Il bicchiere della staffa
- Scritto da Agostino Roncallo
- Dai Sante, ancora uno, beviamo insieme il bicchiere della staffa!
- E così sia, che sia l’ultimo però!
A parlare così, non erano esattamente due ubriaconi tiratardi, appena usciti da una delle tante osterie cittadine. Chi erano dunque? La domanda non sfigurerebbe in qualche casereccio quiz ma forse pochi saprebbero rispondere. A parlare era nientemeno che Papa Paolo III e la staffa… quella era del cavallo di Sante Lancerio, un uomo di corte, detto anche il “bottigliere del Papa”. Il bicchiere della staffa era dunque l’ultimo della serata, quello che, tra una gomitata e una risata, i due bevevano da veri amiconi:
- Ma che gusto, che gusto ha questo “rosso”? Io lo definirei “tondo” e “grasso”!
- No, io propenderei piuttosto per “fumoso” e “possente”.
- E il colore? Io direi “verdeggiante”!
- Figurarsi… mi sembra piuttosto… “incerato”, ecco!
- Santità, siamo forse ubriachi?
Per fortuna di Lancerio all’epoca, era il 20 Aprile 1548, non c’erano controlli della polizia, non esistevano etilometri e neppure, a dire il vero, c’era il rischio di incidenti stradali. Il suo destriero avrebbe potuto essere lanciato a tutta velocità, nel buio della notte. Vai Sante, vai, e non dimenticare il succo di quella conversazione. E Sante Lancerio non se ne dimenticò, al punto che alcuni anni dopo uscì il suo libro “Della qualità dei vini”, nel quale per la prima volta si consideravano i possibili abbinamenti tra vini e cibi.
Del resto la corte papale nel Rinascimento era il terreno ideale per gli esperimenti gastronomici più raffinati. Paolo III Farnese è sui libri di storia ricordato per avere inaugurato il concilio di Trento, per la scomunica inflitta a Enrico VIII, per non dire dell’approvazione dell’ordine dei Gesuiti. Ma nessuno sa che in tutti questi casi, prima di decidere, aveva bevuto ben oltre un bicchiere di Ippocrasso, un vino aromatizzato alle spezie, oggi ingiustamente dimenticato. Se non fosse per questo vino, i gesuiti non esisterebbero, ma il segreto è conservato gelosamente. Il gozzaniano zio, “gesuitico e tardo”, dell’amica di Nonna Speranza, sedeva in bei conversari e sorseggiava un’ampolla contenente Ippocrasso. Lo si sa, da fonte certa.
Sante Lancerio seguiva sempre il Papa durante i suoi viaggi, compreso quello verso Trento, per l’inaugurazione del concilio. Quando invece erano nella sede papale, faceva allestire tavole perfettamente imbandite: in cucina si avvaleva dell’aiuto di Bartolomeo Scappi, un cuoco provetto di cui era grande amico. Durante i trasferimenti la preoccupazione maggiore era che i vini non soffrissero durante il trasporto: dovevate vederlo all’opera, mentre con estrema cura imballava le bottiglie in apposite casse, imbottite di paglia e inchiodate senza risparmio di materiali. Aveva perfino preteso che le ruote della carrozza papale avessero speciali ammortizzatori, in grado di assorbire ogni buca del terreno. Un giorno, dopo l’ennesima sbandata, scese dalla carrozza, diede una spinta al cocchiere che finì gambe levate nel fango della strada e disse: - Adesso guido io! Era anche il terrore dei palafrenieri, i quali dovevano curare che i cavalli fossero perfettamente a posto: se così non era, scattava il licenziamento.
Nel suo trattato, Sante analizza oltre 50 qualità di vini e quelli che aveva deciso di portare verso Trento quel giorno, non erano molti di meno. C’è da domandarsi il perché di un numero tanto elevato. Il motivo era semplice: secondo la sua teoria c’era un vino adatto per ogni stato d’animo:
- Santità, come si sente oggi?
- Sono teso e nervoso, Sante, fosse per me non avrei convocato questo concilio ma le teorie di Erasmo hanno ormai condizionato troppi cardinali, ahimé! Non bastava l’istituzione del Santo Uffizio a tranquillizzare questa gente?
- Teso… nervoso… ci sono! Santità cosa ne direbbe di un bicchierino?
La tesi di Sante era che il rosso di Terracina fosse adattissimo per distendere i nervi. Altri vini, ad es. il Mangiaguerra, erano utili tutt’al più per eccitare la lussuria delle cortigiane. E il Greco della Torre? Per carità, quello andava bene per la servitù. Era espertissimo, Sante: il giorno in cui gli dissero di fare una ricognizione tra le osterie dello stato pontificio, per valutare quali avessero i vini migliori, prese l’abitudine di scrivere “Est” sui muri delle osterie più meritevoli. “Est”, vale a dire “c’è”, “è qui” il vino migliore. Un giorno il suo entusiasmo si infiammò per un bianco dal gusto d’oriente: Est Est Est scrisse sul muro di quel locale. Nacque così l’Est Est Est di Montefiascone. Degustatelo, ancora oggi, e ricordatevi di ringraziare Lancerio.
Quando il concilio finì, Paolo III non vedeva l’ora di tornare nella sede romana e di fare il suo percorso quotidiano nelle cantine del palazzo. Appena arrivato, prese Sante in disparte e gli disse: - Facciamo un giro?
Lui acconsentì subito, del resto erano ormai alcune settimane che non visionavano le cantine “comuni” e soprattutto le “segrete”, nelle quali erano contenuti i vini di maggior pregio, quali il Chiarello di Cirella e il Cirò di Chiarotto.
- Che si è detto in concilio, Santità?
- Caro Sante, sapessi che noia! Hanno voluto, per cominciare, ribadire la superiorità del pontefice ma, per me, che facciano ciò che vogliono.
- Questa però, potrebbe essere buona cosa!
- Buona? Forse. Hanno anche insistito per ribadire la validità dell’interpretazione ufficiale delle sacre scritture…
- E quelle non ufficiali?
- Faranno una brutta fine Sante, quegli scalmanati del santo Uffizio sono già all’opera!
Attraversate quaranta cantine, uscirono nel cortile del Belvedere dove un passaggio nascosto immetteva in uno stretto corridoio, al termine del quale salirono cinque gradini. Entrarono così in un cantinone a due navate, con una volta a crociera lunettata.
- Tempi duri per gli eretici dunque?
- Certo, a loro non rimane che l’abiura o il rogo!
- Esagerati!
- Sante, e se per farci due risate convocassimo per una cena l’arcivescovo di Parigi?
- Chi, quello che ha scomunicato i “diablotinos”, gli insetti che danneggiano la vite?
- Proprio lui, genio di un uomo, quale miglior bersaglio per una scomunica?
- Santità ma qui c’è anche la Malvasia di Schierano!!!
Bevvero, cantarono, dissero che quella Malvasia era sincera e che, se l’avessero bevuta quelli del “Tribunale”, non avrebbero più condannato nessuno. Era il vino dell’onestà, lo ribattezzarono “Malvaxia Sincerum”.
Soddisfatti, iniziarono a studiare un nuovo moscato d’Asti, un vino da messa, che verrà chiamato “Alleluia”.
Agostino Roncallo