Il progetto dei grillini, il totalitarismo internettiano

Un portaborse, non molto tempo fa, segnalò a Luigi Di Maio un certo Pietro Nenni. Scovata su Wikipedia una sua frase, «L’immobilismo giova alla conservazione», il ministro degli Esteri, eccitato, la usò ignorando che Nenni era la figura più lontana dal grillismo: un alfiere della democrazia come partecipazione delle masse alla costruzione della Storia, oltre che un uomo avvolto nella leggenda per coraggio e coerenza. Laddove il grillismo, anche nella versione dal volto smunto del dimaismo, è l’annichilimento progressivo della democrazia, lo svilimento della partecipazione, l’opacità del comando a-democratico. (...) Da Piero Calamandrei a Riccardo Fraccaro, da Nilde Iotti a Paola Taverna, da Aldo Moro a Vito Crimi (...) Alle origini del totalitarismo internettiano di Casaleggio padre e di Beppe Grillo c'è il postulato in versione versetto confuciano di quest'ultimo («Il M5s vuole realizzare la democrazia diretta, la disintermediazione tra Stato e cittadini, l'eliminazione dei partiti, i referendum propositivi senza quorum: i cittadini al potere») e tutto l'armamentario ideologico di Gianroberto Casaleggio ispirato a una post-democrazia che coincide con un sistema dispotico fondato sul controllo delle centrali della formazione delle coscienze: un moderno aggiornamento delle conosciutissime teorie reazionarie del Novecento.Il commento di Mario Lavia su Linkiesta.

Questa l'Italia. Ieri c'era Pietro Nenni, oggi Luigi Di Maio

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L'opinione pubblica contro le manovre di Palazzo

Presto, molto presto verrà il tempo per ascoltare una voce che, non isolata, viene dal profondo della nostra storia: «… il potere di scioglimento delle Camere [è] strumento indispensabile per adeguare la rappresentanza popolare ai reali mutamenti dell’opinione pubblica, al di fuori della durata normale delle legislature» (Aldo Moro, Assemblea costituente). All’opposto, l’ipotesi che oggi prevale all’interno del «palazzo», in ordine al prossimo referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, è invece che, se anche il voto degli italiani fosse espresso per il «sì», e se questo fosse magari pure accompagnato dall’assordante silenzio di chi ormai tutto della politica disprezza, comunque non cambierebbe niente fino al 2023 e dunque fino alla scadenza naturale della legislatura, inclusa nel 2022 l’elezione di un presidente della Repubblica che, fino al 2029, sarebbe così garantito gradito alle «cancellerie« europee e ai «mercati finanziari». Le considerazioni di Giulio Tremonti sul Corriere della Sera.

referendum, la loro forza d'urto ormai dimenticata

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