Joan Mirò: l’alfabeto del segno e della materia

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Ha il patrocinio del Ministero della Cultura Italiana e del Ministero della Cultura Spagnola presso l’Ambasciata di Spagna, la rassegna dedicata all’artista catalano Joan Mirò, già visibile nel Palazzo Salmatoris a Cherasco, in provincia di Cuneo, e che dal 29 ottobre comprenderà la sede espositiva di Casa Francotto, nel comune di Busca. L’alfabeto  del segno e della materia, la citazione della sua seconda parte del titolo, riassume il significato della ricerca artistica del maestro nato a Barcellona nel 1893 e morto a Palma di Maiorca nel 1983. Esponente dapprima del Surrealismo, è stato, nel corso della sua  vita, capace di sperimentare espressioni e modalità  estremamente creative che si sono maturate  mantenendo vivo il legame con la sua terra, la Catalogna, e l’ammirazione per la cultura classica e mediterranea. Realismo, semplicità, chiarezza, oggettività, plasticità, tutte le peculiarità plastiche essenziali della pittura catalana le ritroverete nella pittura di Joan Miró: racconta lo studioso Leyre Bozal Chamorro, nel catalogo pubblicato da Edizioni Araba Fenice. Dalla pittura alla scultura, dalla ceramica fino all’opera grafica, l’arte di Mirò sembra pervasa da miti fiabeschi, storie ancestrali e segni elementari che nel loro movimento circolare individuano un alfabeto universale che, come giovani alunni, vorremmo indovinare. Già nel novembre del 1941, quando era in corso la seconda guerra mondiale, il Moma di New York gli aveva dedicato una retrospettiva  che fu accolta con entusiasmo anche dalla critica. L’esposizione ebbe il merito di certificare il suo ruolo riconosciuto di Maestro a livello internazionale, a cui seguiranno infatti rassegne in tutti i più grandi musei delle capitali del mondo: da Parigi a Londra fino a Tokyo. Negli anni ’20 del Novecento egli si trasferì a Parigi e il suo progressivo distacco dal reale verso un mondo onirico si sviluppò in quel periodo grazie all’incontro con esponenti del Surrealismo: Andrè Breton e  Tanguy, del Dadaismo come Man Ray e   artisti che, come Marcel Duchamp svolgevano la loro ricerca all’interno di  diverse correnti artistiche. Un’amicizia importante durata una vita, quasi cinquant’anni, fu quella con lo statunitense Alexander Calder, inventore di grandi sculture cinetiche, dette mobile. «La mostra su Mirò propone, nella sua costruzione, una chiave di lettura particolare e che crediamo interessante, simile a quanto avvenuto nelle precedenti mostre di grande successo dedicate a Fontana e Picasso, di cui siamo stati organizzatori e curatori. Non vogliamo fornire risposte preconfezionate, desideriamo incuriosire lo spettatore con un alto grado di confronto dialettico tra le opere del Maestro catalano e quelle di artisti con cui ha collaborato e si è confrontato nella sua lunga, vivace e ricca vita artistica» dice Cinzia Tesio, curatrice della mostra insieme a Riccardo Gattolin. L’artista dell’avanguardia novecentesca viene valorizzato nell’esposizione, come spiega anche Edoardo Di Mauro, Direttore dell’Accademia Albertina di Belle Arti  e Direttore del Museo d’Arte Urbana di Torino: sia nell’esemplarità della sua produzione sia per l’influenza sulle principali correnti del primo e secondo Novecento, affrontata con precisa impostazione didattica relativamente a “Surrealismo e Dada”, “Parola ed Immagine”, “Espressionismo Astratto”, “L’Informale”, “Arte Trasgressiva”, “I materiali e il rapporto con il gallerista ed editore Carlo Cardazzo. A Cherasco, a Palazzo Salmatoris, sono visibili novanta  opere,  di cui più di quaranta sono di  Miró, le altre di dadaisti e surrealisti come Roberto Sebastian Matta, Giorgio De Chirico, Francis Picabia, Salvador Dalì. Incontriamo artisti che gravitano nell’area della corrente dell’Informale: Renato Birolli, Gerard Schneider, Georges Mathieu, Hans Hartung, Emilio Vedova … Fra gli espressionisti possiamo osservare le invenzioni di Emilio Scanavino, Mark Tobey, Jean Tinguely e di  Niki de Saint Phalle, l’artista americana “dei sogni” di cui si è tenuta una mostra lo scorso anno a Capalbio. Il sogno e una  libertà che spezza i vincoli che impediscono alla mente  di librarsi  nell’universo dell’ immaginifico accompagnano quindi lo spettatore lungo il percorso dell’esposizione, in cui le creazioni di Miró “parlano” con le opere dei maggiori artisti internazionali. Essa rimarrà aperta fino al 23 gennaio. Per tutte le scolaresche che visiteranno la mostra sono previsti percorsi, visite guidate e laboratori didattici a cura di Anna Lavagna, per scoprire attraverso le opere d’arte esposte, come il linguaggio surrealista, la calligrafia e la materia possano diventare opere d’arte. Il programma dedicato alle scuole – aveva dichiarato Riccardo Gattolin, nel comunicato stampa del 15 ottobre, - ha avuto un successo eccezionale, abbiamo prenotazioni sino alla fine di novembre. Pochi giorni dopo l’inaugurazione, le richieste degli istituti scolastici già superano le 2500 prenotazioni. Esse provengono  da tutto il Piemonte.

Patrizia Lazzarin, 24 ottobre 2022

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Vedova Shimamoto, Informale da Occidente a Oriente

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Una parola, un segno calligrafico, una chiazza rossa di sangue o una luce verde che lampeggia di fronte a noi, hanno un significato e traducono emozioni. Nel movimento della linea curva o longilinea che noi seguiamo con lo sguardo perché ci incuriosisce, anche se non individua una forma a noi nota, cerchiamo il filo di Arianna di una storia che vorremmo scoprire e che forse proviene da assai lontano, alle radici di quell’uomo o donna che siamo oggi, arrivando fino  a quelle figure propiziatorie tracciate dai nostri antenati sulle pareti delle caverne. La rassegna che ha aperto al pubblico nel Museo Civico del suggestivo borgo di Asolo il trenta agosto, dal titolo  Vedova  Shimamoto, Informale da Occidente a Oriente,  vuole tornare a parlare di quel movimento che aveva rivoluzionato i canoni espressivi dell’arte  fra gli anni Quaranta e Sessanta del 900’, alla luce di  quei cambiamenti dovuti alla seconda guerra mondiale che aveva mandato in frantumi la società del tempo, come accade a un vetro rotto da una forte esplosione. L’arte informale aveva rinunciato a raccontare con i canoni del Realismo, aveva abbandonato su una sedia rimasta intatta dai bombardamenti l’ultima spoglia della figura umana e aveva gettato sulla tela tutto il subbuglio del mondo interiore che anche gli artisti avevano vissuto, sia nei campi da battaglia sia in esilio. Cristina Mondin, responsabile del Museo Civico di Asolo, conferma il desiderio di conservare la memoria e di far conoscere questo movimento che è stato espressione di un particolare momento storico. Un movimento globale che dagli Stati Uniti all’Europa e all’Oriente ha avuto differenti declinazioni di espressione raccogliendo anche e non solo le lezioni del Surrealismo, nel gesto puro che allontana il pennello e getta il colore sulla tela, o del Futurismo, nel dinamismo delle linee e nella rottura voluta con la tradizione. I protagonisti principali della mostra sono Emilio Vedova, l’artista veneziano, che fu uno dei fondatori della Nuova secessione italiana, diventato poi Fronte nuovo delle arti  alla fine degli anni  Quaranta e Shozo Shimamoto, uno dei più importanti esponenti, e co-fondatore del Movimento artistico Gutai, che era nato nel 1954 in Giappone, nella regione del Kansai. Sono molti altri gli artisti che compongono questa carrellata che si articola nelle sale del museo grazie ad un  suggestivo allestimento che combina i rosa delle pareti, i bianchi delle sculture presenti, parte integrante dell’istituzione, e i rossi tendaggi alle finestre,  e crea uno scrigno dove le opere possono essere ammirate in tutto il senso di piacevolezza ed armonia che appartiene a loro. Carla Accardi, Afro, Renato Birolli, Alberto Burri, Lucio Fontana, George Mathieu, Ennio Morlotti, Sadamasa Motonaga, Nohara Motonari, Shuji Mukai, Achille Perilli, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso, Mark Tobey, Yasuo Sumi, Tancredi sono solo una parte dei pittori presenti a questa rassegna che ha  il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano e  la curatela di  Matteo Vanzan ed Enrica Feltracco. L’esposizione  prosegue il  racconto per immagini di alcuni dei principali movimenti artistici, culturali  ed esponenti del 900’, da Andy Wahrol  a Mario Schifano e poi Woodstock, che il Museo ha dedicato a loro negli ultimi anni. Una galleria pubblica che raccoglie al suo interno tanti brani di storia e di arte di molte persone che hanno amato questa cittadina che si arrocca fra i colli: dai reperti canoviani, alle tele del vedutista Bernardo Bellotto, dalle sale dedicate al periodo romano di Asolo allo  spazio destinato  a tre importanti  donne che qui hanno vissuto: la principessa veneziana Caterina Cornaro, l’attrice di teatro Eleonora Duse e la grande viaggiatrice britannica Freya Stark. E così quando in un pomeriggio domenicale, noi saliamo a piedi l’ampia e lunga salita che ci conduce dal parcheggio nella bella piazza centrale da cui si gode una delle caratteristiche viste panoramiche, i nostri polmoni non possono non respirare un’aria speciale che risuona  degli echi di una  storia vicina e lontana. Ora nel museo, il segno nero delle tele pittoriche di Emilio Vedova che vediamo  spiccare  nelle prime sale,  mostra tutto il magma racchiuso nell’anima dell’artista che egli riordina nella sua visione traducendo così il pathos dei grandi eventi. Quel nero emoziona non meno, anche se in maniera diversa, delle superfici bianche e nere di Edouard Manet  nella Colazione o nell’Atelier. Quel colore ci parla ora di energia, di movimento necessario e di scontro di linee e forse non solo di esse, di passione avvolgente e rotolante nel colore che s’impasta. Il suo collega giapponese, racconta in maniera diversa, quel sentire nuovo, specchio di un mondo che è stato segnato da una forte cesura. Tutto il Movimento Gutai, a cui appartiene Shimamoto, lancia un nuovo fare artistico: il proprio corpo o singolari strumenti come armi da fuoco, elicotteri, gru o abachi per trasportare il colore.  Shimamoto sparerà bottiglie di tinte diverse sulle tele: uno scoppio di macchie e filamenti che aprono nuovi spazi  luminosi che sembra possibile abitare. La ricerca di nuovi luoghi senza confini dove può regnare forse la felicità o forse no. Lucio Fontana taglia la sua tela verde, per guardare oltre quella che potrebbe essere una distesa prativa e Giuseppe Santomaso nella sua poeticità di cantore veneziano disegna geometrie invisibili di una Venezia sospesa fra cielo e mare.  L’abbandono del figurativo tradizionale non elude i significati dell’esistere ma li reinterpreta alla luce delle recenti esperienze. L’artista è diventato ora cartina al tornasole della qualità della vita, posata con noncuranza, sul piattino dell’ingresso. La rassegna rimarrà aperta fino al 15 novembre 2020.                

Patrizia Lazzarin, 1 settembre 2020                                                                      

 

 

 

 

 

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