Ma la scuola si complica nella fase 2

La Danimarca da due giorni, la Germania il 4 maggio, la Francia l'11. Le famiglie italiane si chiedono: perché in altri Paesi le scuole riaprono, mentre in Italia se ne riparlerà a settembre? Giusta domanda, ma la risposta deve evitare semplificazioni. Macron ha annunciato che la scuola francese ripartirà privilegiando gli studenti più fragili, senza spiegare come. In Germania riapriranno a tappe, partendo dagli ultimi anni di elementari e superiori, con rigide misure di distanziamento, classi più piccole.
E riducendo il numero delle materie a quelle ritenute essenziali: tedesco, matematica, inglese (chissà perché non scienze?).
Vediamo la Danimarca, Paese poco toccato dal virus e l'unico che finora abbia provato davvero a riaprire le scuole. Come l'ha fatto? La foto del 16 aprile su La Stampa spiega più delle parole: con un distanziamento di almeno 2 metri, riducendo le classi a 10-11 allievi per insegnante, accorciando gli orari. Inoltre, facendo lezione all'aperto laddove possibile. Per chi ha riaperto le scuole, la Danimarca? Per ora, solo per gli under 12. Va detto, peraltro, che il 35% degli istituti non è ancora pronto a riaprire. E che molti genitori si sono ribellati alla ripresa scolastica, temendo per la sicurezza dei figli (e la famiglia là è meno protettiva che qui).
In Italia, colpita molto più duramente dal virus, giustamente gli esperti sanitari vedono le scuole – luoghi di fisiologico assembramento – come potenziali focolai di ripresa epidemica. Perciò si proverà a riaprire a settembre. Ma con gli stessi problemi e vincoli della Danimarca e degli altri Paesi.
Intanto, tenere il distanziamento a scuola è difficilissimo. Se dovesse essere di 2 metri – come a Copenhagen – per una classe di 20 alunni servirebbero aule di almeno 125 metri quadrati. La dimensione media delle aule italiane è poco più di un terzo. Ma la difficoltà prosegue nei corridoi, sulle scale, all'ingresso, fin dai mezzi pubblici.
Le soluzioni non potranno che essere miste e spesso da adattare alle singole situazioni. Ridurre il numero degli allievi in classe, immaginare forme di turnazione e accesso differenziato, estendere la frequenza al pomeriggio e dunque anche il lavoro dei docenti, modificare il monte ore, utilizzare per la lezione anche altri spazi, inclusi cortili e aree verdi (che da noi sono circa due terzi della superficie a terra delle scuole, sebbene con forti differenze per epoca di costruzione), forse immaginare – come a Berlino – una selezione delle materie. E altro ancora. Penso, però, che in ogni caso si dovrà fare un mix di ingredienti diversi per trovare la ricetta giusta, che per ora nessuno ha. Un ruolo avrà ancora la didattica a distanza. Non perché si voglia sostituirla alla didattica in presenza, che resta essenziale e il cuore del processo educativo. Ma, poiché non tutti potranno rientrare nello stesso momento, la DaD è una buona risorsa in più, specie alle superiori.
Con chi riaprire? Forse è giusto pensare anche qui ai più piccoli. Per loro, dal punto di vista pedagogico, stare fisicamente a scuola è ancora più necessario e la didattica a distanza è meno efficace. Inoltre, non possono rimanere da soli a casa, limitando così la possibilità dei genitori di andare al lavoro. Sono anche quelli, però, a cui è più difficile fare capire e rispettare la necessità del distanziamento. Per non parlare delle mascherine.
Per la fase 2 della scuola risposte semplici e lineari non esistono. Abbiamo quattro mesi per pensarne di articolate e adeguate.

Andrea Gavosto* - La Stampa – 18 aprile 2020

*Direttore della Fondazione Agnelli

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Un’educazione a 360 gradi

  • Pubblicato in Cultura

Il cambiamento e le costruzione della conoscenza. Un grande festival dell'educazione si è svolto a Torino dal 23 al 27 novembre. Come "promuovere l'apprendimento inclusivo, esteso a tutte le componenti della comunità, migliorare a tutti i livelli la qualità e l'accessibilità della formazione; estendere e garantire la conoscenza e l'uso delle nuove tecnologie per facilitare e ampliare l'accesso alla conoscenza". Questi gli obiettivi della città sabauda, in cui si può ritrovare lo spirito del Festival dell'Educazione, organizzato a fine novembre dal Comune insieme all'Università e al Politecnico e altri enti e associazioni che si occupano di formazione, come il MIUR, l'Indire, la Fondazione Agnelli e quella della Compagnia di San Paolo. Un programma, ricchissimo di proposte (un centinaio, in quattro giorni) e articolato in venti aree tematiche, secondo quattro dimensioni: Io, Noi, Tempo, Spazio, interconnesse fra loro in un processo circolare.

La dimensione dell'Io è stata incentrata su neuroscienze, cura di sé, educazione al cambiamento, apprendimento permanente, professione-docente.

E' importante valorizzare nell'insegnamento anche la dimensione corporea ed emozionale, se si vogliono migliorare l'apprendimento e la motivazione ed evitare l'esclusione dei soggetti più deboli. Così come si dovranno richiedere al professionista dell'educazione nuove competenze, che gli permettano non tanto e non solo di "trasmettere" conoscenze, ma di promuovere nei discenti autonomia personale, identità culturale, curiosità, abitudine al confronto. Il docente, quindi, da "esperto"tout court (che dispensa saperi), deve farsi "facilitatore", così da promuovere l'abitudine ad un apprendimento autonomo, necessario per quel life long learning, di cui una società complessa e in cambiamento continuo non può più fare a meno.

La dimensione del Noi si è occupata di inclusione e integrazione, scuola e università, nuove forme familiari e relazioni nello spazio virtuale (cyber bullismo), libertà di pensiero e di scelta (maschile e femminile).

Le scuole sono ormai contesti multiculturali, dove la questione delle differenze culturali, religiose, linguistiche e sociali si pone in primo piano. Per affrontarla in modo adeguato, il mondo della formazione deve ri-orientare i propri presupposti pedagogici e le pratiche educative, facendo del tema della multiculturalità – interculturalità un'occasione di crescita e di educazione alla cittadinanza.

Fra i tanti problemi da affrontare non si deve dimenticare quello del bullismo, che con l'uso improprio delle nuove tecnologie è diventato cyberbullismo, a partire dalla rete fino a raggiunge la vittima ovunque, con ripercussioni sulla vita scolastica e familiare dei giovanissimi. E' pertanto urgente aumentare la consapevolezza nell'uso di tali strumenti fra gli adolescenti, sia da parte degli educatori che delle famiglie.

E a proposito del "sistema famiglia", la scuola deve anche tenere conto dei grandi cambiamenti in essa avvenuti rispetto al modello standard (dalle coppie di fatto, alle madri lavoratrici in nuclei familiari monoreddito). Così come è ugualmente necessario lavorare su stereotipi e pregiudizi (come quello di genere), frutto di categorizzazioni sociali sedimentate storicamente e assorbite fin dalla prima infanzia.

Le aree tematiche della dimensione Tempo sono state: i tempi dell'apprendimento, le didattiche innovative e le nuove prospettive pedagogiche, il tempo dell'infanzia e quello del tempo libero di bambini e ragazzi.

Fra i tanti cambiamenti urgenti nella scuola, vi è quello di un nuovo curricolo, "flessibile" e "individualizzato", nell'ottica di una scuola inclusiva: non più solo obiettivi da raggiungere uguali per tutti, ma attenzione agli stili cognitivi di ognuno, ai tempi di apprendimento(legati anche ai Bisogni Educativi Speciali) e un insegnamento per competenze, trasversale alle varie discipline.

Mentre, al di fuori della scuola, si dovrebbero ricreare dei momenti di tempo "libero" per bambini e ragazzi, ormai "programmati" come dei piccoli adulti in attività pomeridiane incessanti e controllate, per permettere la formazione di un pensiero flessibile e creativo.

Infine, per la dimensione Spazio, le tematiche hanno riguardato i luoghi formali e informali dell'educazione, da quelli pubblici a quelli virtuali.

Le aule scolastiche dovrebbero diventare spazi laboratoriali, spazi flessibili pensati per un maggior coinvolgimento degli alunni, protagonisti del loro apprendimento grazie al confronto, alla collaborazione fra pari e all'utilizzo di una pluralità di strumenti, invece che alla sola lezione frontale. Inoltre, agli spazi chiusi (controllati, sicuri, finalizzati a specifiche attività), nei quali si svolge per lo più la giornata di bambini/e e ragazzi/e si dovrebbero affiancare, a partire dalla prima infanzia, occasioni di relazione attiva e libera con l'ambiente, soprattutto esterno (outdoor education). Come dovrebbero essere ripensati gli stessi spazi urbani, per essere resi più flessibili e fruibili da giovani e famiglie.

Le giornate torinesi, con momenti plenari, seminari tematici (dove si sono approfonditi temi e ricerche), tavole rotonde per dialogare con approcci culturali e visioni divergenti, workshop con presentazione di buone pratiche, laboratori e mostre, sono state davvero un'occasione di ricerca, incontro e dialogo per tutti coloro che si occupano di educazione e formazione.

Clara Manca, Cidi, Torino

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E' davvero buona la scuola del duo Renzi-Giannini?

Tra i precari delle graduatorie ad esaurimento – anche prevedendo la possibilità di spostare i docenti da una regione all’altra – per diverse materie (soprattutto, nelle discipline matematiche, scientifiche, laboratoriali e anche nel sostegno) non ci sono abbastanza candidati con il profilo professionale e l’abilitazione giusta a coprire le cattedre di cui le scuole hanno bisogno. Di qui ben 7 mila rimaste scoperte, che non potranno essere neppure assegnate nella fase successiva del piano, quella del cosiddetto «organico di potenziamento», perché i candidati restano sempre gli stessi. Perciò andranno – esattamente come gli anni scorsi – a supplenti presi da altre categorie di precari, in particolare quelli iscritti alle graduatorie di istituto.  Un articolo di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, su La Stampa.

Il pasticciaccio della Buona Scuola

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