La casa del mago

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La casa del mago dello scrittore Emanuele Trevi indica già nel titolo un luogo dove camminare con passi felpati perché stiamo entrando in uno spazio fuori del comune. Quali magie e incontri inaspettati siamo destinati a sperimentare sulla nostra pelle? Il mago è il padre, il famoso  Mario Trevi, psicanalista junghiano, di cui l’autore prova a raccontare nel libro il suo profilo. Un uomo sicuramente interessante, elegante nello stile, ma estremamente sfuggente in alcune o forse, tante occasioni. “Lo sai com’è fatto”. Quando mia madre mi parlava di mio padre ci metteva poco ad arrivare al punto, … per affrontare qualunque faccenda con quell’uomo enigmatico, con quel cubo di Rubik sorridente e baffuto, bisognava sapere – come – era – fatto.

 Capiamo già nell’incipit della narrazione che afferrare la psiche del grande studioso era una sfida giornaliera. Il racconto dello scrittore si arricchisce tuttavia anche del confronto della ricerca su se stesso che egli rende subito evidente, quando acquista dalla sorella la porzione di casa, entrata nell’asse ereditario dopo la morte del padre, e che per una ragione di cui lo stesso Trevi  si cruccia, non si riusciva ad alienare. Forse per colpa della Psiche che ancora girava fra le stanze di quella antica dimora? Cogliendo come piccole pietre e levigandole, alla stessa maniera di un passatempo amato dal padre, proprio le frasi di dedica del romanzo, ci appropriamo di piccole gocce di sapienza da cui potrebbero nascere interessanti chiacchierate e anche ragionamenti più profondi. La prima appartiene all’autore e recita: A Vita, piccola maga. La magia appare dunque la stessa nostra esistenza con tutti i suoi imprevisti, concatenazioni e fatti straordinari di cui ci interroghiamo  spesso le ragioni del loro avvenire.

Anche la successiva frase dello psicanalista C. G. Jung,  sembra invitarci a plasmare i nostri pensieri, dentro la nostra mente, come piccoli ciottoli di fiume fino a farli risplendere. “Il significato della mia esistenza è che la vita mi ha posto un problema. O, viceversa, io stesso rappresento un problema che è stato posto al mondo, e devo dare la mia risposta, perché altrimenti mi devo contentare della risposta del mondo”. Quest’ultima precisazione apre una vista bellissima sul nostro Io o se vogliamo ancora essere più calzanti: sull’essenziale, il nostro essenziale.

Il romanzo, condotto da un narratore che appare come un bohemien per il suo stile di vita, in un’altalena piacevole tra autobiografia e finzione, dipinge in particolare l’humus culturale del Novecento, con un pennello che sembra intinto nel frasario e sentimenti di quel periodo.

Spiccano fra gli altri “personaggi” Carl Gustav Jung, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli e Ernst Bernhard ... Un filo lega la vita di Mario ed Emanuele Trevi  e quella di Bernhard. I pensieri si intrecciano e si rimandano e, pur nella lontananza della loro nascita, sono capaci di alimentare scintille  e far ripensare allo scrittore il suo vissuto. Sono personaggi di un tempo caratterizzati da amabilità, sensibilità e intelligenza e, che nel racconto percepiamo vicine. Il padre partigiano, Dora, la dolce compagna di Ernst Bernhard, … e la stessa Miss Miller, la giovane americana che secondo Jung, come si legge nei suoi Simboli della trasformazione camminava involontariamente sull’orlo della schizofrenia.

Anche qui il racconto di Levi figlio su Miss Miller alimenta ulteriori ricerche su di lei e su di noi.

 La casa del mago è un libro intrigante. A completare la vicenda e a dargli un tono anche “picaresco” la prostituta Paradisa e la colf, se così ci è permesso chiamarla, che ha il nome Degenerata e poi ancora  la Visitatrice.

Sicuramente Paradisa con cui il protagonista sembra avere una relazione che sembra trovare piacevolezza non tanto nel sesso, ma nella vicinanza di una banale quotidianità davanti al televisore, potrebbe porre dei dubbi legittimi sulle convinzioni dello scrittore sul tema delicato del  rispetto del corpo della donna per quanto riguarda il fenomeno della prostituzione.

Sulle simpatie per gli uomini forti e sul concetto di libertà di Paradisa potremmo poi rimanere, penso, tutti basiti.

Chi siamo, cosa amiamo? A ritroso, fra le prime pagine ci fa da subito divertire l’atteggiamento del protagonista, quando giovane, commenta il famoso aforisma: Conosci te stesso. A me di conoscere me stesso e di sapere come sono fatti gli altri non è mai fregato un granchè. Quanto al primo punto, ho la sensazione che se qualcuno procede come può nella vita generalmente lo fa a sua insaputa … Meno ti conosci meglio stai. Quanto agli altri, la cosa più importante non è come sono fatti, ma che mi vogliano bene ….

Patrizia Lazzarin, 3 ottobre 2023

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Chagall, il colore dei sogni

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Chagall, il colore dei sogni, la mostra visibile da oggi al Centro Culturale Candiani di Mestre, narra della bellezza dell’immaginazione. Accanto alle opere del pittore di origini russe, nato nella città di Vitebsk, i quadri e le sculture di artisti del ‘900 e di oggi, contengono luoghi e forme che racchiudono una realtà intima. Gli artisti, anime belle, quasi stranieri nel proprio mondo, cosa amano di più? Eh! Che ami dunque, straordinario straniero? Amo le nuvole … le nuvole che passano … laggiù … laggiù … le meravigliose nuvole!

Le parole appartengono al Sognatore evocato da Baudelaire nella pubblicazione Spleen de Paris del 1869 e potrebbero adattarsi benissimo al pittore francese Odilon Redon, il simbolista visionario, votato al sogno, alla metafora e con una vena di melanconia.  Le sue opere sono fra le prime che vediamo  al nostro ingresso nella rassegna. L’opera di Chagall che potremmo quasi centellinare, come un calice di vino rosso dal sapore al tempo stesso indistinguibile e universale, viene comparata, in questa occasione, ad artisti a lui vicini per poetica e ricerca.

Il paese che è nell’anima mia è il titolo della sezione dedicata al mondo immaginifico del pittore–poeta che traduce nella sua arte la levità del sentimento del vivere. La esprime allo stesso tempo facendo navigare nello spazio, appena sopra i nostri  occhi, sopra gli alberi e forse ancor più su, fino a quelle nuvole che amavano anche Redon e Baudelaire, gli affetti suoi più cari, come l’amata moglie Bella, i personaggi simbolici del suo universo religioso come il rabbino e gli animali che, nei colori e forme, sembrano incarnare gli spiriti buoni della realtà.

Chagall  venne formando il suo stile sulla lezione del primitivismo russo, dell’arte popolare e delle avanguardie che egli aveva conosciuto durante il suo soggiorno parigino. Ancora una volta attingiamo alle sue impressioni, come a una riserva utile alla comprensione della sua arte. E soltanto mio il paese che è nell’anima mia. Vi entro senza passaporto. Come a casa mia. Vede la mia tristezza e la mia solitudine. Mi addormenta e mi copre con una pietra profumata.

 In quello spazio facciamo la conoscenza del Rabbino che ha il volto  dai tratti marcati, con la  pelle lucente e scura, avvolto da un abito coperta, marezzato sul collo bianco da strisce nere.  Esso  è l’icona dell’esposizione che potremmo visitare fino al 13 febbraio 2024. Il capolavoro che è stato acquisito dal Comune di Venezia alla Biennale del 1928, fa parte del patrimonio della collezione Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna ed è qui posto accanto  all’opera Vitebsk. Scena di Villaggio della Collezione Batliner dell’Albertina Museum di Vienna.

La rassegna  nasce da un progetto della Fondazione Musei Civici di Venezia  e  ha la curatela di Elisabetta Barisoni.  In essa si trovano riunite accanto alle opere della Collezione Ca’ Pesaro, lavori del maestro russo provenienti da prestigiosi musei internazionali, quali  l’Albertina Museum di Vienna, il Musée National Marc Chagall di Nizza, il Szépművészeti Múzeum di Budapest e l’Israel Museum di Gerusalemme.

 Protagonista è anche il mondo religioso del pittore di Vitebsk, declinato nelle sue creazioni  e maturato attraverso  il viaggio in Terra Santa, Siria ed Egitto e la riflessione sulle contemporanee persecuzioni antisemitiche. Si percepisce un’umanità violata che cerca espressione anche nel simbolo della Croce. Le sue opere commissionategli tra il 1923 e il 1930  dal famoso mercante francese Ambroise Vollard, fra cui quelle che vediamo al Candiani, sono servite per illustrare la Bibbia.

Qui sono messe in relazione, a rafforzare il loro grado di drammaticità, con i lavori di artisti di luoghi e tempi differenti. Essi sono Georges Rouault, Frank Brangwyn, Veikko Aaltona, Istvàn Csòk, Tullio Garbari, Lynn Chadvick per giungere al giovane artista Nicolò De Mio.

Virtù e vizi  dell’animo umano sono racchiusi nelle ancora attuali Favole dello scrittore francese del XVII secolo, Jean de La Fontaine e che Vollard, nel 1923, incaricherà Chagall di illustrare. Sono 240 poemi e racconti che spaziano dal folclore alla mitologia greca e  storie in cui gli animali hanno le stesse qualità e difetti degli esseri umani. Ancora una volta il messaggio di Chagall all’umanità si dispiega attraverso segni e forme che, nella loro linearità e semplicità, sanno toccare i fondamenti dell’animo di chi li osserva, per quella sensazione di magia che recano in sé.

Nell’ultima sala un’opera di George Grosz, esponente della Nuova Oggettività Tedesca, Una natura morta con gatto  entra in dialogo in modo assai curioso  con l’espressione poetica di Chagall.

Patrizia Lazzarin, 30 settembre 2023

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La natura e le impronte umane

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È pensiero diffuso che il Patrimonio Mondiale sia rappresentato solo da siti che mostrano monumenti e rovine dei tempi antichi. Fanno parte di quel Patrimonio anche altre costruzioni e architetture, beni naturali, passaggi culturali e quelle “eredità culturali intangibili”, ancora presenti e vive, trasmesse da generazioni che sono divenute segni d’identità di comunità e gruppi sociali. Sono espressioni orali, arti dello spettacolo, pratiche sociali, riti e feste, artigianato tradizionale.

Anche luoghi e beni, quindi, che testimoniano tradizioni e culture dell’Uomo e del suo genio creativo, la sua interazione con l’ambiente e le sue costruzioni architettoniche, la Natura, i paesaggi, gli habitat di biodiversità.

La mostra "Patrimonio Mondiale: la Natura e le Impronte Umane", ospitata al Museo delle Mura dal 29 settembre al 3 dicembre 2023, ne presenta alcune importanti testimonianze attraverso 51 immagini fotografiche di Michele Spadafora, suddivise in 7 aree tematiche: Civiltà scomparse, Natura e paesaggio, Disegno urbano, Architettura difensiva, Luoghi di culto, Tradizione e vita, Eredità del passato.

L’esposizione, ideata da Michele Spadafora, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

Tra cittadelle fortificate, architetture urbane, centri storici e giardini, luoghi culturali e spirituali, monasteri, templi e chiese, castelli del deserto e piramidi a terrazze, deserti, savane e foreste, le foto ritraggono 39 siti Patrimonio Mondiale:

 Ait-Ben-Haddou, El Jadida, Essaouira, Fez, Marrakesh,  Meknes, Rabat  e Volubis (Marocco), Alcobaça, Alto Douro, Batalha, Coimbra e Oporto  (Portogallo), Amsterdam (Paesi Bassi), Anjar (Libano), Antigua, Quiriguá e Tikal (Guatemala), Baalbek e Ouadi Qadisha  (Libano),  Brugge (Belgio), Chiloé, Rapa Nui   e Valparaíso (Cile), Haghpat, Sanahin  Echmiatsin e Zvartnots (Armenia),  Altopiani Centrali, Dambulla, Galle, Kandy, Polonnaruwa e Sigiriya (Sri Lanka),  Lago Ovest e Suzhou  (Cina),  Ngorongoro e Serengeti (Tanzania),  Quseir Amra , Wadi Rum e Petra (Giordania).  

Si aggiungono all’esposizione le immagini relative a 3 elementi compresi nella lista del patrimonio culturale immateriale dell'Unesco, indagati dall’obiettivo di Michele Spadafora.

Tra questi, il Fado portoghese, il canto popolare triste e nostalgico dell’animo portoghese eseguito da una voce che dialoga con una o due chitarre, accompagnate a volte da una o due viole. Nato nel quartiere di Alfama, a Lisbona, alla fine delle guerre napoleoniche, il Fado (da “fatum”), oggi si canta nelle taverne e case di fado della parte antica della città: un uomo o una donna cantano di amori di miserie e di morti, di dolore e disperazione, di destino cupo e ineluttabile.

E ancora, la piazza Jemaa el-Fna, simbolo di Marrakesh e della tradizione popolare del Marocco, posta all’ingresso della Medina e punto d’incontro di giorno e di notte, gremita di venditori e bancarelle, suonatori e cantastorie, danzatori e guaritori, predicatori ed indovini, portatori d’acqua e incantatori di serpenti.

E infine l’Armenia con la sua “croce di pietra” o Khachkar, una stele commemorativa in pietra che racchiude una croce finemente scolpita poggiata sul simbolo del sole (o della ruota eterna), ornata con rosette, intrecci e motivi vegetali (raramente figure divine o di santi), rappresentazione dell’albero perenne della vita. Una volta eretta viene benedetta ed unta, e diviene segno religioso.

Patrizia Lazzarin, 29 settembre 2023

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