di Patrizia Lazzarin

Fuori il mare sibilava come uno sciame di insetti. Immaginiamo di esserci. Nel libro Odore freddo del mare, della scrittrice inglese Elizabeth O’Connor, ci troviamo letteralmente catapultati su una di quelle piccole isole britanniche che negli ultimi duecento anni sono andate progressivamente spopolandosi. Il nostro pensiero va alle isole Blasket, Bardsey, Saint Kilda o alle isole Aran.
Fuori il mare sibilava come uno sciame di insetti. Immaginiamo di esserci. Nel libro Odore freddo del mare, della scrittrice inglese Elizabeth O’Connor, ci troviamo letteralmente catapultati su una di quelle piccole isole britanniche che negli ultimi duecento anni sono andate progressivamente spopolandosi. Il nostro pensiero va alle isole Blasket, Bardsey, Saint Kilda o alle isole Aran. Qui regna la poesia di una Natura incontaminata che si definisce fin dalle prime pagine. Una Natura dove il mare e il cielo sono signori e gli uomini e le donne, pur conducendo una vita molto semplice, hanno la libertà di immaginare, di creare storie e di vivere cogliendo ogni frutto che la terra o l’elemento acqueo possono offrire. Ogni primavera, racconta la protagonista Manod, ritornano una miriade di uccelli: le gazze marine, i gabbiani, le sule, le pulcinelle di mare, le rondini, le sterne …
In quest’isola immaginata, dove tutti parlano il gallese, Manod sogna come molti altri giovani di andare a vivere altrove. Lei ha imparato l’inglese che le tornerà utile quando arriveranno in quel luogo due antropologi per studiare la sua popolazione che conserva un’autenticità forte.
Il romanzo è ambientato negli anni Trenta.
Leggiamo:
“L’isola era lunga quattro chilometri e larga uno e mezzo, con il faro a segnalare la punta orientale e una grotta scura all’estremità occidentale. C’erano in tutto dodici famiglie, il reverendo e il polacco Lucasz che lavorava al faro. La nostra casa era incastonata nel versante di una collina in un angolo in cui la collina la avvolgeva nel suo pugno”.
Sono gli uccelli nelle loro infinite varietà gli inquilini con cui gli abitanti dividono l’isola e i suoi scogli, dove il mare ridisegna spesso lo spazio destinato ai campi e dove le leggende si tramandano assieme alle canzoni per narrare la vita e i sentimenti di un popolo di pescatori che, ogni giorno scommette sulla propria vita nell’affrontare il mare con piccole barche, mentre le donne sulla spiaggia con già i tavoli pronti e le forbici e i coltelli alla mano, attendono il pescato.

Quelle donne, a differenza degli uomini, possono solo sognare una vita più facile in un’altra terra. Scopriamo mille mestieri … Manod cuce vestiti, fila la lana, ricama piccoli arazzi e studia con le due maestre mandate in quell’angolo di mondo, dentro una vita ordinata da piccole cose che acquistano un grande valore.
Manod è orfana e ha una sorella minore che nei suoi modi fantastici e impulsivi, immediati, si diverte a raccogliere ossa abbondonate di piccoli animali.
Ci troviamo in uno spazio dove gli esseri umani sembrano dimenticare i piccoli egoismi della città. Isola qui vuol dire protezione e vivere con naturalezza. Un sentimento di fratellanza unisce i suoi abitanti.
L’autrice Elizabeth O’ Connor vive a Birmingham e ha un dottorato in Letteratura inglese. Nel 2020 ha vinto il White Review Short Story Prize. Le recensioni di questo libro, edito in Italia da Garzanti, con la traduzione di Federica Merati, apparse sui giornali, sono state molto buone. Vorrei citare quella del Guardian perché in una frase condensa anche altre caratteristiche del testo. “Con uno stile evocativo, l’autrice esplora il tema dell’importanza delle tradizioni contro la modernizzazione e dell’emancipazione femminile”.
Evocare è quella capacità anche di rendere vicine cose lontane, di renderle quasi tangibili. Qui il sogno o ciò che non possediamo o abbiamo perso ritorna ad essere reale, vero.
La madre di questa scrittrice trentaduenne pare sia originaria proprio di uno sperduto villaggio gallese e che il padre venga dalle Blasket, ormai disabitate dagli anni Cinquanta.
4 luglio 2025