Una dimora inglese patrimonio Unesco

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Il palazzo di Blenheim è un'imponente e ricca tenuta di campagna nel sud-est dell'Inghilterra che risale agli inizi del 1700. Gli inglesi vantano molte grandi case di campagna, ma Blenheim si distingue tra queste per una serie di ragioni, non ultima quella di essere stata il luogo di nascita dell'ex primo ministro Winston Churchill. Blenheim, una delle poche dimore storiche del Regno Unito ad essere dichiarata patrimonio mondiale dall'UNESCO, è maestosa. È stata costruita in stile barocco inglese e come tale è una rarità architettonica in Inghilterra.

 Il palazzo prende il nome da una cittadina della Germania meridionale che fu teatro di una famosa battaglia durante la guerra di successione spagnola. Questo conflitto di carattere europeo dell'inizio del 1700 fu provocato dalla morte del re spagnolo Carlo II che non lasciò eredi diretti per governare l'impero. Ne seguì una lotta per il suo controllo tra le potenze europee di  Francia, Austria, Paesi Bassi e Gran Bretagna. John Churchill, primo duca di Marlborough, assicurò la vittoria alla corona inglese nel 1704, nella battaglia di Blenheim.

Per ringraziarlo, la regina Anna gli regalò un appezzamento di terreno e il sostegno finanziario per costruire la casa di campagna che sarebbe poi diventata Blenheim Palace. Viene chiamato palazzo perché è stato originariamente donato dalla Corona ed è l'unico palazzo non reale in Inghilterra. Ma il dono non è privo di vincoli: ogni anno i duchi di Marlborough sono tenuti a pagare un “affitto” cerimoniale alla Corona nell'anniversario della battaglia presentando una replica dello stendardo francese catturato, la bandiera francese dell'epoca, in commemorazione del trionfo. L’edificio  è ricco  di riferimenti alla battaglia, dagli affreschi sul soffitto ai cannoni incorporati negli archi.

La sua costruzione ebbe luogo  tra il  1704 e il  1722. I fondi della Corona andavano e venivano, mentre il Duca e sua moglie Sarah Churchill non sempre avevano il favore reale. La duchessa era un'amica d'infanzia della regina Anna e le due donne avevano una relazione tesa e tumultuosa. Alla fine i litigi furono così gravi che tutti i finanziamenti furono interrotti. Anni dopo, nel XIX secolo, i duchi di Marlborough attraversarono tempi difficili e rischiarono la perdita della tenuta. Come molte altre famiglie nobili terriere europee dell'epoca, guardavano ai matrimoni combinati per risollevare le proprie fortune.

Charles Spencer Churchill, Duca di Marlborough, sposò Consuelo Vanderbilt, la figlia del magnate delle ferrovie americane. Non fu un matrimonio d'amore e finì con l'annullamento. Tuttavia, la generosa dote di Consuelo permise al duca di restaurare Blenheim Palace. Durante la prima guerra mondiale, l’edificio fu adattato per ospitare Women's Land Army, un'organizzazione civile fondata nel 1917 per portare le donne a lavorare nell'agricoltura, in sostituzione degli uomini che combattevano in guerra.

Il Blenheim Palace è stato aperto al pubblico nel 1950 e, sebbene Charles James Spencer-Churchill, dodicesimo duca di Marlborough, viva ancora in un'area privata del palazzo, sia i terreni che alcune aree del palazzo sono aperti al pubblico. Il palazzo ha un ruolo  di spicco nella comunità locale ospitando molte attività commerciali del luogo, offrendo attività per famiglie e abbonamenti annuali convenienti per i residenti dell’area.

Il parco di duemila acri comprende giardini e aree di divertimento con i loro deliziosi sentieri tortuosi, templi e cascate. Nel 1908 Winston Churchill portò la sua futura moglie Clementine Hozier a fare una passeggiata nel Rose Garden di Blenheim. Sorpresi da un acquazzone, si ripararono nel Tempio di Diana, dove Churchill le fece la proposta. Il loro fu un matrimonio affettuoso anche se intenso, poiché Churchill fu primo ministro durante la Seconda guerra mondiale. Il tempio e il roseto sono ancora oggi visitabili, insieme ad una piccola area commemorativa dedicata a Churchill

Patrizia Lazzarin, 10 novembre 2023

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Le allucinazioni imperiali della Gran Bretagna in Ucraina

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     Fra le mistificazioni e ipocrisie che circondano la visione ufficiale della questione ucraina, a parte l'omertà collettiva (vedi malafede) circa il determinante ruolo dell'espansione della NATO, da tutti negato e sminuito, un posto d'onore spetta all'atteggiamento della Gran Bretagna.

Già dai tempi dell'istrionico ex-Primo Ministro Boris Johnson ma anche sotto l'anglo-indiano Rishi Sunak è un continuo sfoggio di abbracci, di invio di armi e ultimamente anche di training militare e di aerei che perlustrano il Mar Nero. La causa di tanta sollecitudine e sostanzialmente di gratuita ingerenza orientale sarebbe "la difesa della democrazia" e quindi "la condanna dell'aggressione russa". Non vi è quasi bisogno di dire che lo sdegno in questione è per lo meno impudente, visto che nel XIX secolo la Gran Bretagna invase e dominava quasi un terzo delle terre emerse e ancora oggi occupa una serie di territori che con la Gran Bretagna hanno ben poco a che fare (vedi le lontanissime Malvinas, Gibilterra, le due basi a Cipro, Diego Garcia, etc.).

Insomma, l'ostinato residuo di passate glorie imperiali e un'ineffabile ipocrisia.

Le suddette argomentazioni morali ricordano fra l'altro quelle a suo tempo sfoggiate nei confronti della Polonia, invasa dalla Germania e per la quale, almeno ufficialmente, la Gran Bretagna sarebbe entrata in guerra. Anche lì, un'aura di nobiltà, opportunamente martellata dalla retorica di Winston Churchill, che a suo tempo aveva strenuamente appoggiato la guerra contro i Boeri, e che fino all'ultimo si oppose all'indipendenza dell'India.

In realtà, dietro la conclamata difesa della Polonia, poi disinvoltamente abbandonata all'alleato sovietico a guerra finita, vi era la meno nobile preoccupazione per la salvaguardia del proprio impero. Più a sud e sud-est si spingeva infatti la pressione militare della Germania e più erano minacciati il Golfo Persico e il suo petrolio e ovviamente la non distante Penisola indiana, considerata dagli Inglesi "The Pearl of the empire", e cioè una vacca da mungere. (Da notare che quando i reali britannici (per esempio, Giorgio VI e Filippo di Edimburgo) hanno definito la monarchia come "the Firm" (l'azienda), essi le stavano attribuendo una funzione analoga. Ma anche per quanto riguarda il Mediterraneo, le (velleitarie e maldestre) ambizioni italiane nei confronti dell'Egitto costituivano una minaccia per il Canale di Suez e quindi nuovamente per la via verso l'India.

L'India.... Che relazioni può avere l'Ucraina con l'India e insomma con la Gran Bretagna? Nessuna e moltissime. Un brevissimo accenno alla famosa "Questione d'oriente", in parte non ancora conclusasi, aiuterà a capire meglio come l'attuale comportamento della Gran Bretagna sembri replicare quello da lei tenuto quando aveva un Impero e come quindi la sua attuale sviscerata difesa dell'Ucraina appaia una sorta di allucinazione imperiale: non vi è nessun Impero da difendere.

Tutti gli studenti hanno sentito parlare della famosa "Questione d'0riente", che ai più appariva, non a torto, come un intricato e confuso pasticcio. Come noto, quest'ultimo riguardava la progressiva disintegrazione dell'Impero ottomano e le sue implicazioni geopolitiche, ovvero la spartizione e utilizzo delle spoglie.

Chi erano gli attori di spicco di tale imbroglio? Guarda caso, da una parte la Gran Bretagna e dall'altra sempre la Russia, questa volta zarista, che anelava a uno sbocco al mare. Al mare, tuttavia, si arrivava tramite i Dardanelli, attraversando il Mar Nero, tutte zone gelosamente vigilate dai Turchi. Se questi ultimi rappresentavano un ostacolo, l'unica alternativa era quella di favorire l'indipendenza delle nazioni balcaniche, in buona parte ortodosse come la Russia, e impadronirsi di Istanbul, cosa che quasi riuscì allo Zar Alessandro II, se appunto la Gran Bretagna non si fosse violentemente opposta. Da qui il noto Trattato di Berlino nel 1878, che avrebbe reso nulla l'avanzata russa e dato ancora fiato all'Impero Ottomano.

In altre parole, la questione d'Oriente riguardava semplicemente non tanto la disintegrazione di tale Impero quanto le gelosie e rivalità, in particolare della Gran Bretagna, timorosa dell'avanzata russa a sud e anche a est. Come abbiamo prima accennato, a est vi era l'India, con le sue enormi opportunità economiche e futuro motore dell'era industriale britannica.

Le cose sono note ma dimenticate: il cotone indiano, acquistato a prezzi bassissimi, veniva lavorato in Gran Bretagna e i filati venivano rivenduti in regime monopolistico nel luogo d'origine. La lavorazione industriale del cotone grezzo, sorretta dai giacimenti di carbone, stimolò l'industria dell'acciaio e quindi anche delle ferrovie, che servivano a trasportare le merci. Insomma, l'india fu il fondamentale motore dello sviluppo industriale della Gran Bretagna nel XIX secolo. Se si aggiunge che il cosiddetto "Great Game" (Grande Gioco) includeva anche l'Afghanistan, fianco sinistro del sub-continente indiano, si capisce l'ostilità della Gran Bretagna nei confronti della Russia, che mostrava anch'essa ambizioni nei confronti dell'Afghanistan.

L'accanimento con cui per tutto il XIX secolo la Gran Bretagna mise quindi i bastoni fra le ruote alla Russia zarista, proteggendo a spada tratta l'Impero Ottomano, è peraltro come sbiadito e quasi giustificato nei libri di storia. Anche la sanguinosa guerra anti-russa di Crimea è solo un esempio di tale protezione così come la passiva accettazione europea del massacro degli Armeni fra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. In altre parole, la politica britannica non solo costò cara alla Russia zarista, che era quasi stata sul punto di insediarsi a Istanbul come protettrice ufficiale di tutti i fedeli ortodossi, ma alla stessa Europa.

Grazie alle baldanzose ma velleitarie manovre greche (la Megàli Idea) e all'irresolutezza post-bellica delle Potenze, dalle ceneri dell'Impero ottomano risorse infatti una Turchia che ancora avrebbe occupato una parte d'Europa, la Tracia. Non solo, grazie al disastroso intervento di W. Wilson (i famosi "quattordici punti") venne negata ai Curdi la formazione di uno Stato nazionale, creando i presupposti di tensioni irredentistiche che si trascinano ancora oggi. Aggiungiamo a tali tensioni quelle con l'Armenia (già culla di gloriose dinastie ai tempi di Bisanzio), l'eterno contenzioso con la Grecia, la recente costituzione di basi turche in Libia, la pressione militare turca al confine nord della Siria (regione con una forte popolazione curda), le nostalgie egemoniche in Asia centrale e avremo un quadro parziale delle conseguenze a lungo termine del salvataggio britannico dell'Impero Ottomano nel XIX secolo.

Mentre l'invasione turca di Cipro e la guerra di attrito al confine siriano sono quindi uno degli effetti del suddetto salvataggio, nuove protezioni o comunque legittimazioni erano state del resto concesse alla moderna Turchia già dopo la II guerra mondiale., questa volta col beneplacito e complicità americane. Con l'inclusione della Turchia nella NATO, infatti, l'Unione Sovietica, erede della Russia zarista, diventava ancora una volta il nemico da neutralizzare e contenere.

Non sfuggirà la continuità degli atteggiamenti nonostante il passare del tempo e i cambiamenti di regime. Una storia che si ripete con singolare monotonia.

Dopo la fine della II guerra mondiale, il vessillo anti-russo, se così possiamo definirlo, era passato in mano agli Stati Uniti, i quali, proprio grazie ai frenetici sforzi di Winston Churchill avevano di fatto sottratto alla Gran Bretagna il ruolo di prima attrice da essa fino ad allora detenuto nella politica mondiale. Come Churchill non si rendesse conto che le sue sempre più pressanti richieste di aiuto a Washington avrebbero inesorabilmente accelerato il crollo dell'Impero britannico rimane un mistero, così come rimane un mistero il come venne sottovalutato l'effetto dirompente e catalizzatore della partecipazione al conflitto dei milioni di sudditi delle varie colonie britanniche e francesi. L'attuale sordo malessere delle banlieues francesi, affollate di milioni di individui di origine arabo-africana dall'incerta integrazione psicologica, e la strisciante occupazione dei posti chiavi del governo britannico da parte di discendenti di sudditi indiani sono come l'iceberg di una sorta di tardiva nemesi per le passate avidità coloniali. Nè Disraeli né Gladstone o Curzon si riconoscerebbero nella Gran Bretagna di oggi.

Ritornando quindi alla strategia americana alla fine della II Guerra Mondiale, l'idea guida era che l'Unione Sovietica, la vecchia alleata divenuta nemica, andava opportunamente arginata da una provvidenziale Turchia situata ai suoi piedi. Così come ai tempi di Caterina II e della Gran Bretagna imperiale, nuovamente il Mar Nero era vigilato dai cugini anglosassoni, sia pure col comodo cappello della NATO.

Non è improprio affermare che sotto molti aspetti essenziali oggi ci troviamo di fronte a una sorprendente replica di una politica secolare. La circolarità non fa una grinza.

Sia nel XIX secolo che oggi, abbiamo due nazioni, separate dall'Europa e addirittura una lontanissima, e cioè Gran Bretagna e Stati Uniti, che si occupano di affari europei come se si trattasse di affari di casa loro (un'esilarante estensione della dottrina Moroe). Non solo, addirittura erigono strutture militari a ridosso del supposto nemico, facendo finta che si tratta di strutture difensive. (Si è vista l'anima difensiva di tali strutture (alias NATO) in Iraq, Libia, Serbia, Siria.) Solo il semplicismo degli ingenui e degli ignoranti o una sfrenata ipocrisia possono liquidare la questione ucraina come guerra di aggressione.I più mentecatti arrivano addirittura a sostenere che la Russia intende ricostituire l'Unione Sovietica,, riconquistare tutta l'Ucraina e addirittura invadere l'Europa. Mentre tali farneticanti idiozie sono senza fondamento, esse servono tuttavia a mantenere in piedi il mito dell'aggressione e della "cattiva Russia" da combattere. La compunta coralità dei governi europei al riguardo, salvo alcuni dissenzienti come l'Ungheria (per questo trattata come una bestia nera), si spiega con la fatale equazione "UE=NATO", subdolamente infiltratasi a Bruxelles e che rappresenta un capolavoro di furberia ma anche di stupidità.

Ben dissimulate e nascoste vi sono del resto ulteriori analogie dei fatti attuali con la tenace difesa britannica dell'Impero Ottomano.

E' infatti chiaro che a nessuno importava veramente la salute del "malato" (così veniva definito l'Impero Ottomano", così come, nonostante le accorate dichiarazioni in contrario, a nessuno importa oggi la salute dell'Ucraina. Già. Quanto ciò sia vero lo dimostrano l'assenza di qualsiasi effettiva pressione di soluzione politica, l'incoraggiamento a proseguire la guerra ad oltranza e le continue forniture di armi, adesso sembrerebbe anche arricchite di uranio. Naturalmente, il suddetto uranio rimarrà disperso in Ucraina e non in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Il cinismo da cowboy dell'attuale amministrazione a Washington è da manuale..

Gli Ucraini muoiono quindi a centinaia di migliaia, senza alcuna reale speranza di recuperare i territori (sostanzialmente russofoni e russofili) ad est e la Crimea, molte regioni sono un cumulo di macerie e il Paese vive dei sussidi euro-americani. Sporadiche e frettolose purghe anti-corruzione confermano l'esistenza di una diffusa corruzione collegata ai suddetti sussidi. Insomma, tutto suggerisce come il sostegno militare ad oltranza dell'Ucraina sia in realtà il frutto e l'obiettivo di una strategia americana d'indebolimento della Russia.

Anche dal punto di vista religioso, del resto, le analogie sono significative. Così come allora, le nazioni che guardano con ostilità la Russia slavo-ortodossa e addirittura infieriscono non solo contro gli oligarchi ma anche nei confronti di compositori e musicisti (!) sono guarda caso nazioni protestanti e cattoliche. Se non fosse che sono passati svariati secoli, sembra di percepire la stessa diffidenza e ostilità dei "Franchi" che poi conquistarono gli infidi Bizantini ortodossi (vedi la IV Crociata).

Insomma, le analogie sono numerose e inseriscono gli eventi attuali in uno scenario più realistico e convincente.

Esistono tuttavia anche significative differenze, che vale la pena accennare e che non sono meno significative.

Quando la Gran Bretagna metteva i bastoni fra le ruote alla Russia zarista, che le faceva concorrenza in Asia centrale e minacciava lo stesso Mediterraneo, essa possedeva un Impero e insomma almeno una sorta di giustificazione logica per ostacolare la Russia. Oggi però quell'Impero si è dissolto e la Gran Bretagna continua a comportarsi come se ancora vi fosse un Napoleone da sconfiggere o un Impero da difendere. (Si sa che anche Napoleone aveva di mira l'India e che la spedizione in Egitto era solo una fase preliminare.) La contraddizione aumenta, considerando che fra l'altro la Gran Bretagna è anche uscita dalla UE. Tutto ciò rende gli abbracci ucraini clamorosamente schizofrenici. Sembra peraltro che quasi tutti i leaders europei o presunti tali facciano a gara negli abbracci...

Da menzionare infine un'altra sostanziale differenza rispetto al XIX secolo. Per quanto potente fosse la Gran Bretagna, esistevano tuttavia altre Grandi Potenze, vedi Francia, Germania, Impero Austro-Ungarico. Insomma, una sorta di automatico meccanismo equilibrante, che in qualche modo limitava e smussava ambizioni e protagonismi eccessivi.

Con la dissoluzione dell'Unione sovietica, il precario ma efficace equilibrio bipolare della Guerra Fredda venne meno, creando o stimolando nei circoli di potere statunitensi la più pericolosa delle illusioni: la pretesa di un'egemonia mondiale. La suddetta illusione-ossessione è la responsabile del cervellotico allargamento della NATO, delle attuali tensioni con la Cina e ovviamente della guerra al macello per procura con la Russia. In realtà, così come oggi la Gran Bretagna non ha nessun Impero da difendere – le motivazioni morali nascondono solo una dissimulata acquiescenza verso Washington - l'elite al potere americana sembra non voglia rendersi conto che le pretese di egemonia planetaria, settantennale frutto della II Guerra mondiale, si scontrano con la realtà di nuovi protagonisti, di nuove alleanze, di nuovi sviluppi dalla Cina, all'India, al BRIC, all'emergere dei Paesi africani, al riconsolidamento della Russia post-sovietica.

Il vecchio modello della Questione d'Oriente era già dannoso e nefasto nel XIX secolo. Oggi è anche ridicolo oltre che pericoloso.

Antonello Catani, 11 settembre 2023

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Disinvolture ed equivoci di un Primo Ministro

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       Le scatenate scene danzanti del Primo Ministro finlandese Sanna Marin e il dibattito sulla loro opportunità meritano dei commenti.

      Le scene in questione hanno trovato dei difensori, i quali sostengono che anche un Primo Ministro ha diritto alla sua vita privata. La difesa è fragile e la dice lunga sul grado di consapevolezza politica di chi la esprime. In realtà, la carica di Primo Ministro oppure di un Presidente hanno dei fortissimi riverberi pubblici e simbolici che in qualche modo pongono coloro che la detengono in una posizione particolare, indebolendo quindi il comodo alibi della vita privata o quello della legalità invocata dalla stessa Sanna Marin, che per dar forza alle sue dichiarazioni di non aver commesso “niente di illegale" si è anche sottoposta a un test di droghe, risultato negativo. 

      La nozione di “vita privata” e il teatrale ricorso al test tradiscono un fondamentale equivoco. Quella di Primo Ministro non è una semplice “professione” ma al contrario una “carica”, ricca di valenze simboliche. Non più cittadino qualsiasi, la cui sfera è fondamentalmente privata, un Primo Ministro è al contrario proiettato in una sfera pubblica e unica. Finchè detiene la carica, egli è inevitabilmente “un diverso”, proprio perché le sue prerogative e la sua autorità si elevano al di sopra di quelle dei cittadini privati. Sostenere quindi che anche un Primo Ministro può indulgere in qualsiasi comportamento concesso a un cittadino qualsiasi è già concettualmente discutibile. 

Se poi i comportamenti in questione sono costituiti da sfrenate danze in compagnia di altre giovani persone, il capovolgimento e l’uscita di ruolo sono troppo contradditori con il simbolismo della suddetta carica per non essere anarchici e inappropriati. 

      Che fiducia può ispirare un Capo di stato che a seconda delle situazioni esce disinvoltamente dal ruolo e si abbandona a comportamenti poco controllati e di tipo primitivo, come sono in fondo danze simili a quelle a cui ha partecipato il Primo Ministro finlandese? Alla luce del buon senso e del buon gusto, nessuna. A meno che non si consideri quella di Primo Ministro come una delle tante professioni, che non implicano costrizioni di ruolo, di modo tale che uno può tranquillamente togliersi il camice da medico e visitare una discoteca. Poiché però la più alta carica di uno Stato non è una professione né un abito che si può dismettere per indossarne un altro, rimane il fatto che le feste danzanti di tipo goliardico-primitivo del Primo Ministro finlandese ben poco si adattano alla sua carica.

      E tuttavia i Finlandesi hanno riposto la loro fiducia in costei, nonostante ella avesse 34 anni quando fu eletta Primo Ministro. Non risulta che la nomina di una persona così giovane per una carica così delicata, piena di sfide e che dovrebbe presupporre doti speciali di esperienza e maturità abbia sollevato a suo tempo particolari perplessità. Il vero problema sta dunque a monte. 

      Certo, anche Alessandro Magno era giovanissimo e compì imprese prodigiose a mezza strada fra l’illuminato e il tipico avventuriero, ma si trattava appunto di Alessandro Magno. Salvo sostenere che si sia trattato sempre di discendenti di quest’ultimo, la storia mostra come individui molto giovani che per qualche motivo salirono agli altari del potere, furono autori di imprese spesso disastrose o comunque rivelarono la loro impreparazione. Gli esempi non mancano. Innocenzo III, Papa a 37 anni, fu uno dei più grandi criminali della storia (Càtari, Quarta Crociata, Inquisizione). Cesare Borgia, molto intelligente a detta di Machiavelli, mancava però di equilibrio e alla fine morì giovanissimo in un’imboscata in Navarra. In Italia, la tradizione dei ministri giovani sembra radicata. Anche qui, l’inesperienza di un Ciano, nominato Ministro degli Esteri a 33 anni, era in buona parte il corollario della sua età e comunque gli costò cara. In quanto all’attuale Ministro degli Esteri, Luigi di Maio, anche lui è stato investito della carica a soli 33 anni. Il fatto che non risulta che egli abbia alle spalle il curriculum di studi richiesto a chiunque intenda intraprendere la carriera diplomatica, e cioè, approfondite conoscenze di relazioni internazionali, storia diplomatica, lingue, etc., rende perlomeno surreale e inquietante l’eccezione. Nella vita comune, per risolvere situazioni critiche o complesse ci si rivolge agli specialisti con tanto di titolo di studio e comprovata esperienza nel ramo. Chi mai affiderebbe la sua macchina, i suoi denti, il ripristino di certi organi vitali a chi non ha una robusta esperienza da meccanico, da dentista o da chirurgo? Nessuno. In politica, invece, sembra che ormai questa sia quasi la regola.

      Nel caso specifico della signora Sanna Marin, il problema riguarderebbe solo i Finlandesi, se non fosse che certi comportamenti e atteggiamenti in politica estera del Primo Ministro – il favoreggiamento dell’ingresso nella Nato - sono potenzialmente di gran lunga più pericolosi e infelici delle feste danzanti.

     Non c’è quasi bisogno di dire che il problema non è la giovinezza di per sé di un individuo ma fino a che punto la sua maturità ed esperienza sono coerenti con lo spazio pubblico e gli strumenti a lui concessi. Lo stesso si potrebbe dire per l’età matura o per un individuo anziano, il quale non è evidentemente condannabile per questo. Anche qui il problema è rappresentato dal ruolo pubblico e politico riservato e concesso a costui. Da questo punto di vista, le cose sono infatti curiosamente speculari. Anziché attenersi a un ruolo di saggi ormai distanti dalla politica attiva e dal potere, una variopinta ma abbondante congerie di “anziani” in giro per il mondo non rinuncia al protagonismo e detiene cariche di altissima responsabilità che richiedono non solo esperienza ma anche lucidità, energie fisiche e insomma qualità che lamentevolmente decrescono col passare del tempo. 

      Ecco così una più che novantenne regina britannica rimanere tenacemente aggrappata alla sua corona - un gradino ancora più simbolico di Primo Ministro - per non parlare di uno stuolo di Presidenti ultra anziani che addirittura sono stati riconfermati o che pensano di ricandidarsi. Potremmo aggiungere alla serie anche un personaggio come l’attuale Papa, ormai ottantacinquenne,  ma almeno quest’ultimo, onestamente non ha fatto mistero di non avere ormai più l’età per portare avanti i suoi viaggi apostolici. Nel caso degli uomini politici, il rimanere abbarbicati alla carica sarebbe patetico, se non mettesse in luce ancora una volta le distorsioni, gli stravolgimenti, le falsificazioni e i buchi neri della cosiddetta “democrazia”, nido di mal interpretate uguaglianze, di innaturali appiattimenti nonchè di striscianti manipolazioni di massa. Alcuni difensori di quest’ultima (vedi W. Churchill) hanno affermato che essa è il minore dei mali. Questo è probabilmente vero, ma a patto di non fare gli struzzi riguardo ai suoi molti difetti e in particolare alle incongruenze rappresentate dai due poli sopra menzionati. Mentre non è detto che una più realistica età di mezzo sia immune da scivoloni, errori e malefatte, le probabilità aumentano ai due lati estremi dello spettro. Basta vedere la caotica e demenziale gestione politica dell’attuale presidente americano, che dopo una disastrosa e miseranda ritirata dall’Afghanistan si è ora imbarcato in un’ostinata e miliardaria guerra per procura  contro la Russia, con una galoppante inflazione e masse di migranti che irrompono incontrastati alle frontiere porte col Messico. Sarà una nemesi storica per aver gli Stati Uniti occupato nel XIX secolo metà del Messico? Mai sottovalutare i sentieri nascosti della storia.

       In realtà, le incoerenze anagrafiche che abbiamo brevemente menzionato rimandano a un altro problema di fondo sottostante ai meccanismi democratici che consentono a giovani imberbi o a degli ottantenni di insediarsi e rimanere abbarbicati a poltrone che influenzano il destino di milioni di persone. La comprensibile demonizzazione dei “Duci” di altri tempi circonda di sospetti e stravolgimenti la nozione di un reale leader, figura di cui si nota la generalizzata mancanza almeno in Europa e che la retorica vorrebbe assimilare alla figura del “dittatore”. Il costo postumo delle follie e delle bravate di un Hitler e di un Mussolini è in questo senso difficilmente sottostimabile. In compenso, abbondano invece i demagoghi, dall’Atlantico alle Isole Britanniche, alla Penisola Anatolica fino alle coste dell’Asia orientale. Anche costoro, allo stesso modo degli imberbi e degli ottuagenari, sono confortevolmente protetti dal sistema democratico.

      In conclusione, il Primo Ministro finlandese, che scambia la carica con una qualsiasi professione, è in fondo in buona e numerosa compagnia, cosa che quindi fatalmente lo esonera dalle debite autocritiche e per questo molto probabilmente continuerà a passare disinvoltamente da un abito all’altro.

Antonellp Catani, 23 agosto 2022

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