di Antonello Catani
Come noto, durante il Vertice NATO tenutosi a L’Aja fra il 24 e il 25 giugno, praticamente tutti i membri europei si sono impegnati ad aumentare il loro contributo alle spese militari, destinando alla difesa complessivamente il 5% del PNL. Chi ha opposto obiezioni, come ha fatto la Spagna, è stata minacciato di ritorsioni doganali da parte degli Stati Uniti. Accanito sostenitore dell’aumento in questione è stato il Segretario generale della NATO, Mark Rutte, le cui sfrenate e indecorose lodi al Presidente americano costituiscono l’espressione più untuosa della strisciante e palese sudditanza europea nei confronti degli Stati Uniti.
Prima di commentare i risultati del suddetto vertice, sarà utile un pizzico di cronistoria.
Innanzi tutto, una domanda assai meno superflua e pretestuosa di quanto non sembri: cos’è la NATO? Di fatto, tutti sembrano dimenticare che si tratta di un’entità eminentemente artificiale, un presidio militare mascherato da apparenze collegiali (la finzione fa acqua da tutte le parti). In altre parole, una testa di ponte impiantata dagli Stati Uniti dopo la II Guerra Mondiale. Con la scusa della protezione dell’Europa dall’espansionismo sovietico, Washington si assicurava un piede militare in Europa per gli anni a venire. Ormai siamo quasi al secolo. Una sottomissione talmente consolidata da far apparire la NATO come una naturale propaggine dell’Europa. Da questo punto di vista, essa è perfettamente simmetrica con l’Unione Europea, anch’essa un’entità totalmente artificiale ma che rivendica una sua presunta legittimazione quasi storica.
Riguardo alla sudditanza sopra menzionata, se mai qualcuno avesse dei dubbi in merito, basta notare come proprio le nazioni sconfitte, e cioè Germania e Italia, siano quelle che ancora vantano nel loro territorio la più cospicua presenza militare americana in Europa, non solo in termini di uomini ma anche di armamenti. A parte la ben nota base tedesca di Ramstein, un esempio italiano, ignorato dai più e oscurato dalla narrativa ufficiale, è la gigantesca base di Camp Darby, situata a Pisa su un territorio di 2000 ettari. Secondo il colonnello americano Erik Berdy, la base in questione, anch’essa con un conveniente berretto NATO, è il più grande arsenale militare americano fuori dagli Stati Uniti. Nata nel 1951 con il supposto traguardo temporale di 45 anni, nel 1996 l’Italia ne ha esteso la presenza per un periodo di tempo indefinito. (Non risulta che il relativo accordo, allo stesso modo di innumerevoli altri, sia stato oggetto di consultazioni elettorali.)
Una simile disinvolta ma furtiva presenza, per non parlare della base di Aviano, o delle altre presenti sul territorio italiano, anch’esse con una conveniente etichetta NATO ma di fatto con un’ossatura americana, non ha ragionevoli giustificazioni. Quella della difesa del cosiddetto “mondo libero” è la tipica coperta troppo corta e sempre più incongrua. La più prosaica verità è che, nonostante le pretese d’indipendenza, l’élite politica italiana, allo stesso modo di quelle europee, non ha mai avuto il coraggio di liberarsi di tali larvate forze di occupazione.
La posticcia giustificazione della “difesa del mondo libero” è diventata pertanto il rimedio e la conveniente auto-assoluzione per la suddetta mancanza di coraggio. Il lessico regolarmente utilizzato dai difensori e patrocinatori della NATO è del resto illuminante. Uno dei suoi termini cardine, e cioè, quello di “Alleati,” è infatti un altro esempio delle forzature di tipo ormai archeologico su cui si basano l’esistenza della NATO e la politica estera sia europea che degli Stati Uniti. Entrambi i termini sopra menzionati rimandano a un “nemico”, a un “avversario”, alimentando così la psicologia del timore.
Nel corso del tempo, i supposti avversari o comunque i nemici, veri o falsi che siano, si sono moltiplicati (vedi per esempio Vietnam, Corea, Libia, Serbia, Somalia e ora la Cina), ma una nota dominante rimane: il pericolo per eccellenza è sempre la Russia. Zarista, sovietica o post-sovietica, essa continua a rimanere nel mirino. Lo sarebbe anche in assenza della guerra in Ucraina, alla cui origine sta proprio la continua espansione della NATO. Si tratta di un’avversione radicata nel tessuto sociale e nell’immaginario popolare e politico. I fatti sono noti, ma vale la pena di menzionarli: prima ancora della patologica russofobia american, vi fu quella britannica (guerra di Crimea) e prima ancora, la fatale invasione Napoleonica.
A Pietroburgo nobili e persone colte parlavano francese; Caterina ammassava una prodigiosa collezione d’arte europea; capolavori musicali e letterari erano partoriti uno dietro l’altro dalla Santa madre Russia sia nel XIX che nel XX secolo, ma non servì a nulla. ”Russo” continuava e continua ad essere guardato con diffidenza e sospetto. La tentazione di leggere in tale ostilità la permanenza di inconfessate ataviche ostilità del mondo latino-germanico verso quello “slavo” è grande. Sarà una coincidenza, ma il mondo in questione, Polonia a parte, è di religione ortodossa. Non c’è quasi bisogno di ricordare come per secoli l’Europa cattolica cercò a tutti i costi di convertire e reprimere i Bizantini ortodossi e guarda caso fu poi una Gran Bretagna protestante a combattere degli Ortodossi russi in Crimea.
Insomma, sarebbe imprudente escludere a priori l’agire di sottostanti fattori storici ed emozionali nell’attuale isteria anti-russa.
Per quanto apparentemente estranei e comunque rimossi, in realtà gli elementi sopra menzionati costituiscono l’indispensabile background di riferimento per intendere l’atmosfera e i risultati del Vertice in questione.
Già la stessa atmosfera di deferenza e inchini di fronte al trionfante Presidente americano, reduce da una non meglio chiarita e dubbiosa vittoria sull’Iran, evoca il ritratto di un’assemblea di cortigiani pronti ad assecondare i capricci del sovrano. Lo scenario non è nuovo e gode quindi di una sua ironica ubiquità.
Se continuiamo a leggere fra le righe i risultati e lo spirito del Vertice, l’impegno del 5% del PNL per la difesa, a parte la conseguente riduzione delle spese verso altri settori, nasconde ulteriori tacite implicazioni. Una parte significativa degli armamenti utilizzati in Europa sono prodotti da un pugno di nazioni del Continente, ma quelli più sofisticati e costosi sono in buona parte americani. In altre parole, l’esilarante risultato è che il maggior beneficiario dell’aumento sarà probabilmente l’industria bellica americana. La situazione ricorda quella dell’occupazione britannica dell’India e la continuata presenza di ingenti forze militari americane in Giappone: in entrambi i casi, l’occupato è chiamato a pagare il conto della presenza militare di uno straniero.
Nota dominante sia dell’aumento che dello stesso vertice è stata del resto la presunta minaccia e pericolo russi, non solo nei riguardi dell’Ucraina ma anche dell’intera Europa. Il rinforzo a tale proiezione quasi giornalmente fornito dalle isteriche iniziative e pompose dichiarazioni della UE è del resto difficilmente sottostimabile. Di fatto, la UE e la NATO sono per così dire perversamente sovrapposte e si rinforzano l’un l’altra. Entrambe stravolgono e minano l’identità e la reale autonomia delle varie nazioni europee senza che nessuno si preoccupi, anche se qua e là iniziano a sorgere resistenze, peraltro ancora insufficienti.
Il risultato del Vertice non è insomma il suddetto 5%.
Quello più sostanziale è la conferma ed estensione di un equivoco di fondo, un colossale strabismo e una pericolosa miopia.
Anziché smantellare NATO e UE e dedicare l’attenzione alla progressiva e destabilizzante islamizzazione dell’Europa, a ondate migratorie legittimate da mal interpretati “diritti d’asilo,” a un Iran sempre più irriducibile e al catastrofico incremento demografico di vaste aree del pianeta, pseudo leaders spendono tempo ed energie con l’Ucraina e con scenografiche ma velleitarie pantomime NATO-UE, alimentando equivoci e stravolgimenti e affossando economicamente le varie nazioni europee.
La NATO produce patetiche ma pericolose figure come Mark Rutte che, oltre ad adulare indecorosamente Donald Trump e inculcare il timore dei “Tartari”, arriva anche a minacciare (!) la stessa Cina, legittimando la domanda del come una simile ridicola figura abbia potuto essere Primo ministro dell’Olanda per quattordici anni.
L’Unione Europea continua ad appropriarsi indebitamente di funzioni e ruoli nazionali, moltiplicando la farragine burocratica in tutte le direzioni e ricorrendo quando occorre al puro e semplice ricatto. Vedi per esempio le minacce alla Georgia e quelle recenti all’Ungheria per il bando delle sfilate del cosiddetto “Gay Pride”, una delle gratuite e petulanti invenzioni di questo secolo. Cosa ancora più grave, la stessa continua a sostenere e aizzare un regime ucraino chiaramente dittatoriale e dove gli stessi parlamentari (vedi Artyom Dmitruk) accusano apertamente il commediante psicopatico Zelenski di genocidio.
Come se non bastasse, in preda alla psicosi difensiva, la UE esamina ora la possibilità di accogliere anche la Turchia fra i presunti sostegni della protezione dell’Europa. Simili folli progetti basterebbero da soli a far relegare a Sant’Elena tutti i numerosi sostenitori di tale infelice idea. Del resto, anche l’Italia non è da meno, non avendo battuto ciglio di fronte all’acquisizione della Piaggio Aerospazio (produttrice di droni) da parte della società turca Baycar, posseduta dallo stesso genero di Recep Erdogan. Consentire a una nazione come la Turchia, che non nasconde le sue propensioni espansionistiche e filo-fondamentaliste, l’acquisto di una società d’importanza strategica – sempre più i droni appaiono come una delle armi del futuro – è il massimo del cretinismo. Proprio nessuno legge qualche libro di storia antica e recente del Vicino Oriente
La sconsideratezza di tali progetti conferma la tendenza generale dell’Europa allo strabismo e al masochismo. Ecco perché in fondo il Vertice non ha detto nulla di nuovo. Ha solo sigillato un coma di lunga data.
4 luglio 2025