Microstoria e storia globale

  • Pubblicato in Cultura

Microstoria e storia globale sono due modi di operare per analizzare gli eventi  trascorsi. Quanto e in quale modo, essi si possono combinare per aiutarci a definire il nostro “background”?  Parliamo di  quella storia che si perde nei secoli e nei millenni e di cui vorremmo sapere con maggior certezza lo svolgersi, il perché, il come, il quando e il dove che spiegano un po’ più di noi. Una mappa o forse un grande albero della vita dove incasellare relazioni e vicende.

Quali sono dunque le informazioni che vengono scelte  nella micro e macrostoria?

Come spiega benissimo Francesca Trivellato, l’autrice del libro Microstoria e storia globale, edito da Officina Libraria,  la microstoria si fonda su un uso intensivo delle fonti, specialmente atti processuali, autobiografie, documenti notarili, mentre la macrostoria attinge abbondantemente, anche se non esclusivamente,  a studi già pubblicati.

Fra le differenze che le distinguono c’è anche la misura del tempo considerato: maggiore nella macrostoria che valuta secoli e millenni, mentre la microstoria adotta  un atteggiamento sincronico.

Negli studi dei microstorici italiani, in particolare,  i protagonisti delle indagini sono spesso uomini bianchi europei, in genere di condizione sociale modesta e provenienti dal mondo rurale, mentre le macrostorie   mettono più facilmente l’Europa in una prospettiva di comparazione.

Oggi i contributi definiti di storia globale scelgono  la scala macro,  soprattutto se si valutano il numero e la varietà di approcci e sottocampi di indagine. A questo proposito l’autrice si trova d’accordo con lo storico Donald A. Yerxa.  

Come  allora mettere in relazione macro e micro e  può essere la microstoria un’alternativa o un complemento?

La scrittrice ripercorre  le vicende dei microstorici in Italia e ne evidenzia il rifiuto dell’idealismo in filosofia, della pomposità retorica e del dualismo ideologico in politica. I principali strumenti di diffusione scientifica del loro pensiero sono stati i Quaderni Storici pubblicati dalla metà degli anni Settanta all’inizio degli anni Novanta e, Microstorie nel decennio 1981-1991. Ci spiega anche le ragioni  per cui essi si sono mostrati indifferenti ai temi globali e  mette a confronto i punti d’incontro, in passato, fra i differenti modi di operare, con lo scopo  di suggerire incroci da cui si potrebbero ottenere buoni risultati.

Nella microstoria, soprattutto nel mondo anglosassone, si valutano le storie individuali.

Gli storici di questa area geografica  specialmente del Nord America, dove gli universitari godono di uno status sociale meno importante rispetto all’Italia, scelgono uno stile narrativo per avvicinarsi al gusto del grande pubblico.

Cosa è cambiato nel modo di considerare la Storia rispetto al passato?

I ricercatori statunitensi Armitage e Guldi, citati dalla studiosa, hanno criticato il modo di fare storia nel quarantennio 1968-2008. Gli economisti in questa lunga stagione temporale hanno sostituito gli storici come consulenti delle istituzioni e, quest’ultimi si sono isolati in una torre d’avorio giudicandole corrotte.

Auspicano che gli storici tornino ad occuparsi di secoli e millenni per recuperare l’attenzione del pubblico e delle istituzioni e si eviti così anche  la marginalizzazione degli accademici specializzati in ambito storico. Nelle argomentazioni dei due studiosi  si evidenziano temi legati al concetto importante di longue durèe del famoso studioso Fernand Braudel. A questo punto la studiosa  si interroga però, se per loro è solo una panacea per affrontare l’era della frattura?  

Possiamo immaginare in alternativa dei nuovi storici statistici provetti? Proposte, suggerimenti, provocazioni?

Oggi per l’autrice il pluralismo metodologico continua a suscitare risposte efficaci di fronte all’egemonia crescente delle scienze naturali e di quelle sociali, ma al tempo stesso indebolisce lo statuto epistemologico dei metodi storici tradizionali e perciò erode il prestigio  degli storici nella sfera pubblica e nei circoli dei decisori politici.

A dimostrazione delle sue teorie, Francesca Trivellato apre poi finestre meno conosciute sugli studi recenti di ricercatori e soprattutto studiose  che si sono occupate di Rinascimento italiano e del Mediterraneo musulmano. Fra questi ricordo la statunitense Deborah Howard e i britannici Lisa Jardine  e Jerry Brotton. In queste analisi di microstoria emergono differenti  e ulteriori influenze islamiche e vengono rivalutati in una nuova ottica anche alcuni recuperi del mondo classico, ad esempio nell’architettura del periodo rinascimentale.

Nel libro si analizzano poi le relazioni tra capitale, azienda e legami familiari nelle comunità sefardite e armene nel Mediterraneo nei secoli XVII e XVIII, sottoponendole a confronto per mostrare i vantaggi di uno studio comparato, come alternativa all’analisi di singole diaspore.  

Temi che diventano interessanti anche nella discussione di questioni cruciali su come e quando tramonta nel Medioevo e Rinascimento, l’impresa familiare per dare avvio nuove forme contrattuali. L’interesse dell’autrice è rivolto ad  evidenziare  come i legami parentali e alcune pratiche ereditarie hanno influenzato il modo di operare delle famiglie sefardite ed armene disperse in Europa e più generalmente intorno al Mediterraneo.

Si può parlare di economia morale nell’età moderna?

Le risposte le troviamo nelle ultime pagine del testo di questa studiosa che è professoressa di Storia dell’Europa Moderna presso l’Institute for Advanced Study di Princeton. L’autrice ha scritto vari libri tra cui possiamo citare: Ebrei e capitalismo. Storia di una leggenda dimenticata, pubblicato nel 2021 e  Il commercio interculturale. La diaspora sefardita. Livorno e i traffici globali in età moderna, edito nel 2016.

Patrizia Lazzarin, 24 settembre 2023

 

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Newsletter

. . . .