Pagina della memoria

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Con l’Accordo firmato il 10 gennaio 2023, l’INGV, il CNR, l’Accademia dei Lincei e l’INAPP, unitamente all’UCEI e alla CER, collaboreranno strettamente per la raccolta e la divulgazione di testimonianze e documenti atti a delineare l'impatto che le cosiddette “leggi razziali” ebbero sulla comunità scientifica e accademica italiana.

La collaborazione andrà a implementare la piattaforma “Pagina della memoria” inaugurata dall’INGV lo scorso gennaio 2022, proprio con lo scopo di studiare, raccogliere e divulgare testimonianze e documentazione relativi ai cittadini di religione e/o origine ebraica, congedati, dispensati, espulsi o allontanati dagli Enti di Ricerca, dalle Università e dalle Accademie italiane.

Con iniziative congiunte, gli enti promuoveranno ricerche documentali, storiche e bibliografiche, nonché la realizzazione di eventi culturali, di studio e divulgazione al fine di sottolineare il drammatico impatto di quel corpus di provvedimenti legislativi che, a partire dal Regio Decreto Legge n. 880 del 19 aprile 1937, vennero poi denominate “Leggi razziali”.

L’aspetto fondamentale di questo progetto consiste nella costruzione di un percorso comune e condiviso tra enti di ricerca ed ebraici, per la raccolta, lo studio e la diffusione di testimonianze e documenti inerenti all’applicazione delle cosiddette “Leggi razziali” nei contesti istituzionali legati all’alta formazione. Vogliamo così sottolineare il danno irreparabile che fu arrecato al progresso scientifico e culturale italiano”, precisa Aldo Winkler, ideatore del progetto. Inoltre, intendiamo valorizzare le testimonianze riguardanti l’espulsione di molte donne, la cui partecipazione agli studi e alla vita accademica, nella società ebraica, era assolutamente all'avanguardia rispetto alle consuetudini dell'epoca, nonché il materiale documentale su chi riuscì a fuggire all’estero, trasferendo con sé le proprie alte competenze. Nostro ulteriore auspicio è riuscire a coinvolgere, in questo percorso condiviso, altre istituzioni legate allo studio, alla ricerca e alla cultura”.

La Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, sottolinea altresì che "il ricordo di ciò che è stato - accompagnato dalla ricerca e dall'esame rigoroso dei fatti - è la necessaria premessa affinché si possa giungere a una maggiore comprensione degli eventi. Inoltre, la riflessione comune di istituzioni e studiosi di diversa formazione è un'importante base per l'individuazione delle migliori condizioni future di convivenza civile e democratica, nell'alveo della nostra preziosa Costituzione".

"A causa delle leggi razziali del 1938, donne e uomini, eminenti scienziati, giovani ricercatori e tecnici furono dispensati dal servizio nel nostro ente, come in altri. Una persecuzione dei diritti che, di lì a poco, sarebbe diventata persecuzione delle vite. Con quella iniziativa nel mondo della ricerca, si generò un processo che rappresenta ancora oggi una delle pagine più buie del Novecento e che originò la distruzione di scuole scientifiche, come di interi nuclei familiari", dichiara Maria Chiara Carrozza, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. "Questo progetto punta a rimettere insieme eventi dolorosi e poco conosciuti e a riportare alla luce ciò che è stato, confidando che i frammenti di vita che verranno recuperati attraverso la ricerca possano dar voce adesso a chi allora non la ebbe".

La partecipazione dei Lincei a questa iniziativa si colloca a pieno titolo nella storia della nostra Accademia – dichiara il Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei Roberto Antonelli - che ebbe a soffrire anch’essa della persecuzione degli ebrei iniziata con le leggi razziali. Tra le tante personalità ebraiche italiane che della nostra accademia furono soci, voglio ricordare almeno tre Presidenti: Vito Volterra, Guido Castelnuovo e Beniamino Segre. Vito Volterra fu un esempio limpido di etica umana, civile e democratica. Senatore a vita nel 1905, fu uno dei firmatari nel 1926 del Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce e uno dei dodici professori universitari italiani che rifiutò nel 1931 di giurare fedeltà al fascismo così decadendo dalla cattedra e poi dall’Accademia dei Lincei. Guido Castelnuovo, che con grande generosità di scienziato e italiano, profuse tutte le sue energie per rifondare nella Repubblica i Lincei soppressi dal fascismo collaborando con il suo vicepresidente Luigi Einaudi che da Presidente della Repubblica lo nominò senatore a vita nel 1949. Beniamino Segre, dolorosamente esule in Inghilterra dapprima, da presidente dei Lincei, proseguendo l’opera dei suoi predecessori, fondò il centro linceo interdisciplinare. Volterra, Castelnuovo e Segre erano ebrei pienamente italiani che, come molti altri ebrei, hanno contribuito alla scienza e alla nostra democrazia civile».

Gli eventi culturali, i congressi e i seminari saranno indirizzati anche al grande pubblico, così da restituire, anche attraverso il coinvolgimento di familiari e discendenti, opportuna dignità e visibilità a chi è stato tragicamente colpito dalle tragiche persecuzioni. Gli enti, inoltre, cureranno il trattamento archivistico, anche digitale, della documentazione raccolta ricostruendo, per quanto possibile, i profili biografici dei perseguitati.

La Pagina della Memoria sarà preservata e continuamente aggiornata, a monito di quanto non dovrà mai più accadere.

Patrizia Lazzarin, 13 gennaio 2023

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Gli insegnamenti del padre della pedagogia in Italia

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Francesco De Bartolomeis è tra i padri della pedagogia in Italia. A 102 anni, è pieno di interessi e di energie. Anche se porta dentro il dolore della perdita di un figlio. Mario Calabresi, ex direttore di Repubbblica, lo intervista nella sua casa di Torino e hanno parlato di scuola, didattica a distanza, lavoro, tecnologia e molto altro: «Mi ha insegnato che nella vita ci vogliono smoderatezza e generosità». E sulla scuola e sull'alternanza scuola-lavoro ha aggiunto «Sono favorevole, ma va fatta in modo costruttivo, dovrebbe essere l’occasione per dare ai ragazzi la capacità di affrontare problemi e di risolverli. Certo, se tu vai a formarti in un lavoro statico e ripetitivo, vai a fare le fotocopie in banca, allora non cresci e ti prepari a fare un lavoro così, in modo conformista. Il mondo invece è trasformazione e il lavoro è il motore di tutto». Mario Calabresi sul sito omonimo

Francesco De Bartolomeis, pedagogista, inventore del tempo pieno

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Come si batte un male

Se ci sentiamo scoraggiati di fronte all’epidemia odierna, vale la pena e dà coraggio, e insegna molto, pensare a un’altra epidemia, non così lontana. Per introdurla dovete pensare o alla Bella Addormentata o a Cenerentola: così era definita l’Italia 150 e passa anni fa. La carta geografica della malaria, quella delineata nel 1882 dal senatore Luigi Torelli, parlava chiaro: delle 69 province della penisola solo Imperia (allora si chiamava Porto Maurizio) e Macerata non erano colpite. Fatti i conti degli allora 25 milioni di abitanti, 11 erano costantemente a rischio, e ancora, di questi ultimi, 2 milioni ogni anno contraevano il morbo e 15 mila morivano (anche se Giovanni Battista Grassi ritoccò questo dato in eccesso, 100 mila vittime). Un disastro. Le aree colorate indicavano le 3.300 aree malariche, e più o meno c’erano tutte: dalla valle del Po alla costa adriatica, poi l’Abruzzo fino alla Puglia, lungo tutta la costa tirrenica da Livorno alla Campania (con esclusione del golfo di Napoli), la Calabria e l’intera Sardegna, un terzo della superficie continentale. I costi erano altissimi, tanto che lo stesso senatore Torelli, appunto, parafrasò la fiaba della Bella Addormentata: quella era l’Italia e bisognava risvegliarla. Altri medici però la paragonarono a Cenerentola, costretta a una miserevole esistenza da una matrigna cattiva: insomma l’Italia non tanto tempo fa.

C’è stato un altro momento nella nostra storia, durante il quale abbiamo patito una sofferenza (non da virus ma da plasmodio) e pur non affacciandoci ai balconi e nemmeno organizzando flash mob, siamo stati insieme e abbiamo sconfitto (con qualche aiuto esterno e chimico) la malaria. E sì, questa è la storia di una modernizzazione italiana (per rubare il titolo al bel libro di Frank M. Snowden, La conquista della malaria. Una modernizzazione italiana 1900-1962, Einaudi, su cui si basa questo articolo). Il fatto è che le cronache dei viaggiatori del tempo raccontavano davvero di un paese addormentato, persone afflitte dal morbo, sdraiate ai bordi delle strade, incapaci di alzarsi, e poi alta mortalità infantile e bassa aspettativa di vita, specialmente delle fasce più povere, cioè una buona parte degli italiani (anche se pure il conte di Cavour morì di malaria, e i salassi che gli praticarono in piena febbre peggiorarono le cose).

Giusto per delineare un quadro socio-economico, se prendiamo il sud ed esaminiamo l’anno in cui i Borbone furono (finalmente) deposti (1861) è interessante esaminare alcuni parametri che lasciarono in eredità: l’86 per cento di analfabeti (dato 1861, che si avvicina a quello della Russia zarista). Nella Spagna la quota di analfabeti era del 75, mentre il Piemonte e la Lombardia stavano sul 50 per cento e la Liguria al 35: si poteva intravedere sul nascere il triangolo industriale. Sapevano leggere e scrivere solo preti aristocratici e qualche borghese. Nessuna donna sapeva leggere e scrivere. “In una società – scriveva Emilio Sereni – in cui l’agricoltura costituisce la fondamentale attività produttiva, l’esclusione della donna dal lavoro dei campi comporta una sua netta inferiorità sociale. Questa si manifesta chiaramente nel regime ereditario e soprattutto nella totale subordinazione della donna all’uomo, il marito è difatti non solo il capo incontestato della famiglia ma il signore, il padrone della donna”.

Mettiamoci, visto che ci siamo, anche le famose ferrovie: i Borbone avevano costruito la prima linea, la Napoli-Portici (1839), lunga sette chilometri e prolungata, negli anni seguenti, fino a Castellammare e Pompei. Perché fu costruita? Perché nel 1738 Carlo III di Borbone – il più illuminato, stando a Benedetto Croce – aveva deciso di edificare la sua residenza estiva a Portici, ora sede di Agraria. Nella pratica appena un secolo dopo si diede il via alla linea ferroviaria così che la famiglia reale si potesse spostare verso il mare. Insomma: la ferrovia serviva ai ricchi (nel 1859 la rete ferroviaria del Regno delle due Sicilie era di 99 chilometri, quella di Piemonte e Liguria di 850; di Lombardia e Veneto 522, della Toscana di 258. Pure il papato superava i Borbone, con 101 chilometri). “La metà degli abitanti del Regno delle due Sicilie – scrive Emanuele Felice – viveva sotto la soglia della povertà, le classi popolari lottavano per sopravvivere, se non potevano mandare i loro figli a scuola, non avevano neppure speranza di riscatto, tanto meno si poteva avviare un qualche meccanismo virtuoso di crescita economica. Ma al sud viveva anche una minoranza agiata, doveva essere molto agiata, se è vero che innalzava il pil medio su livelli più alti di quanto ci si aspetterebbe dagli indicatori sociali. Specie in Campania, dove si concentrava nei palazzi dell’antica capitale. E non pare che questa élite di aristocratici e borghesi fosse particolarmente viva sul piano imprenditoriale e sociale”.

Antonio Pascale – Il Foglio - 13 aprile 2020

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