio e naturale mentre certi suoi lati insoliti e in parte dissimulati non ricevono la dovuta attenzione. Vale  la pena di esaminare l’argomento fuori dagli schemi convenzionali, sia pure per sommi capi.

      Cos’è quindi il turismo e soprattutto chi è “il turista”?     

      Chi è infatti questo nuovo protagonista planetario che ha sostituito altre figure che a loro tempo furono di moda? In passato, “ l’eroe” e poi “il martire” godettero di analoga popolarità, seguiti a loro volta dal famigerato “proletario” di Marx, una delle presbiopie più esilaranti della storia. Ironicamente, le rivoluzioni, dalla Francia giacobina alla Russia zarista, avvennero proprio là dove di proletari nel senso marxista non ve ne erano.  

      Assieme alle altre compiacenze e pseudo progressismi mediatici tipo quelli relativi a “trans” e petulanti “gay pride” (molto alla moda negli Stati Uniti ma non in Africa e in altri Paesi), per non parlare della demenziale guerra per procura degli USA contro la Russia, non vi è insomma quasi giorno dove non si parli dei turisti e del loro conclamato benefico effetto. L’assenza o presenza  dei sospirati sciami di costoro scandisce la fortuna delle compagnie aeree, di Paesi ricchi solo di sabbia, mare e sole ma sprovvisti di quasi tutto il resto e di economie ai limiti della sussistenza  da un capo all’altro del pianeta.

      Il termine “sciami” non è pittoresco o casuale ma del tutto pertinente. Parlare infatti al singolare non è molto corretto, perché neanche la famosa Hydra di mitica memoria aveva così tante teste come “il turista”, che si presenta in massa, ovvero orde, torme, facendo concorrenza alle note cavallette che di tanto intanto devastano interi Paesi africani oppure anche agli sciami delle api (ma senza produzione di miele) e naturalmente anche alle orde barbariche che radevano al suolo città intere. Se oggi i luoghi visitati dai turisti non subiscono la stessa sorte, sono tuttavia all’ordine del giorno i vandalismi ai monumenti a scopo celebrativo: “le firme” su qualche venerabile parete o statua sono sempre state di moda. 

      Sorgono a questo punto alcune domande in apparenza superflue: quali sono le ragioni di questo fenomeno sconosciuto fino a un secolo fa? Qual è l’obiettivo del turista? Quali sono le sue implicazioni?

      Iniziamo dalle ultime due domande.

      L’etimologia indurrebbe a pensare che esso sia quello di “girare”, da tour (giro). Non facevano infatti nel 1700 i rampolli di nobile famiglia il loro “grand tour”, soprattutto nell’Europa del sud e nel Vicino Oriente, al fine di completare  la loro educazione di gentiluomini? Spesso armati di firmani, (sorta di passaporti e lasciapassare imperiali), di servitori, muli, cavalli, armi, posate e cibarie, molti di costoro si avventuravano in luoghi in genere poco civilizzati, accontentandosi anche di dormire all’aperto o in ostelli di fortuna. Facevano insomma concorrenza ai pellegrini medioevali o ai mercanti della Via della seta che transitavano dalla Cina fino alle sponde del Mediterraneo.

      Nel caso del moderno turista, però, il tour ha contenuti totalmente diversi, se non opposti. Niente avventura, niente cammelli o muli, niente marce chilometriche ma aerei, bus, traghetti, alberghi, ristoranti, ombrelloni sulla spiaggia. Certo, in luoghi come Praga, Roma o Parigi, egli si sposterà a piedi e visiterà qualche monumento o museo, ma i suoi “giri” sono limitati e immancabilmente costellati di sedie di bar, ristoranti e simili. 

      Accanto a questo turismo a sfondo cittadino, che non a caso attrae un cospicuo numero di individui di Paesi d’oltre oceano (vedi Stati Uniti e Giappone) ma non Africani e Musulmani in genere - cosa significativa - esiste tuttavia un altro tipo di turismo a sfondo marino dalla diffusione e latitudine immense: dal Mediterraneo all’Oceano indiano fino alle Hawaii. Non a caso, questo tipo di turismo sembra prediligere alcune località i cui sbiaditi fasti storici sono ancora più pittoreschi o esotici di quelli italici (vedi per esempio Egitto, Grecia, Turchia) e che vantano o pretendono  autenticità e colore tradizionale. Il supposto colore tradizionale,dagli “occhi di Horus “ (amuleti) egiziani ai mandolini greci è quindi ingigantito e esasperato ad oltranza fino a diventare un’oleografia patetica, tendenzialmente narcisistica, ipernazionalistica e sostanzialmente ridicola. Esempio: l’industria turistica turca esalta e propone, oltre a spiagge e coste, anche le antichità del Paese, che rigurgitano di rovine ittite, licie, greche, bizantine e via dicendo,  che con i Turchi non hanno nulla a che fare. La vecchia invasione militare del territorio è così rinverdita da moderne usurpazioni di marketing…

      Non si tratta di un’eccezione. Anche in altri luoghi, nello sforzo di catturare il turista, storia, mitologia e addirittura resti umani (mummie) vengono disinvoltamente usati come strumenti di richiamo. Tipici al riguardo i trionfalistici spot di archeologi egiziani che aprono compiaciuti i sarcofaghi di qualche malcapitato defunto diventato materiale pubblicitario. Da qui i faraonici e pretenziosi musei costruiti di recente in Grecia o In Egitto. Nonostante le velleità e rivendicazioni di tipo nazionalistico - vedi i famigerati marmi del Partenone (opportunamente e meglio conservati a Londra) o il busto di Nefertiti conservato a Berlino – la più prosaica verità è che i suddetti trofei hanno un enorme potenziale  di richiamo turistico e quindi di affari. Tutto qui. 

       Quasi inutile osservare come il passato faraonico mal si concilia col presente islamico allo stesso modo in cui l’abissale vuoto culturale di quindici secoli della Grecia moderna mal si concilia con le roboanti pretese di continuità con la Grecia classica o con la civiltà bizantina, che in realtà si considerava erede di Roma e non di Atene. In realtà, in Medio Oriente lambisce le mura dell’Acropoli e la vanagloria dell’auto-ritratto della Grecia contemporanea è infarcita di falsificazioni. Anche qui un interessante esempio di usurpazione storica e di millantato credito. Ma al turista si vendono con imperterrita faccia tosta tali supposte continuità ed eredità. Deprecabilmente, secoli di storiografia abbellitrice, in genere da tavolino, hanno perpetuato simili distorsioni.

       Poiché il turista finisce per sedersi da qualche parte, era quasi inevitabile la crescita vertiginosa dei luoghi di ristoro, moltiplicatisi come funghi in tutte le città turistiche del Mediterraneo, e la tendenziale scomparsa di vecchi edifici, angoli e atmosfere. Risultato: molte di tali destinazioni turistiche sono sotto molti aspetti praticamente indistinguibili le une dalle altre. 

      Il livellamento del paesaggio urbano, paradossalmente opposto alle pretese di unicità e di richiamo tradizionale, produce effetti ancora più vistosi e di cattivo gusto in zone insulari come per esempio le isole greche. In esse, tutti gli aspetti più negativi e devastati del turismo di massa raggiungono il loro acme. 

      Allo stesso modo delle gigantesche navi crociera che continuano ad infierire indisturbate nelle acque della laguna veneziana, decine e decine di migliaia di turisti sbarcano giornalmente in tali isole, erodendo  l’equilibrio biologico, sociale e fisico del territorio. In luoghi, cioè, normalmente abitati da alcune migliaia di abitanti, sprovvisti di risorse idriche e in genere senza vegetazione, quelle decine e decine di migliaia di nuovi venuti giornalmente orinano, defecano, lasciano rifiuti e consumano incredibili quantità di acqua che potrebbero invece essere utilizzata per l’agricoltura. Ironicamente, la maggioranza di tali isole non sono autosufficienti neanche per quanto riguarda l’alimentazione, col risultato che per esempio pomodori, patate o carni di maiale provengano da Paesi come Olanda, Egitto, Polonia.

       In realtà, in molti luoghi turistici le vecchie attività come l’agricoltura, l’allevamento e la manifattura si sono drasticamente ridotte e in alcuni casi scomparse, creando una situazione di dipendenza economica per certi versi analoga a quella dei Paesi del Golfo Persico, anch’essi dediti a progetti di attrazione turistica ancora più cervellotici (vedi le loro stravaganti isole artificiali e costruzioni all’insegna del lusso e del kitch più sfrenati). Naturalmente, senza l’afflusso di manodopera, cibo e manufatti dall’esterno, questi ultimi Paesi ritornerebbero al  tradizionale cammello: anche l’oro nero del sottosuolo ha bisogno di maestranze e tecnici per risalire in superficie. Un simile non tanto irreale ritorno al cammello potrebbe anche includere la liquidazione dei relativi regimi feudali-familiari. Lo stesso, perlomeno a livello economico, vale per molte comunità del Mediterraneo che, avendo perduto le vecchie abilità agricole e artigianali e avendo abbandonato altre attività di tipo minerario o manifatturiero, senza l’afflusso dei turisti dovrebbero ricominciare ad imparare come si coltivano le patate.        

       Nonostante la narrativa convenzionale e le gongolanti  dichiarazioni dei commentatori di rito, i risultati di tali invasioni, devastanti per il territorio anche dal punto di vista architettonico – vedi i cubi informi che deturpano il paesaggio di tante località marine – hanno riflessi negativi anche i tipo economico. La vulgata vorrebbe che il turismo  costituisca un polo di ricchezza, ma senza chiarire però dove tale ricchezza affluisce e quindi adottando la nota statistica del pollo (vedi Trilussa). I segmenti favoriti dal turismo sono infatti solo quelli dei trasporti aerei, della ricezione alberghiera, della ristorazione e del divertimento nonché il mercato immobiliare delle vacanze. La parossistica domanda così indotta fa però crescere a dismisura i prezzi del mercato in generale, creando delle vere e proprie bolle speculative e spirali inflazionistiche che si riflettono in tutti gli altri settori e che colpiscono anche il resto della popolazione  (la maggioranza) estranea alle attività turistiche.

       Il progresso della tecnica è ovviamente uno dei presupposti del crescendo esponenziale  del turismo di massa. Fino a poco prima della II Guerra mondiale, erano i viaggi per mare a prevalere ed essi erano riservati ad un numero di gran lunga più limitato di viaggiatori o a personale civile e militare delle Potenze coloniali. In precedenza, fra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, gli “sciami” erano costituiti da emigranti, che andavano alla ricerca di un’occupazione piuttosto che in vacanza.

       Vacanze…Anche lo sviluppo e la crescita di popolarità di quest’ultima nozione sono evidentemente collegati all’espansione del turismo di massa. I patrizi romani popolavano le spiagge di Ostia, inventando il costume da bagno anche per donne, e soggiornavano a Rodi per studiare e godere del clima mite, ma non si trattava di “vacanze” bensì di otium, che è un’altra cosa. L’otium era una dimensione per ricchi, mentre il lavoro era considerato dis-onorevole. La moderna “vacanza” è al contrario il sogno-conquista di una società che ha trasformato il lavoro in qualcosa di onorevole grazie anche al contributo dell’etica protestante. La valenza negativa inerente il lavoro, attestata in tutta la civiltà antica e pre-moderna, che associava il lavoro a pena e sofferenza, è del tutto scomparsa ed è rimasta nascosta dentro il termine “travaglio” (francese travail e inglese labour) utilizzato per le partorienti. Di fatto, uno degli scopi più agognati di innumerevoli individui è quello di fare le vacanze, che consistono nell’abbandonare la moltitudine cittadina per ritrovarsi in un’altra moltitudine dai colori e suoni diversi ma sempre moltitudine.

      Mentre quindi il gigantesco aumento dei trasporti aerei è uno dei corollari del turismo di massa, a uno sguardo disincantato appaiono evidenti le affinità fra i suddetti trasporti di persone e quelli del bestiame, si tratti di pecore, manzi o  galline. Le folle in questione, impacchettate e stipate in aerei, bus e traghetti, arrivano nei luoghi e ne ripartono senza in realtà avere la minima idea o una nozione realistica del “dove” sono stati, molti di essi non conoscendo nulla o ben poco del Paese  e in genere neanche la lingua, cosa che non vale solo per luoghi esotici come Nord Africa, India o Tailandia, ma anche per Grecia, Turchia o magari Portogallo, per non parlare dei Paesi slavi. La sospirata partenza dal luogo di origine e il  tuffo quindi nella diversità geografica è in realtà un tuffo in camere di albergo, spiagge e ristoranti.

       Trasportato quindi all’incirca come il bestiame, debitamente alleggerito dei suoi risparmi, spesso sudato sotto soli cocenti ma protetto da indumenti sgargianti e comunque abbronzato, il turista potrà quindi ritornare soddisfatto e stanco alla sua città dove lo attendono al varco gli imbonitori momentaneamente messi a riposo (vedansi i vari Facebook e Twitter, etc., ovvero l’ovile di massa di tipo informatico.

     Tutti i suddetti aspetti non sono una novità. Semplicemente, per distrazione, indifferenza o miopia vengono trascurati o sminuiti. 

      Essi riguardano tuttavia la parte per così dire materiale e pratica del fenomeno. A un livello meno superficiale e più psicologico, cosa spinge in realtà gigantesche masse di individui a fare il loro viaggio estivo, ormai diventato una sorta di rituale che guarda caso coincide in genere con la fine della primavera e con la stagione dei raccolti? Molti elementi indicano che si tratta di una fuga e del tentativo di un ritorno a una dimensione meno controllata e più naturale.

      Una serie di comportamenti e tratti caratteristici del turista conforta l’ipotesi di una dissimulata fuga.

      Lo stesso abbigliamento, spesso volutamente eccentrico e stravagante, suggerisce un desiderio di rompere le regole. Anche se in certi luoghi il turista va in montagna piuttosto che al mare, in entrambi i casi si tratta di una fuga dalla città. Nel caso del turismo cittadino prima menzionato, in particolare di quello proveniente da Stati Uniti, Cina o Giappone, nuovamente si tratta di un tuffo in una nuova realtà. Tutte queste fughe in luoghi diversi, questo temporaneo abbandono della città sono forse un immemoriale ricordo di ancestrali emigrazioni e dimensioni a contatto con la natura? Non a caso, l’abbronzatura, per uomini e donne diventa un irrinunciabile obiettivo. Esso era sconosciuto fino a un secolo fa quando al contrario candido, soprattutto per le donne, era sinonimo di bellezza. Agli uomini si lasciavano i baffi, di solito scuri.     

       Interpretare simili cambiamenti di preferenze cromatiche come il superamento di latenti razzismi sarebbe una stupidaggine degna delle chiacchere mediatiche oggi in voga. Più realistico pensare che essere abbronzati proprio come quelli che vivono all’aperto tradisce anch’esso un’inconfessata insofferenza nei confronti della città. Del resto, il fatto che il fenomeno del turismo di massa coincida con l’aumento esponenziale delle popolazioni cittadine, conforta l’idea che si tratti di una mascherata forma di rigetto della città moderna e delle sue dimensioni più alienanti. Vale la pena di osservare che nonostante anche l’antichità conoscesse le grandi moltitudini cittadine - Roma antica e molte antiche città cinesi superavano il milione di abitanti – allora non esisteva il turismo e il mare era un luogo per pescatori…

      Non a caso, abbiamo prima interpretato la vacanza come un tentativo di ritorno. In realtà il tentativo si traduce nella maggior parte dei casi, salvo più avventurosi e solitari viaggiatori, in “una fuga a metà” ovvero fallita. Quello che il turista trova è infatti una dimensione protetta, provvista di tutti i conforti della civiltà perfezionata, con qualche abbellimento oleografico ma non una reale antitesi del vivere cittadino.

      Il suddetto tentativo di fuga dalla realtà giornaliera trova del resto il suo perfetto corrispondente in un’altra fuga in realtà alternative: quella propinata giornalmente dal cinema con ritmo incessante in incalcolabili quantità. Un’evasione visiva e statica ma anch’essa un’evasione e una fuga. Certo, a loro modo, anche i miti e le leggende del mondo antico o i romanzi hanno sempre costituito un’evasione, ma quella cinematografica odierna, prodotta a livelli industriali e con strumenti e risultati infinitamente più sofisticati e insinuanti,  non ha evidentemente confronti. 

      La fame di realtà alternative è insomma cresciuta in modo esponenziale. Assieme al cinema, il turismo di massa ne è un clamoroso anche se mistificato esempio. L’unica spiegazione attendibile e in fondo banale è che l’uomo moderno, soprattutto quello delle società più affluenti, è scontento della sua realtà quotidiana. Lavora per acquistare oggetti in buona parte inutili – non è una coincidenza che una parte considerevole della nuova ricchezza sia in mano a imprese che non producono nulla di utile, da Facebook alle società di moda e cosmetici – e per concedersi le vacanze prima menzionate. 

       In altre parole, da un punto da vista non convenzionale il turismo di massa e l’industria cinematografica sono gli iceberg esemplari dello scontento della civiltà.

Antonello Catani, 25 agosto 2023

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