Diminuiscono gli iscritti nei nostri atenei

  • Pubblicato in Cultura

Il nostro sistema universitario soffre di una doppia criticità. Da un lato esso vede da anni le proprie risorse diminuire (mentre in Francia, Germania e Spagna avviene il contrario); dall’altro esso si presenta sempre più come un sistema differenziato, con un Sud che arretra progressivamente. Ancora una volta due Italie, dunque, e ancora una volta sempre più lontane: un giovane nato a sud del Tevere (in questo caso bisognerebbe forse dire a sud dell’Arno) è destinato, novanta probabilità su cento, a studiare in un’università di serie B. L'editoriale di Ernesto galli Della Loggia su Corriere della Sera.

La marcia indietro dell'Università

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Meglio studi scientifici o letterari?

Il centro studi di Bruxelles Ceps ha pubblicato uno studio (che una delle sue autrici, Ilaria Maselli, ci racconterà nel dettaglio su carta nei prossimi giorni) che arriva a queste conclusioni sull’Italia: fatto 100 il valore medio attualizzato di una laurea a cinque anni dalla fine degli studi, per un uomo laureato in Legge o in Economia (o Scienza politiche, che però credo abbassi il valore medio) è 273, ben 398 se in Medicina. Soltanto 55 se studia Fisica o Informatica (le imprese italiane hanno adattato la propria struttura su lavoratori economici e poco qualificati). Se studia Lettere o Storia, il valore è pesantemente negativo, -265. Cioè fare studi umanistici non conviene, è un lusso. Che bisogna potersi permettere.Un articolo di Stefano Feltri su Il Fatto Quotidiano.

Quali studi scegliere all'Università?

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Rettori degli atenei nei guai per le scarse risorse

 Alla Sapienza di Roma, il più grande ateneo d'Europa, si “perdono”, ai fini delle entrate di bilancio, 42 mila iscritti, a Palermo 20 mila, alla Federico II di Napoli oltre 30 mila, alla Statale di Milano 18.000. In soldi, la differenza è dolorosa: per fare un esempio, la prima università d’Italia e d’Europa, la Sapienza, ha perso una decina di milioni di euro di fondi con il nuovo meccanismo. E siamo solo all’inizio: infatti se per quest’anno solo il 20 per cento del finanziamento è attribuito sulla base di questo calcolo, entro cinque anni si salirà al 100 per cento. Cioè, i fuori corso saranno solo un “peso morto” per gli atenei, un costo che c’è ma non conta nulla ai fini del finanziamento pubblico. U articolo di Roberta Carlini su l'Espresso.

Le furbizie degli atenei per non perdere finanziamenti

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