Incroci di civiltà a Venezia: donne sul palcoscenico

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Il Festival Incroci di civiltà si è inaugurato ieri pomeriggio, al Teatro Goldoni di Venezia, con la presenza di Margarethe von Trotta. Un incontro piacevole, spiccatamente provocatorio di una  regista  che ha saputo raccontare nei suoi film donne passate alla Storia, con uno sguardo che ne ha recuperato non solo il loro ruolo pubblico o l’immagine nota, ma anche gli elementi che  ne rivelavano  le qualità profonde. Il festival Incroci di Civiltà, quest’anno alla sua diciassettesima edizione, registra una presenza femminile significativa.

A cominciare dalle parole della  presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia, Mariacristina Gribaudi che, sottolineando il valore della manifestazione perché fa focus sui temi come il viaggio, anche quello fantastico,  la ricerca di altri mondi e il commercio, fondamentali per la circolazione di idee e di persone, ha evidenziato il significato dell’assegnazione della  prima edizione del Premio Incroci alla regista tedesca.

Margarethe von Trotta ha posto delle pietre miliari nella coscienza tedesca e dell’umanità. È un esempio di dialogo tra le culture e di costruzione di civiltà.  Essa è stata autrice di un cinema indipendente che ha saputo ideare con originalità. Nei suoi film troviamo donne impegnate a combattere ogni giorno per la propria libertà.

La rassegna Incroci di Civiltà, ricordiamo,  si svolgerà fino al 14 aprile e porterà  a Venezia la letteratura da tutto il mondo. Scrittrici e scrittori internazionali animeranno il programma ideato e organizzato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, in collaborazione con Fondazione di Venezia e Comune di Venezia, con il sostegno di Marsilio e Fondazione Musei Civici Venezia e la direzione di Flavio Gregori. 

Nel corso della manifestazioneIl Premio giovani Incroci-Albero d’Oro è stato assegnato  a Emilienne Malfatto, per la sua opera letteraria, saggistica e fotografica, come ha spiegato Béatrice de Reyniès, segreteria della Fondazione dell'Albero d’Oro.  

Emilienne ha saputo raccontare i drammi politici e sociali della contemporaneità, le condizioni dei luoghi lacerati dai conflitti, le situazioni di sofferenza causate dalla bellicosità umana. I  suoi romanzi che si costruiscono su esperienze personali e incontri realmente avvenuti hanno ricevuto numerosi premi.Ha vinto il premio Goncourt nel 2021 per i romanzi d’esordio con Que sur toi se lamente le Tigre (Il lamento del Tigri,  Sellerio 2023) e il premio Albert-London con Les serpents viendront pour toi: une histoire colombienne (“I serpenti verranno per te: una storia colombiana"). Di recente ha realizzato un'opera di saggistica sull'ultima dittatura argentina, L'absence est une femme aux cheveux noirs (“L’assenza è una donna dai capelli neri"), in collaborazione con il fotografo Rafael Roa.

Nel corso dell’inaugurazione è stata  presentata la vincitrice del Premio Cesare De Michelis per l’editoria innovativa, la statunitense Fiona McCrae, per ventisette anni alla guida di Graywolf Press, prestigiosa casa editrice indipendente di Minneapolis.

Nell’incontro con  Margarethe von Trotta, abbiamo avuto l’occasione di  spaziare dentro la sua cinematografia  con il critico Paolo Mereghetti. Siamo andati a conoscere le ragioni del suo cinema e del suo modo di riscriverlo  partendo da uno  sguardo tutto femminile.  Lei  ha  vissuto con una donna sola, come ha raccontato, la  madre non era sposata, molto emancipata e indipendente  e  le  ha insegnato a non farsi guidare dagli uomini.

Dapprima diventa attrice, poi sceneggiatrice e infine regista.

Negli anni Sessanta si trasferisce a Parigi, anche per liberarsi dal clima opprimente che regnava in Germania. Qui contribuisce alla realizzazione di film collettivi, collaborando alle sceneggiature e co-dirigendo cortometraggi. Ama il cinema d'autore di Ingmar BergmanAlfred Hitchcock e della Nouvelle Vague francese. Come attrice, prende parte a diversi film di registi importanti, tra cui Rainer Werner Fassbinder (Il Dio della pesteIl soldato americano, 1970),  e soprattutto Volker Schlöndorff, suo marito dal 1971.

Nel 1975 von Trotta collabora con il marito alla regia de Il caso Katharina Blum, uno dei primi film a confrontarsi con il fenomeno della Raf, uno dei gruppi terroristici tedeschi di estrema sinistra più violenti nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale. In questa prima prova sono già presenti i temi che diventeranno ricorrenti nella filmografia di von Trotta: il conflitto tra la sfera personale e quella pubblica e l'attenzione verso i personaggi femminili, relegati in spazi soffocanti in un mondo gestito dagli uomini.

Il primo film diretto dalla von Trotta è Il secondo risveglio di Christa Klages (1978): storia, ispirata a una vicenda reale, di una donna che rapina una banca per salvare il giardino d'infanzia in cui lavora. Anche questo film sviscera le questioni di maggiore rilevanza per la regista: i legami femminili, la sorellanza, gli effetti della violenza.

In seguito von Trotta dirige la cosiddetta "trilogia della sorellanza". Sorelle - L'equilibrio della felicità (1979), dove qui affronta il dissidio tra regole sociali e felicità individuale attraverso il conflitto tra due sorelle, l'una inserita nel sistema, l'altra incapace di accettarlo. 

Anni di piombo (1981), Leone d'oro a Venezia, ispirandosi alla storia di Gudrun Ensslin, militante della Raf morta in carcere nel 1977, e di sua sorella Christiane, rappresenta atteggiamenti opposti rispetto alla lotta armata, l'uno di convinta adesione, l'altro di condanna.

 Paura e amore (1988), liberamente tratto dalle "Tre sorelle" cechoviane, è una coproduzione italo-franco-tedesca incentrata sulle storie di tre sorelle che lottano per conquistare l'autonomia e l'autodeterminazione.

Ormai celebre a livello internazionale come esponente femminista di punta del Nuovo Cinema tedesco, von Trotta dirige Lucida follia (1982), storia di un'amicizia tra due donne, la moglie forte di un regista e quella debole di uno scienziato. Avvicinandosi tra loro, le due donne si allontanano dai rispettivi mariti che, messi in crisi come maschi, non reggono. Questo è il film più antimaschilista e bergmaniano della regista, per il modo in cui analizza il rapporto tra malattia mentale e normalità.

Rosa L. (1986), è il film sulla vita, le lotte, le conquiste e l'intimo della rivoluzionaria spartachista Rosa Luxemburg che per realizzarlo la regista ha voluto leggere  anche  moltissime delle lettere private della teorica socialista. Dopo vari film e una pausa nel 2003 von Trotta dirige  Rosenstrasse, un nuovo ritratto di donne fiere, solidali e coraggiose. Si rievoca un episodio della Seconda guerra mondiale in cui furono protagoniste le mogli ariane di ebrei tedeschi.

Nel 2009 abbiamo Vision, una serie di miniature medievali dedicate alla prima suora illuminata e anticonformista della storia. Nel 2012 giunge nelle sale  Hannah Arendt, intellettuale e filosofa, autrice del libro, "La banalità del male: Eichman a Gerusalemme", basato sulla controversa teoria per cui l'assenza di radici e memoria e, la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali, trasformano esseri banali in agenti del male.

Avremmo la fortuna di poter veder  sabato a Venezia al cinema Rossini alle 20.00, l’anteprima del suo ultimo film Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert, dedicato a questa figura di giornalista, scrittrice, poetessa e femminista ante litteram. Il racconto riguarda la poetessa e il suo amore per Max Frisch, noto scrittore e architetto svizzero-tedesco, ma anche il dolore fortissimo provato dalla donna quando si lasciarono.

Patrizia Lazzarin, 11 aprile 2024

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I profeti inascoltati del Novecento

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Il secolo appena trascorso con la sua straordinaria effervescenza in molti campi dello scibile umano, con la sua carica di novità che ha saputo introdurre e sperimentare e, con il verificarsi di avvenimenti epocali che hanno cambiato la fisionomia del mondo, è il Tempo di una rappresentazione, di un teatro vorremmo dire quasi, che ha come soggetti principali, come illustra anche il titolo della mostra che è visibile da questo fine settimana, nei Saloni delle Feste di Palazzo Imperiale, a Genova: “I Profeti inascoltati del Novecento”. Arte e letteratura si stringono insieme per tornare a discutere sul pensiero e sull’umanità di quasi cinquanta poeti, filosofi, artisti, scrittori e giornalisti, la cui mente critica ha permesso anche a noi di rileggere il mondo e la nostra esperienza di vita alla luce di ulteriori conoscenze. Miriam Pastorino, vicepresidente dell’associazione Domus Cultura che ha promosso la rassegna, spiega e scrive nel catalogo edito da Italia Nostra: abbiamo scelto, senza presunzione alcuna di essere esaurienti, di selezionare un numero abbastanza significativo di personaggi: filosofi, saggisti, scrittori e rappresentanti delle maggiori arti, soffermandoci su un messaggio o un particolare delle loro opere che può tornarci utile a guardare in faccia la realtà con cui dobbiamo confrontarci. Il catalogo che reca anche una prefazione di Vittorio Sgarbi ci mostra i visi che potremmo meglio ammirare nelle sale del palazzo genovese, di questi protagonisti del Novecento, dipinti e disegnati da Dionisio di Francescantonio, Sergio Massone, Vittorio Morandi e Lenka Vassallo, che ci permettono quasi di interloquire con il loro sguardi. Il progetto editoriale appartiene ad Andrea Lombardi. Gli autori meritano tutti un momento di attenzione e si è scelto quindi di non ometterne nessuno. Inizierò a raccontare di alcuni di essi prendendo spunto dalle loro storie, e ci ritroveremo con cadenza settimanale a fare focus sugli altri per non dimenticare un pensiero che potremmo anche non condividere, ma che rimane espressione della capacità di ricerca e del bisogno di conoscenza della mente umana. Proprio ragionando sul Male, in questa nostra terra afflitta dal Covid, ma anche dalle tante incertezze che ne sono derivate, diventano una risposta le parole di una di questi eminenti pensatori del Novecento: Hannah Arendt. Lei scrive: “Quel che ora penso veramente è che il male non è mai radicale, … che non possegga né la profondità, né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo; esso sfida il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici e, nel momento in cui cerca il male, rimane frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità. Solo il bene è profondo e può essere integrale”. Ognuna di queste riflessioni, ponderata per cercare di capire l’Olocausto, rimane efficace per spiegare la superficialità delle azioni malvagie e in apparenza non comprensibili. Un’altra donna la cui sensibilità ha superato i confini delle nazioni è sicuramente Anna Andreevna Achmatova. “Volle condividere sino in fondo il destino del suo popolo, le stesse ferite sulla carne: il dramma del primo, amatissimo marito, le vicissitudini del figlio lungamente imprigionato, il forzato silenzio imposto dal regime. Scrisse “no, non sotto un cielo straniero / non al riparo di ali straniere; / io ero allora con il mio popolo. / Là dove per sventura, il mio popolo era”. La Cvetaeva la chiamava “Anna di tutte le Russie” e davvero fu la regina della poesia della sua immensa Patria sofferente”. Vissuta anche nei tempi della dittatura sovietica di cui sperimentò la brutalità, questa donna, appassionata di Dante e della cultura italiana, seppe conservare la sua identità spirituale e tradurla nei suoi versi. Vediamo poi, lo sguardo acuto e al tempo stesso la smorfia di un sorriso che diventa ironia, di uno dei più grandi registi non solo del Novecento, ma anche del cinema internazionale: Ingmar Bergmann. Una lezione cinematografica, la sua, che tiene in considerazione i grandi autori letterari della modernità da Marcel Proust a Thomas Mann, da August Strindberg a Luigi Pirandello. Nelle sue storie “l’amore, pur con le sue delusioni, è l’unico antidoto contro la solitudine e l’aridità dell’anima, quell’aridità che deriva dagli steccati che erigiamo tra noi e gli altri e che finisce per privarci della nostra umanità. Compare così la nostalgia per la gioia non più provata verso ogni quotidiana avventura, la paura della morte e del buio oltre la morte e l’attenzione verso l’animo femminile a cui l’uomo, nei momenti privilegiati di autentica comunicazione, può chiedere soccorso per lenire le sue amarezze e i suoi timori”.

Lo scrittore Georges Bernanos  nato a Parigi il 20 febbraio 1888 e morto a  Neuilly-sur-Seine  il  5 luglio 1948 è  forse l’autore cattolico esemplare, forse il più grande tra francesi ed europei.  I personaggi dei suoi romanzi sono impegnati in una strenua lotta interiore fra il Bene e il Male. “Le insufficienze, i tradimenti, le perversioni del pensiero e delle azioni degli uomini europei sono scandagliate e indagate senza alcuna paura di apparire a volte ingiuste, scandalose, anche arrischiate e improvvide. Quello che gli sta a cuore è la sorte dell’anima, prima francese, poi europea e, infine, umana.” Una delle voci poetiche più alte del nostro Novecento: Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo, fu anche traduttrice e critica, strinse amicizie con intellettuali europei di grande spessore e fece conoscere Simone Weil in Italia. Le sue Lettere a Mita, sono uno degli epistolari  più affascinanti della letteratura italiana, dove comprendiamo la storia di un’anima che soffre per la meraviglia e al tempo stesso il dolore della vita. Chiudiamo questo primo confronto con i grandi del Novecento con Jorge Luis Borges, lo scrittore di nazionalità argentina,  considerato il fondatore  del realismo magico. “La sua fu letteratura filosofica, nutrita di una cultura sterminata, trasfusa nei racconti con leggerezza, in dosi successive. L’effetto è un’invenzione continua, un viaggio ardente intorno a temi universali trattati con un’eleganza, un rigore formale, una classicità unici: il tempo, l’eternità, la morte, la personalità e lo sdoppiamento, la pazzia, il dolore, il destino, fusi nel sentimento dell’unicità dell’esperienza individuale e nel labirinto inestricabile dell’immaginazione”. Molti sono gli scrittori, o cantanti come Vecchioni e Guccini che si sono ispirati alle sue opere, come anche filosofi, tra cui Michael Foucault che nel suo saggio Le parole e le cose cerca  l’origine delle scienze umane.

Patrizia Lazzarin, 19 dicembre 2021

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