Architetture inabitabili?

  • Pubblicato in Cultura

La mostra ARCHITETTURE INABITABILI apre domani e rimarrà visibile fino al cinque maggio presso i Musei Capitolini, Centrale Montemartini di Roma. Viene realizzata da  Archivio Luce Cinecittà,  uno dei più ricchi al mondo e che si avvia a  divenire la memoria audiovisiva del ‘900 italiano e dell’area del Mediterraneo.  Il desiderio di  far riemergere il fascino e la complessità di alcune architetture inabitabili in Italia si comprende unitamente al fervore che spesso accompagnava la realizzazione di quegli edifici. L’esposizione ne illustra otto esempi ubicati su tutto il territorio nazionale.

Scopriamoli.

Essi sono:

 il Gazometro di Roma che spicca come un moderno Colosseo, presenza iconica nei film e nelle serie TV degli ultimi anni e  che ospita la rassegna  che permetterà al visitatore un suggestivo confronto tra l’architettura e il mondo circostante.  

Il Memoriale Brion ad Altivole, un complesso architettonico progettato dall’architetto Carlo Scarpa e concepito come luogo di sepoltura per la famiglia Brion.

Il campanile semisommerso di Curon, situato nel lago di Resia, in Trentino-Alto Adige. Appartiene a un edificio  romanico completamente trasformato dalla costruzione di una diga che portò alla creazione del lago per scopi idroelettrici sommergendo il paese che venne distrutto e  lasciando emergere  solo la torre campanaria.

 Il Cretto di Gibellina, installazione commemorativa dell’artista Alberto Burri.  Un grande sudario di cemento bianco  ingloba le macerie della città di Gibellina, distrutta nel terremoto del Belice del 1968.

Il Lingotto di Torino, storico e famosissimo complesso architettonico, progettato da Giacomo Matté Trucco e che un tempo ospitava la fabbrica della FIAT, ora divenuto simbolo della storia industriale della città.

Gli Ex Seccatoi di Città di Castello che nel 1966 ospitarono i libri alluvionati di Firenze e che qui vennero “curati”. Perduta definitivamente la loro funzione originaria con l’abbandono della coltura del tabacco negli anni ‘70, dal 1990 ospitano gli ultimi grandi cicli pittorici di Alberto Burri.

La Torre Branca, originariamente torre littoria, progettata da Giò Ponti, era stata concepita come una costruzione temporanea per la Triennale del 1933. Essa è  caratterizzata da una struttura a traliccio in acciaio e dotata di un ascensore che permette ai visitatori di raggiungere la cima e godere di una vista panoramica su Milano. Essa  è stata restaurata dopo un periodo di relativo abbandono ed è ritornata ad essere visitabile dal 2002.

I Palmenti di Pietragalla, testimonianza dell'ingegno dei vignaiuoli locali. Parliamo di un'architettura rupestre in pietra formata da oltre duecento costruzioni disposte su diverse quote, un tempo utilizzate come laboratori per la produzione del vino e che creano un impatto paesaggistico notevole, evocando atmosfere fiabesche.

Queste architetture sono inabitabili, ma possiedono un fascino onirico   capace di aprire un varco nell’immaginazione di chi le osserva. Sono state immortalate dallo sguardo di fotografi contemporanei come Silvia Camporesi e Francesco Jodice e raccontate dalla penna di scrittori e scrittrici del calibro di Edoardo Albinati, Stefania Auci, Gianni Biondillo, Andrea Canobbio, Andrea Di Consoli, Francesca Melandri, Tiziano Scarpa e Filippo Timi.

Il volume che Marsilio Arte ha pubblicato in occasione della rassegna,  ha la curatela  di Chiara Sbarigia, Presidente di Cinecittà, e di Dario Dalla Lana e contiene i saggi dei due curatori e di Marco Belpoliti. Grazie alle immagini suggestive e alla raffinatezza dei testi, il libro è un vero e proprio viaggio che accompagna il lettore.

Vedendo la mostra e leggendo i saggi si scopre l’origine di queste architetture, le leggende che ancora le animano e l’impatto che hanno avuto  nell’immaginario collettivo.

Che cosa significa poi inabitabile? Il curatore Dario Dalla Lana esplora il concetto nel suo Costruire, abitare, guardare attraversando i casi esposti nella mostra, approfonditi poi nei saggi degli scrittori. Francesca Melandri racconta storie di vita del paese che sorgeva dove è stata costruita la diga artificiale da cui spunta oggi il Campanile di Curon.

Tiziano Scarpa ci porta nella tomba dei coniugi Giuseppe e Onorina Brion realizzata dal «demiurgo creatore» Carlo Scarpa, ricordando anche l’opera Il delirio del particolare. Ein Kammerspiel di Vitaliano Trevisan. Gianni Biondillo fotografa l’architettura del ventennio con la Torre Branca, progettata da Gio Ponti, a pochi passi da quello che fu il Palazzo dell’Arte, oggi Triennale. Albinati ripercorre quello che il cinegiornale dell’epoca definiva «il fantastico castello d’acciaio», ovvero il Gazometro che oggi «sembra ancora lì, a rammentare della base materiale dell’esistenza: come il fossile che segnala, in negativo, con il suo solco vuoto, il corpo dell’animale vivo».

Di Consoli riscopre la sua terra, la Lucania, che ospita il Parco dei Palmenti. La racconta entrando in contatto con lo spirito dei morti, quasi rivedendo «gli uomini nell’autunno brumoso affollare queste grotte anguste», sentendo il loro odore e le loro parole dialettali. Pietre e silenzio di Stefania Auci ci riporta nella fredda notte del 14 gennaio 1968, quando le case crollarono su se stesse «tornando a essere pietre, pezzi di legno, chiodi». Là a Gibellina, dove c’era vita, Alberto Burri realizzò il memoriale in ricordo del paese che non c’è più, ma che vive nell’immaginario, come le altre architetture inabitabili

L’esposizione promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, esplora la complessità delle "architetture inabitabili" italiane grazie a 150 fotografie, video storici e testi inediti di scrittori.

Patrizia Lazzarin, 23 gennaio 2024

Leggi tutto...

Palazzo Maffei: sulle tracce di Virginia Woolf

  • Pubblicato in Cultura

Un luogo di delizie per lo spirito e la mente è il seicentesco Palazzo Maffei nel centro storico di Verona. Il suo affaccio su Piazza delle Erbe è uno sguardo sul presente e sul passato: nell’oggi, fra la gente che affolla le sue sale, le piazze e le vie tutt’intorno, nei secoli trascorsi per merito della sua architettura che, nella sua maestosità ed eleganza, richiama i fasti e la teatralità del barocco. E proprio guardando dalla terrazza, dove si arriva dopo aver visitato le collezioni d’arte del primo e del secondo piano, in cui la contemporaneità e l’antico affabulano in un dialogo  fatto di rimandi e di significati, che i nostri occhi rapiti dalle file delle finestre dei palazzi che formano una corolla e da un cielo che sembra avvicinarsi ai rossi tetti di tegole, colgono il senso della meraviglia che nasce da un’affascinante scoperta. Il paesaggio naturale appare legato ai palazzi della città, mentre sullo sfondo una luna del tardo pomeriggio autunnale, brilla nella sua lucentezza bianco-argentea. Viaggiando fra le opere, con la musica che proviene dalle cuffie che da poco abbiamo indossato, seguiamo i passi di una  danzatrice lungo le sale. Sul suo filo di Arianna, simbolicamente steso, percepiamo la bellezza dell’arte che in mille forme si presenta. Il libro, Una stanza tutta per se di Virginia Woolf è la trama su cui la coreografa Camilla Monga tesse, in maniera libera, i suoi fili e le sue mosse fatti di lievi passi  e veloci movimenti che abbracciano il mondo di cose meravigliose che la circonda. Le note che provengono dalle cuffie sono invenzioni di Federica Furlani che  prende ispirazione dalle riflessioni del primo grande compositore ambientalista Raymond Murray Schafer e da Brian Eno. Ammiriamo le opere, soli, anche se accanto ad altri, in una percezione molto particolare che ci fa avvicinare al senso della potenza della creazione. Una stanza tutta per se e cinquecento sterline annue di rendita sono le condizioni minime per una donna che scrive,  raccontava nel suo libro Virginia. Un luogo dove essa possa, senza remore, esprimere la sua intelligenza. Nella libera interpretazione andata in scena a Palazzo Maffei l’energia creatrice degli artisti che, sulle pareti restituiscono una loro visione del mondo, entrava in relazione con i presenti, ora anch’essi registi di una nuova storia di pensiero e di immaginazione. Le pareti restituivano brani della vitalità dell’essere che straordinariamente rimanevano, anche se possedevano un antico linguaggio, leggibili e vicini. Statue greco-romane, dipinti cinquecenteschi, sculture novecentesche, quadri di futuristi, scene sacre e opere cinetiche, solo per citare alcuni stili  e generi, si posano sugli spazi pieni di luce,  come se il tempo fosse saltato, per restituire a noi valori senza limiti di spazio e cronologia. Ogni espressione si completava nell’insieme, mentre le dita della danzatrice mostravano alla fine della coreografia, una delle frasi simbolo del palazzo: l’Arte è la forma più alta della speranza: un aforisma del pittore Gerhard Richter. Incisioni, miniature, disegni, libri antichi, maioliche, bronzi, avori, oggetti di uso quotidiano, come  mobilio e manufatti decorativi e affreschi completano l’excursus nella casa-museo. La Collezione Carlon, qui raccolta, venne iniziata più di cinquant’anni fa. Ogni suo luogo definisce coordinate di forme, colori e significati che  azionano come una molla la nostra immaginazione. L’interesse per la storia artistica veronese si evidenzia nelle opere, fra gli altri, di Altichiero e Liberale da Verona, Bonifacio de’ Pitati, Antonio e Giovanni Badile, Felice Brusasorci, Antonio Balestra e Giambettino Cignaroli. Nella prima sala, capolavori della pittura veronese, tra la fine del XV e l’inizio del XVII secolo, si ammirano accanto a manufatti tardogotici di pregevole fattura e a preziose tele di tema mitologico che si ispirano alle Metamorfosi di Ovidio, alla Teogonia di Esiodo e alle gesta dei poemi omerici. Nella stanza dei Mirabilia i fondi oro di epoca trecentesca e quattrocentesca alludono a uno spazio oltre il visibile come  i tagli sulla tela rossa di Lucio Fontana che ricercano la terza dimensione spaziale. Accanto ai fogli miniati del XIII e del XIV secolo appaiono sulle parete  affreschi di paesaggi con architetture. Ci sono  i panorami e gli sguardi  sulla Verona del Seicento come nella Veduta dell’Adige nei pressi di San Giorgio in Braida dell’olandese Gaspar van Wittel o l’immagine di Piazza delle erbe di Giovanni Boldini, riletta in chiave Belle Époque. Nell’Antiquarium che ricorda le origini del palazzo Maffei, edificato sui resti del Capitolium, il tempio romano del I secolo dopo Cristo, i manufatti lapidei con raffinate decorazioni a punta di trapano a violino sono accostati alla statua di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, e al Testimone di Mimmo Paladino. Qui la limpidezza dei materiali e delle linee sembra acquistare voce silenziosa, mentre sulle pareti ci guardano i Gladiatori di De Chirico. E’ una sinfonia di colori, dove il bianco e l’avorio condensano l’essenza e la forza dell’esistere. Incontriamo nella passeggiata opere inedite delle avanguardie storiche come il quadro: Canal Grande a Venezia di Umberto Boccioni.  Particolare attenzione viene riservata al Movimento del Futurismo, attraverso le opere dei suoi  principali  “firmatari, o se vogliamo protagonisti: Giacomo Balla, Gino Severini, Carlo Carrà e naturalmente Boccioni. Ci sono i colori di Modigliani, di Casorati, Schifano e  Warhol, in un viaggio dal Realismo Magico alla Pop Art. Ci muoviamo  dalla pittura informale di Georges Mathieu all’astrattista Carla Accardi, da Alberto Burri, a Piero Manzoni e Enrico Castellani che, negli anni Cinquanta e Sessanta  esprimono nuovi valori  nati  dalla consapevolezza di essere una generazione scampata agli orrori della guerra. Nel percorso tra realismo e astrazione sostiamo con stupore davanti al surrealista Renè Magritte, all’incredibile Renato Guttuso e a Pablo Picasso per immergerci infine nelle grandi tele di Emilio Vedova, Piero Dorazio e Giuseppe Santomaso. Si pone attenzione anche  alle creazioni di figure d’artisti più giovani come Chiara Dynys, Leandro Erlich, Giuseppe Gallo, Dan Roosegaarde e Arcangelo Sassolino. L’allestimento museale ha avuto la direzione della storica dell’arte Gabriella Belli.

Patrizia Lazzarin, 7 novembre 2022

Leggi tutto...

Vedova Shimamoto, Informale da Occidente a Oriente

  • Pubblicato in Cultura

Una parola, un segno calligrafico, una chiazza rossa di sangue o una luce verde che lampeggia di fronte a noi, hanno un significato e traducono emozioni. Nel movimento della linea curva o longilinea che noi seguiamo con lo sguardo perché ci incuriosisce, anche se non individua una forma a noi nota, cerchiamo il filo di Arianna di una storia che vorremmo scoprire e che forse proviene da assai lontano, alle radici di quell’uomo o donna che siamo oggi, arrivando fino  a quelle figure propiziatorie tracciate dai nostri antenati sulle pareti delle caverne. La rassegna che ha aperto al pubblico nel Museo Civico del suggestivo borgo di Asolo il trenta agosto, dal titolo  Vedova  Shimamoto, Informale da Occidente a Oriente,  vuole tornare a parlare di quel movimento che aveva rivoluzionato i canoni espressivi dell’arte  fra gli anni Quaranta e Sessanta del 900’, alla luce di  quei cambiamenti dovuti alla seconda guerra mondiale che aveva mandato in frantumi la società del tempo, come accade a un vetro rotto da una forte esplosione. L’arte informale aveva rinunciato a raccontare con i canoni del Realismo, aveva abbandonato su una sedia rimasta intatta dai bombardamenti l’ultima spoglia della figura umana e aveva gettato sulla tela tutto il subbuglio del mondo interiore che anche gli artisti avevano vissuto, sia nei campi da battaglia sia in esilio. Cristina Mondin, responsabile del Museo Civico di Asolo, conferma il desiderio di conservare la memoria e di far conoscere questo movimento che è stato espressione di un particolare momento storico. Un movimento globale che dagli Stati Uniti all’Europa e all’Oriente ha avuto differenti declinazioni di espressione raccogliendo anche e non solo le lezioni del Surrealismo, nel gesto puro che allontana il pennello e getta il colore sulla tela, o del Futurismo, nel dinamismo delle linee e nella rottura voluta con la tradizione. I protagonisti principali della mostra sono Emilio Vedova, l’artista veneziano, che fu uno dei fondatori della Nuova secessione italiana, diventato poi Fronte nuovo delle arti  alla fine degli anni  Quaranta e Shozo Shimamoto, uno dei più importanti esponenti, e co-fondatore del Movimento artistico Gutai, che era nato nel 1954 in Giappone, nella regione del Kansai. Sono molti altri gli artisti che compongono questa carrellata che si articola nelle sale del museo grazie ad un  suggestivo allestimento che combina i rosa delle pareti, i bianchi delle sculture presenti, parte integrante dell’istituzione, e i rossi tendaggi alle finestre,  e crea uno scrigno dove le opere possono essere ammirate in tutto il senso di piacevolezza ed armonia che appartiene a loro. Carla Accardi, Afro, Renato Birolli, Alberto Burri, Lucio Fontana, George Mathieu, Ennio Morlotti, Sadamasa Motonaga, Nohara Motonari, Shuji Mukai, Achille Perilli, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso, Mark Tobey, Yasuo Sumi, Tancredi sono solo una parte dei pittori presenti a questa rassegna che ha  il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano e  la curatela di  Matteo Vanzan ed Enrica Feltracco. L’esposizione  prosegue il  racconto per immagini di alcuni dei principali movimenti artistici, culturali  ed esponenti del 900’, da Andy Wahrol  a Mario Schifano e poi Woodstock, che il Museo ha dedicato a loro negli ultimi anni. Una galleria pubblica che raccoglie al suo interno tanti brani di storia e di arte di molte persone che hanno amato questa cittadina che si arrocca fra i colli: dai reperti canoviani, alle tele del vedutista Bernardo Bellotto, dalle sale dedicate al periodo romano di Asolo allo  spazio destinato  a tre importanti  donne che qui hanno vissuto: la principessa veneziana Caterina Cornaro, l’attrice di teatro Eleonora Duse e la grande viaggiatrice britannica Freya Stark. E così quando in un pomeriggio domenicale, noi saliamo a piedi l’ampia e lunga salita che ci conduce dal parcheggio nella bella piazza centrale da cui si gode una delle caratteristiche viste panoramiche, i nostri polmoni non possono non respirare un’aria speciale che risuona  degli echi di una  storia vicina e lontana. Ora nel museo, il segno nero delle tele pittoriche di Emilio Vedova che vediamo  spiccare  nelle prime sale,  mostra tutto il magma racchiuso nell’anima dell’artista che egli riordina nella sua visione traducendo così il pathos dei grandi eventi. Quel nero emoziona non meno, anche se in maniera diversa, delle superfici bianche e nere di Edouard Manet  nella Colazione o nell’Atelier. Quel colore ci parla ora di energia, di movimento necessario e di scontro di linee e forse non solo di esse, di passione avvolgente e rotolante nel colore che s’impasta. Il suo collega giapponese, racconta in maniera diversa, quel sentire nuovo, specchio di un mondo che è stato segnato da una forte cesura. Tutto il Movimento Gutai, a cui appartiene Shimamoto, lancia un nuovo fare artistico: il proprio corpo o singolari strumenti come armi da fuoco, elicotteri, gru o abachi per trasportare il colore.  Shimamoto sparerà bottiglie di tinte diverse sulle tele: uno scoppio di macchie e filamenti che aprono nuovi spazi  luminosi che sembra possibile abitare. La ricerca di nuovi luoghi senza confini dove può regnare forse la felicità o forse no. Lucio Fontana taglia la sua tela verde, per guardare oltre quella che potrebbe essere una distesa prativa e Giuseppe Santomaso nella sua poeticità di cantore veneziano disegna geometrie invisibili di una Venezia sospesa fra cielo e mare.  L’abbandono del figurativo tradizionale non elude i significati dell’esistere ma li reinterpreta alla luce delle recenti esperienze. L’artista è diventato ora cartina al tornasole della qualità della vita, posata con noncuranza, sul piattino dell’ingresso. La rassegna rimarrà aperta fino al 15 novembre 2020.                

Patrizia Lazzarin, 1 settembre 2020                                                                      

 

 

 

 

 

""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""</p>"</p>"</p>"</p>"</p>"

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Newsletter

. . . .