Il suono della campanella
- Scritto da Ugo Pilia
Prof, non avrei mai immaginato che mi sarebbe mancato il suono della campanella all’inizio delle lezioni», osserva Giacomo da una finestrina che si apre sul mio monitor. Uno dopo l’altro, compaiono anche gli altri della classe: ogni viso che si affaccia nel mio salotto, un piccolo scoppio di gioia. Quando mercoledì 4 marzo siamo usciti dall’aula non lo sapevamo ancora che sarebbe stata l’ultima volta, per un bel po’ di tempo. Come se l’ultimo giorno di scuola ci fosse piombato addosso inatteso e fuori stagione, agli ultimi freddi d’inverno invece che ai primi caldi di quasi estate, trovandoci tutti impreparati: ultimo appello, ultimo «posso andare in bagno», ultimo voto segnato sul registro, ultima campanella. A saperlo ce li saremmo goduti di più. Non ci avevamo mai pensato, prima d’ora, a quanto fosse pratico ed efficace incontrarsi tutti i giorni a orari stabiliti, a quanto fosse facile sentirci e vederci di persona, a quanto l’audio fosse chiaro e nitida l’immagine durante le nostre lezioni in presenza. Ma la scuola non si ferma, abbiamo detto tutti fin dal giorno dopo, la scuola continua con altri mezzi e in altre forme. E siamo partiti: in ordine sparso, pieni di buona volontà, guidati dal desiderio di ritrovarci insieme ai nostri alunni e di non spezzare il filo. Oggi, a quasi un mese di distanza è possibile fare un primo parziale bilancio della scuola che non molla. Molte iniziative, moltissimo impegno, un profluvio di buone pratiche e tanto lavoro di un gran numero di docenti; ma anche un po’ confusione, stress da parte delle famiglie, costrette a sobbarcarsi un ulteriore impegno, e soprattutto la difficoltà nel raggiungere tutti gli studenti. Non in tutte le case ci sono una connessione adeguata e strumenti sufficienti per permettere a più figli di seguire le lezioni online. Per alcuni ragazzi è difficile addirittura trovare un luogo, una "stanza tutta per sé" dalla quale attivare la connessione per il webinar. Se in classe gli alunni si somigliano molto, nel privato delle loro abitazioni le differenze balzano agli occhi, e mi viene il sospetto che sia forse per pudore e non per negligenza che qualcuno si ostini a tenere la webcam disattivata. La didattica a distanza diventa una didattica "di stanza", dispensata e fruita da casa a casa. Una cosa ontologicamente diversa rispetto a quella che abbiamo sempre conosciuto noi, che eravamo abituati ad annusarci tutti i giorni e a condividere raffreddori, momenti di tensioni e risate. Poi ci sono gli studenti con disabilità, quelli con disturbi specifici dell’apprendimento o con bisogni educativi speciali, le cui tante e diverse problematiche vengono sintetizzate con gli acronimi Dsa e Bes. Il diritto all’istruzione trova difficoltà maggiori ad essere affermato soprattutto verso le categorie dei più deboli, al di là della buona disposizione degli studenti stessi e dei loro insegnanti. Quando parliamo di didattica a distanza, insomma, ci troviamo in un territorio in cui tutto, per forza di cose, è ancora in fieri: non esiste una normativa né una piattaforma ufficiale e condivisa dai docenti per assegnare compiti, elaborare verifiche, registrare presenze (sarà legittimo farlo, a distanza?), annotare elementi di valutazione, dialogare con le famiglie. Senza contare la spinosa questione della privacy. È anche vero, d’altra parte, che "molto perdemmo ma molto ci resta", ricordando i versi dell’Ulisse di Tennyson. Ci resta lo sforzo che stiamo facendo tutti insieme - dirigenti, docenti, alunni e famiglie - per non spezzare il filo delicatissimo della continuità di apprendimento e per tutelare il diritto allo studio di tutti gli alunni, soprattutto di quelli che già in tempi normali sono a rischio di dispersione scolastica. Ci resta la determinazione di non lasciare indietro nessuno e la voglia di condurre in porto, in qualche modo, anche quest’anno scolastico. Prima che si interrompa il collegamento, intravedo alle spalle del mio alunno Giacomo, inquadrata nel rettangolo della sua finestrina, una chitarra elettrica. Gli domando se gli va di suonarla all’inizio della prossima lezione, al posto della campanella. «Ma si può fare, prof.?», mi chiede stupito. Le faccine nelle finestre rettangolari si illuminano in un sorriso. È la scuola che continua, con altri mezzi.
Viola Ardone – la Repubblica – 27 marzo 2020
Viola Ardone è insegnante e autrice de "Il treno dei bambini" (Einaudi Stile Libero)