Marina & Pier Silvio B. vogliono dare il centro a Renzi

I figli di Berlusconi chiamano Renzi, Matteo ascolta

Marina e Pier Silvio Berlusconi intendono contare e stanno già facendo politica. Vogliono un nuovo centro e FI così com'è non va bene. Hanno cominciato dal casting.

Marina e Pier Silvio Berlusconi, sono persone ben educate al potere ed alla comunicazione. È arrivato, per i due, il tempo di mettere mano al dossier politica. Ad un anno dalla scomparsa del padre ne stanno declinando l’eredità a modo loro. Cercando un interprete di questo corso ed una classe dirigente che li sappia rappresentare. I soliti sospetti portano a Rignano, con Renzi sempre più solo ed in caduta nei consensi, ma sempre più parte del jet set internazionale. A lui serve come il pane una nuova linfa per mettere a frutto la sua chat di whatsapp che va da Bin Salman a Tony Blair. Il commento di Paolo Torricella su il Sussidiario

 

Ai Berlusconi serve uno che sappia come fare le cose affinché continuino a guadagnare e crescere senza mettere a repentaglio tutto con candidature dirette. Perciò le loro traiettorie appaio convergenti. Per ora. Come ben sanno, il casting è la base di ogni show di successo e per il momento stanno solo osservando i candidati prima di dar loro la prima serata.

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Lo scontro sulle riforme è provocato volutamente dal governo di destra-centro

Meloni &  C., la maggioranza di destra-centro ha salutato l’approvazione della riforma della giustizia in Consiglio dei ministri e i passi avanti su premierato e autonomia regionale. Questi pasticciati provvedimenti dovranno affrontare la prova del Parlamento, e dunque sono avvolti da un alone di incertezza. Se il governo porrà la questione di fiducia, ed è assai probabile, anzi probabilissimo, significa solo una cosa. Non sanno a che santo votarsi, ossia, più volgarmente, non sanno che pesci prendere! Avessero imparato qualcosa dal patto della crostata (Berlusconi - D’Alema), dall’infausta riforma fatta approvare dal centro-sinistra nel 2001, dalla folle personalizzazione di Matteo Renzi del 2016 (se gli italiani avessero al referendum votato sì, assai probablimente avremmo avuto, comunque, già un governo più stabile.

Quello che propone la maggioranza attuale è fuffa, solo fuffa, destinato ad infrangersi nel momento referendario previsto chi sostiene per il 2027! Campa cavallo.

Sostenendo a spada tratta la separazione delle carriere tra magistrati come una «svolta epocale», proponendo l’abolizione dei senatori a vita si fa solamente ridere i due terzi del Paese che non ha votato nè Fratelli d’Italia, nè la Lega di Salvini, nè Forza Italia. Meloni sostiene che questo lavorìo per le riforme non è frutto di uno scambio tra FDI, Lega e FI.  Ma chi vogliono prendere in giro? Mica siamo con gli anelli al naso! Alla premier Giorgia Meloni piaceva il presidenzialismo alla francese non il premierato; l’autonomia regionale la pretende la Lega e la riforma della giustizia (la divisione delle carriere dei magistrati) è una vecchia bussola berlusconiana.

Le europee sono alle porte e tutti, la maggioranza di governo ma anche la pattuglia di centro-sinistra, si preparano ad uno scontro dal sapore squisitamente elettorale. Le riforme proposte, se mai veniserro confermate dagli italiani al momento del referendum del 2027, modificheranno radicalmente la Costituzione vigente ed il sistema parlamentare.

Il Paese tutto ama davvero questo scenario?

E  poi ci sono i contrasti sulla politica estera, la competizione per le Europee e l’assenza di alleanze sul piano locale. Insomma, un guazzabuglio da cui è veramente difficile districarsi. Sarebbe stato più intelligente optare per un’Assemblea Costituente eletta con Sistema rigorosamente propozionale, come fatto nel 1946, immediatamnete dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Questa, composta di 556 deputati, venne eletta il 2 giugno 1946 e si riunì in prima seduta il 25 giugno nel palazzo Montecitorio. L'Assemblea continuò i suoi lavori fino al 31 gennaio 1948. E partorì una Carta Costituzionale che è ancora attuale, attualissima.

Perché la Meloni non ha seguito questa procedura? Era la più semplice e avrebbe evitato tutto questo can can di un’opposizione che strilla di attentato alla Costituzione vigente (e in effetti, se un cittadino abbandona la bandiera di appartenenza, a questa soluzione non avrebbe avuto alcunchè da eccepire), e assai probabilmente nel giro di qualche mese il Paese avrebbe approvato la riforma perché sarebbe stato il prodotto di una lunga, franca e positiva discusione in seno ad un'Assemblea composta dalle menti più illuminate di cui l’Italia senza ombra di dubbio dispone.

Purtroppo, anziché la strada del confronto è stata scelta la strada dello scontro frontale. Ma si sa come queste vicende vanno, poi, a finire. Male per l’attuale maggioranza (siamo facili profeti) che propone premierati (che non esistono in nessun Paese. Netanyahu voleva imporlo in casa sua e si constata come le vicenda è finita), autonomie differenziate (a questo proposito perché non riprendere e discutere serenamente e senza pregiudizi le diverse proposte giacenti in Parlamento e cercare di modificare l’assetto regionale attuale e modificarlo alla luce delle mutate esigenze di uno Stato moderno?

Perché, ad esempio, non accorpare alcune regioni creandone quattro o cinque di aree omogenee? Per esempio Nord Est (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige), Lombardia, Nord Ovest (Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta), Centro Appeninico (Emilia Romagna, Toscana, Marche ed Umbria), Roma Capitale, Centro (Lazio, Abruzzo e Molise), Sud Italia (Campania, Puglia, Basilicata e Calabria), Italia insulare (Sardegna e Sicilia). Le nuove regioni potrebbero esser 8 anzichè 20. Il che implicherebbe possibilità di risparmi anche sotto il profilo dell'efficienza amministrativa oltre che quello economico. E si sa quanto il nostr martoriato Paese ne avrebbe bisogno, con il fardello del debito pubblico che si avicina pericolosamente alla soglia dei tremila miliardi di euro! Oggi è a 2.925.000.000.000! Una cifra semplicemente pazzesca. È da questo numeretto che bisogna assolutamente partire per invertire il cambio di strategia di qualsiasi esecutivo che si rispetti. Anche di questo della Meloni.

In questo contesto si potrebbero addirittura ripristinare le vecchie e tanto vituperate province che, comunque,  avrebbero il grande vantaggio di essere più vicine ai cittadini.

La stessa operazione potrebbe essere intrapresa nel ridisegno della amministrazioni municipali. Per potersi reggere sul piano politico-amministrativo, i comuni dovrebbero avere non meno di 5 o, addirittura 10 mila abitanti. Quindi meno sindaci di paesini di 40 abitanti! I piccoli comuni in Italia sono ben 5.500, il 69% del totale. In molte regioni si sa che oltre il 70% della superficie territoriale ricade sotto il controllo dei Piccoli Comuni.

Qualcosa bisogna pur fare. O no? Quanto sarebbero più efficienti le nuove regioni! Quanti e quali risparmi: meno presidenti, un drastico taglio del numero dei condiglieri regionali. Ma la classe politica da questo orcchio non ci sente proprio!

Complessivamente sono 5.500 i Piccoli Comuni, il 69% dei comuni italiani, nei quali si contano 10.068.213 residenti, il 17% della popolazione nazionale. Le regioni con il più alto numero di piccoli Comuni sono Piemonte (1.046) e Lombardia (1.043). La maggior parte dei piccoli Comuni ha una popolazione compresa 1.001 e 3.000 abitanti (il 45,8%), mentre quelli con popolazione sotto i 1.000 abitanti sono ben il 33,6% del totale. In molte regioni, oltre il 70% della superficie territoriale ricade sotto il controllo dei Piccoli Comuni. Negli ultimi anni i Piccoli Comuni hanno perso ulteriormente abitanti (-3% dal 2012 al 2017). Ciò pone al centro del dibattito il tema del Controesodo.

Meloni, sveglia!

Marco Ilapi – 31 maggio 2024

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I laburisti britannici indicano al Pd la via della vittoria

  • Pubblicato in Esteri

L'Inghilterra al voto anticipato! Rischi per Sunak

In Gran Bretagna si voteeà il 4 luglio. e quella del leader laburista Keir Starmer è la vittoria più annunciata del mondo, almeno secondo i sondaggi. Non si vede cosa possa arrestare il vento che soffia nelle vele del Labour party, che dopo quattordici anni dovrebbe proprio tornare al governo di un Regno Unito molto malmesso – dopo l'era orribile di Boris Johnson che il suo blando successore Rishi Sunak non ha saputo archiviare (...) Era chiaro il fallimento di Suniak e l'avvento di Starmer, del quale va messo in evidenza un punto politico forte che egli ha in comune con la grande stagione laburista di Tony Blair. E cioè l'assillo di fare del Labour un autentico partito della Nazione, un termine in voga nei primi anni Duemila quando si trattava di dar vita al Partito democratico e poi ripreso qualche anno dopo da Matteo Renzi che ne era il leader. Un partito cioè in grado di rappresentare e di comporre interessi sociali e territoriali diversi (su quest'ultimo punto è significativo che il Labour possa diventare il primo partito in Scozia, per dire) puntando soprattutto a un obiettivo che alla sinistra italiana di oggi non entra in testa: la produttività, premessa della crescita. Il commento di Mario Lavia su Linkiesta.

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