Le parole dell’anno per l’Oxford english dictionary

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Quest’anno per la prima volta nella storia, l’Oxford English Dictionary ha chiesto al pubblico di aiutarlo a decidere sulla loro Parola dell’anno. Più di trecentomila persone hanno votato fra tre opzioni per la loro favorita. La vincitrice, con un grande vantaggio, è stata “goblin mode”, che significa “modalità folletto”. Il fatto che il termine fosse al vertice dei primi tre aveva sorpreso molta gente che aveva argomentato che la parola non era così ampiamente conosciuta. Tuttavia gli editori all’Oxford Languages hanno difeso la scelta poiché secondo il loro parere riflette l’ethos del 2022. “Goblin mode” descrive il comportamento della persona auto indulgente, pigra o egoista che normalmente rifiuta le regole sociali e non le importa cosa pensino di lei. Un esempio di atteggiamento “goblin mode” è stendersi sul divano con i vestiti sporchi, guardando Netflix all’infinito mentre si mangia la pizza. Nel folclore e tradizioni di molti paesi europei i folletti sono figure grottesche e malevole. Non gli potrebbe importare di meno del loro aspetto o reputazione.

Sappiate che una persona può essere in modalità goblin, Folletto, o diventare tale. Il termine fece la sua prima comparsa nel 2009, ma divenne popolare grazie alla frase  di una celebrità comparsa su Twitter. Il titolo recitava: “Iulia Fox si è dichiarata sulle sue difficoltà relazionali con Kanye West: A lui non piacevo quando io ero in goblin mode”. La frase era naturalmente falsa, ma continuò a diffondersi e divenne virale, facendola diventare un meme, qualcosa che si trasmette per imitazione. Secondo il lessicografo americano Ben Zimmer, “goblin mode realmente fa riferimento ai nostri tempi. Appare simile allo Zeitgeist del filosofo Hegel, con in quale si spiegano  le idee e gli atteggiamenti predominanti in una determinata epoca”. Dopo lo stress dovuto alla pandemia, entrare in goblin mode sembra essere un contraccolpo contro i contenuti ambiziosi dei social media che ci bombardano con immagini di bellissima gente che svolge attività sane come cucinare dolci e fare yoga. I Folletti non fanno niente di tutto questo. Così se tu sei stanco di video che ti aiutano a migliorare dandoti consigli su come metterti in forma come quelli che contengono il popolare hashtag #ThatGirl, è tempo di andare in modalità Goblin (folletto). Per connetterti con altri Goblins devi cercare l’app BeReal. Questa app per la condivisione di foto invita le persone a non avere filtri nel far conoscere immagini della loro vita di ogni giorno e a non nascondere i loro momenti di “goblin mode”.

La seconda parola più votata è stata invece metaverso, una parola usata più frequentemente nel 2022 che nel 2021. Un metaverso è, o potrebbe esserlo nel futuro, un ambiente di realtà virtuale immersivo, dove gli utenti interagiscono tra loro o attraverso gli avatar. Non esiste ancora, ma alcune persone credono che ci sarà una nuova fase di Internet. C’è stato un incremento dell’uso del termine metaverso dopo che Mark Zuckerberg ha cambiato il nome di Facebook in Meta a ottobre 2021. Sebbene esso sia diventato popolare solo di recente, il concetto di un mondo di realtà virtuale chiamato Metaverso, comparve trent’anni fa in una romanzo di fantascienza dal titolo Snow Crash dello scrittore americano Neal Stephenson.

Al terzo posto troviamo infine #IStandwith, un hashtag usato per indicare solidarietà con una persona o una causa. #IStandwithUkraine è apparso subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel tardo febbraio ed è diventato molto popolare. Ci sono esempi di “hashtag activism”, il fenomeno di far uso di internet per mettersi insieme e promuovere followers per una particolare causa. Altri ben noti esempi di hashtag adoperati nell’hashtag activism sono #BlackLivesMatter, and #MeToo.

Patrizia Lazzarin, 7 febbraio 2023

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Salto nel vuoto alto. Arte al di là della materia

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Nell’anno di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura, il programma delle rassegne al GAMeC si è aperto con Salto nel vuoto. Arte al di là della materia, il terzo e ultimo capitolo del progetto espositivo pluriennale ideato da Lorenzo Giusti dedicato all’indagine sulla materia nell’arte del XX e del XXI secolo. Avviato nel 2018 con la mostra Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile e proseguito nel 2021 con Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione, Salto nel vuoto chiude la Trilogia della Materia esplorando il tema della smaterializzazione e creando un racconto trasversale che evidenzia le connessioni esistenti tra le indagini sul vuoto,  intraprese dai primi movimenti dell’avanguardia storica e sviluppate dai gruppi sperimentali del secondo dopoguerra e le ricerche sul flusso risalenti agli anni della prima informatizzazione e l’utilizzo di nuovi linguaggi e realtà simulate nell’epoca post-digitale. La mostra, a cura di Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta, presenta i lavori di alcuni grandi protagonisti e protagoniste della storia dell’arte del XX secolo e pionieri dell’arte digitale insieme ad autrici e autori delle generazioni più recenti, grazie ai prestiti di importanti istituzioni internazionali e di collezioni private. Nello specifico, Salto nel vuoto rivolge lo sguardo a quegli artisti e artiste che, in tempi diversi, hanno indagato la dimensione del vuoto negandola nella sostanza o identificandola quale mera dimensione ideale, o il cui lavoro si è rivelato in grado di riflettere i cambiamenti epocali nella percezione della dimensione materiale, introdotti dall’emergere dei paradigmi del software e dell’informatizzazione, così come dalla rivoluzione digitale e dalla sua sistematizzazione. La mostra si articola in tre sezioni tematicheVuoto, Flusso e Simulazione – che inquadrano altrettante modalità di messa a fuoco, rappresentazione ed espressione dei principi della smaterializzazione, e si snoda in un percorso esperienziale che sollecita la percezione dello spettatore da un punto di vista visivo e corporeo.La prima sezione è dedicata alla rappresentazione del vuoto come spazio immateriale. Una dimensione forzatamente negata, continuamente smentita e fondamentalmente contraddetta dalla materialità stessa dell’opera d’arte. Accoglie una serie di lavori di autori che, in tempi diversi, hanno operato, soprattutto in pittura, attraverso i principi della riduzione estrema, del minimo contrasto e dell’impercettibile, raccontando il vuoto come una dimensione immaginativa, ideale o concettuale. Contraddistinte dalla presenza dominante del bianco, nelle prime sale il percorso espositivo si snoda tra le estroflessioni di Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani,i fogli in plastica trasparente perforati a cadenza regolare di Dadamaino, le composizioni minimaliste di Jean Degottex e Aiko Miyawaki fino alle sperimentazioni con la luce e lo spazio di Ann Veronica Janssens.  I lavori di artisti e artiste del primo e del secondo Novecento sono posti in dialogo con opere recenti di alcuni tra i più significativi protagonisti dell’arte internazionale degli ultimi anni. La sezione Flusso presenta una selezione di opere di epoche diverse, dalle avanguardie storiche ai giorni nostri, testimoni del radicale impatto dell’informatizzazione e delle reti digitali sulla percezione della realtà materiale. Le dimensioni indagate sono quelle della materialità non-atomica dei dati, del bit come unità minima dell’informazione, del pixel come unità minima dell’immagine digitalizzata, del software come processo che può o meno generare un output sensibile. La sezione rende dunque conto della complessa maniera di esistere dell’arte nel cosiddetto “Informational Milieu”. Le sale ospitano lavori di precursori come Giacomo Balla, Umberto Boccioni, František Kupka, Pablo Picasso;opere che introducono al dinamismo percettivo dell’Arte Programmata e di Fluxus insieme ad altri lavori degli anni Sessanta e Settanta che rappresentano sistemi complessi e basati su processi, istruzioni e programmi – da Agnes Martin a Roman Opałka, da Vera Molnar a Lillian F. Schwartz – accanto a numerose opere recenti di artiste e artisti internazionali. La terza sezione si concentra sullo snodo tra reale e virtuale, in un percorso cronologicamente altalenante che pone in dialogo opere che indagano criticamente l’impatto delle simulazioni sul nostro modo di percepire la realtà concreta – Lynn Hershman Leeson e Seth Price, tra gli altri – con altre che, attraverso il mezzo pittorico, ne amplificano la percezione creando potenti illusioni visiveRichard Estes, Duane Hanson, René Magritte –; e altre ancora che costruiscono realtà alternative convincenti mediate o meno dall’uso di dispositivi tecnologici di realtà virtuale e realtà aumentata, in un percorso che procede da lavori pionieristici a opere recenti, da Rebecca Allen a John Gerrard, da Jon Rafman a Timur Si-Qin.L’età dell’informazione ha vaporizzato la realtà in una serie di esperienze relazionali, comunicative e mediali, in cui la materia di cui è fatto il reale si sublima nell’intangibilità del “virtuale”.

Vissuto inizialmente come una dimensione radicalmente altra, accessibile solo attraverso un temporaneo abbandono della realtà reso possibile da specifiche tecnologie immersive – analogiche come i panorami o digitali come i caschi di realtà simulata – il virtuale è andato progressivamente identificandosi con la realtà stessa, a mano a mano che le nostre relazioni ed esperienze venivano facilitate da schermi, dispositivi e reti di comunicazione.  La mostra si avvale della collaborazione della Fondazione Meru - Medolago Ruggeri per la ricerca biomedica, già promotrice, tra il 2013 e il 2017, con Associazione BergamoScienza e GAMeC, del prestigioso Meru Art*Science Award, finalizzato alla promozione di progetti artistici legati allo sviluppo delle ricerche scientifiche. Il nuovo programma di ricerca – Meru Art*Science Research Program – finanzia la realizzazione di un progetto site-specific per lo Spazio Zero della GAMeC, come avvenuto in occasione delle mostre Black Hole e Nulla è perduto. Sulla linea delle pubblicazioni che hanno accompagnato le precedenti mostre della Trilogia, il catalogo di Salto nel vuoto – edito da Officina Libraria e GAMeC Books con progetto grafico di Studio Temp – sarà costituito dai testi dei curatori Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta e da approfondimenti sulle opere in mostra affidati a storici dell’arte italiani e internazionali. Chiude il volume la ripubblicazione di un saggio di Italo Calvino, derivato da una conferenza del 1967 intitolata Cibernetica e fantasmi, in cui lo scrittore descrive la letteratura come processo combinatorio, soffermandosi sull’impatto della teoria dell’informazione sulla letteratura, sulla creazione e sulla nostra visione del mondo, sulla fine dell’autore, sul rapporto uomo-macchina, e su quella che allora non veniva ancora chiamata intelligenza artificiale.   

Patrizia Lazzarin, 5 febbraio 2023

 

 

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Matrix: il “segreto” della poetessa Maria di Francia

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La scrittrice Lauren Groff è una voce molto nota della letteratura americana. I suoi libri sono stati tradotti in trenta lingue e il suo audace romanzo Fates and Furies, ossia Fato e Furia pubblicato nel 2015, è stato scelto dall’ex presidente Barack Obama come il suo libro dell’anno. Ma fu prima di quel successo letterario, quando  era ancora all’università, che Groff  scoprì per la prima volta i poemi conosciuti come “lais”, le novelle in versi della poetessa Maria di Francia, una donna del XII secolo. I dodici poemi, scritti in francese medievale, sono drammaticamente vivi e immediatamente catturarono l’immaginazione della scrittrice. Quando, anni dopo, ella ebbe occasione di assistere ad una conferenza sulla vita delle monache nel Medioevo, si ricordò della sua prima fascinazione per Maria di Francia ed ebbe l’idea di scrivere Matrix. Diversamente dalle sue precedenti opere, ambientate nella contemporaneità, il libro è il primo romanzo che Groff colloca nel passato. Lei ammette “di essere stata incerta  se scrivere una fiction che riguardasse una storia cronologicamente lontana perché, se non riuscita bene, poteva essere  giudicata come una semplice maniera di fare “turismo nel tempo”. Tuttavia, ha spiegato l’autrice americana, negli anni recenti si è sentita spinta a trovare un modo per interrogarsi sulle questioni urgenti del mondo contemporaneo, in particolar quelle riguardanti le donne e il potere.

Lei ha capito che scrivere un romanzo ambientato nel passato gli avrebbe fornito la libertà di fare questo. Il contesto storico diventa quindi uno strumento rivoluzionario che le permette di trattare problemi d’oggi che le sarebbe stato più complicato esplorare in un’opera collocata nella contemporaneità. Quasi nulla si conosce di Maria di Francia, ma per Lauren Groff questo è parte della sua attrattiva. Ha confessato che il personaggio di Maria di Francia in Matrix, potrebbe essere molto diverso dalla figura storica, ma la precisione storico-scientifica, sebbene importante, non è la sua primaria preoccupazione. Su questa donna  del Medioevo, l’autrice si è sentita libera di immaginare e ha creato un racconto ricco di fascino e pathos. Qual è la storia raccontata in Matrix? Quando la giovane diciassettenne venne inviata dalla regina Eleonora d’Aquitania a guidare un’abbazia semi-abbandonata in qualche parte della piovosa Inghilterra, ella trovò un luogo  deprimente dove regnava il caos. Ma nel corso dei decenni, sotto la sua guida carismatica le fortune dell’abbazia mutarono, man mano che le donne seppero isolarsi  da tutto ciò che esisteva al di fuori delle mura del monastero. Lontane dai sistemi gerarchici maschili esistenti nel resto del mondo  e in particolar modo della Chiesa, le donne riuscirono a costituire un loro sistema di potere. Il risultato fu straordinario, ma non utopistico.

Groff spiega perché ha deciso di pensare l’abbazia guidata da Maria di Francia come una comunità formata da sole donne che esclude gli uomini da un ruolo attivo. “La ricerca storica era stata particolarmente frustante perché le donne nel corso del tempo erano state sempre relegate nell’ombra e quasi non venivano rappresentate come pieni esseri umani. Questo avveniva specialmente nei testi medievali. E così volli un po’ribaltare il copione. Gli uomini esistono in questo libro, ma non sono realmente visibili, non hanno una propria individualità. Anche gli animali sono donne”. Mentre la poesia medievale francese potrebbe sembrare difficile e accademica, Groff evidenzia come i “lais” mantengano sempre una loro freschezza. La ricca e colorata imagery delle novelle lo testimonia, come lei spiega. Esse sono così travolgenti. Troviamo uno strano lupo mannaro. C’è la storia dei due amanti ghiacciati sulla cima di una montagna e quella  sulla barca incantata. Ci sono le fate … Incontriamo un mondo pieno di magia e un tipo di sensibilità di cui percepiamo la lontananza. Sono fantastiche. Io le amo. Per la scrittrice è un obbligo morale quando si scrive un libro ambientato nel passato essere vicini ai fatti realmente accaduti. Poiché non si conosce nulla di Maria di Francia si è basata  sulle novelle e favole che lei aveva composto. Ogni volta che mi sono imbattuta in un dettaglio, in una parola, in un’immagine che sembrava brillante, audace e piena di vita, indicativa di una sensibilità profonda l’ho presa e messa nel romanzo. Questo ha reso il personaggio di Maria di Francia più audace e piena di ambizioni, non necessariamente  uguale a come molti la immaginano. Io ho pensato a un carattere forte e pieno di vitalità e così l’ho reso. Se questo è vero o no, nessuno lo può dire.

Patrizia Lazzarin, 4 febbraio 2023

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