Carla Accardi, una donna all'avanguardia

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Se proviamo a far scorrere su un tapis roulant verticale le immagini delle opere di Carla Accardi, in mostra ora a Milano al Museo del Novecento, l'effetto è quello di una una giostra dai toni ora luminosi ora bui, ora ancora vivaci: forme di ogni genere, quadrati, triangoli, finestre, colori che diventano protagonisti, motivi che si inseguono e riempiono gli spazi e i nostri occhi. Un'unica parola, fantasmagoria, è idonea a riassumere la sensazione ricevuta, pari agli esiti delle piroette di una lanterna magica sopravvissuta ad una rivoluzione. Carla Accardi, (1924-2014) artista trapanese, è stata una grande astrattista, riconosciuta a livello internazionale, fatto questo ancora più significativo, se consideriamo la temperie culturale degli anni in cui lei ha esordito, ancora così scarsamente pronti a riconoscere i meriti artistici delle donne. La mostra vuole porre in rilievo le tappe creative di Accardi ed analizzare questo fatto riferendosi soprattutto agli ambiti in cui ha operato. Tante sono le relazioni, le fascinazioni ricevute e le idee che si sono fuse nella suo immaginario e che hanno contribuito agli esiti che ha raggiunto. Tracciare poi la storia delle sue principali esposizioni, come si è cercato di fare nell'occasione di questa esposizione che è la prima monografica dedicata da un'Istituzione pubblica, a sei anni dalla sua morte, è un modo anche per studiare l'evoluzione del suo fare artistico, dalle personali romane degli anni Cinquanta a quelle parigine, dalla Biennale del 64' fino alle prime retrospettive, a partire da quelle ravennati. La giovane Accardi il quindici marzo del 47', nell'ambito del dibattito fra Astrattisti e Realisti, firmò con il gruppo costituito dagli artisti Antonio Sanfilippo, che fu anche il suo compagno, Pietro Consagra, Giulio Turcato, Piero Dorazio, Achille Perilli e Mino Guerrini, il Manifesto del Gruppo Forma. Le prime esposizioni che ebbero rilievo le condividerà assieme a loro. Il quadro Scomposizione del 1947 si lega proprio alla fase più geometrica che caratterizzò il gruppo che fu vicino per sensibilità alle avanguardie e aperto ad un'arte internazionale. Lo racconta la stessa artista: dipingevo dei triangoli che s'incrociavano; come padri artistici [...] i grandi astrattisti dell'inizio del secolo: Kandinskij, Klee, Mondrian [...] e i futuristi: Boccioni, Severini, e per me, soprattutto Balla... In verde blu, tela del 1949 abbandona le griglie fatte di luce e colore e predilige le forme più curvilinee che si avvicinano a quelle create da Jean Arp ed Enrico Prampolini. In esse emerge il vitalismo e il desiderio di aprirsi ad un racconto per immagini. Il 1953 è l'anno in cui incomincia a prediligere lo studio, uno studio matto, a partire dal quale rallentano le esposizioni. E' il periodo dei Negativi, che segue alla partecipazione al gruppo Forma, quando inventa un nuovo linguaggio costituito da segni bianchi su fondo nero. Arciere nel 1955 nasce da questa crisi: il segno tracciato per terra era come un segno lasciato sulla sabbia; l'ho creato in un azzeramento culturale. Dopo la partecipazione al gruppo Forma avevo cercato un mio linguaggio [...] ma non avevo trovato un'espressione che mi appartenesse veramente. Questa espressione è nata in quel momento e non la devo a nessuno. Michel Tapié inserirà Carla Accardi, in una recensione, nel gruppo dell'informel o art autre, con gli americani Pollock e Tobey, i francesi Mathieu, Riopelle e Wols. NelLe zanne del mammuth, Animale immaginario del 1954 compare il motivo bio e meccanico nato dall'ispirazione successiva alla visita del Musée de l'Homme a Parigi. Si origina da qui l'idea di incastri di forme di carattere arcaico da lei sviluppate in una direzione più segnatamente geometrica e in una più antropologica. Alla fine degli anni Cinquanta nella serie delle Integrazioni o Labirinti e dei Settori i segni nelle sue tele si raggruppano in strutture e si infittiscono: le sue creazioni diventano di grandi dimensioni e si ricollegano nell'immaginario alla cartellonistica pubblicitaria o al fotogramma cinematografico. Negli anni 60' si situa la sua svolta coloristica visibile nella rassegna, nella tela A strisce del 1963, dove il segno diventa minuto, ma si ripete. Strisce orizzontali di colore si relazionano nei toni di una bicromia vivace che varia in continuazione e ha suggerito un'interpretazione della sua ricerca visiva in direzione calligrafica. Verso gli anni 70' si orienta verso quella che possiamo definire l'antipittura di matrice concettuale e si avvicina alla tematica di genere che si lega alla sua militanza femminista nel gruppo Rivolta, costituito a Roma nel 70' con Carla Lonzi ed Elvira Banotti. Già dal 1965 adotta vernici fluorescenti che stende su sicofoil, un materiale plastico trasparente, allora venduto a rotoli, dove lei dipingeva motivi che si fondevano con il supporto e che nel momento che veniva attraversato dalla luce realizzava l'effetto di pittura espansa. Tenda del 1965 è un'opera pioneristica che indaga da un lato sul tema dello spettatore attivante e dall'altro sul tema del femminile, grazie alle caratteristiche di trasparenza della tenda, intesa come rifugio ma, al tempo stesso oggetto, prodotto con materiale tipico della società dei consumi. A Gent abbiamo aperto una finestra è un grande lavoro sulla parete del 72', opera immersiva dove si semplifica la gamma cromatica: molti grigi, bruni, argenti ed ori. Riprende qui l'immagine albertiana del quadro come finestra sul mondo, ma Carla Accardi si ricollega anche ai maestri dell'avanguardia come Duchamp e Matisse. L'artista dipinse, in quest'opera come in molte altre, i fogli di sicofoil con i suoi motivi a coda di rondine e nell'86' li montò in una casa di Gent. Si veniva a costituire, attraverso il sicofoil e i segni tracciati, un gioco di riflessi e un effetto di vibrazione, dove il telaio visibile in trasparenza, manteneva un ruolo fondamentale. La serie dei Trasparenti a metà degli anni 70' appartiene alla fase più concettuale dell'Accardi dove il colore scompare e le opere sono costituite da bande di sicofoil trasparenti intrecciate. Mentre la superficie manca o è traslucida, il telaio diventa, spesso dipinto, la base di installazioni complesse. Nel 1977 si allontana dal movimento femminista per dedicarsi in prevalenza alla pittura. Negli anni Ottanta sulla scia del fascino di Matisse realizza grandi tele con morbide campiture di colore. Pur muovendosi in accordo con il coevo movimento della Transavanguardia rinasce qui lo spirito di Accardi che fin dagli esordi si era distinta per i suoi tratti decisi, per la ricerca cromatica - luministica e la curiosità per la cultura figurativa orientale. Nelle Geometrie analitiche degli anni 90' sembra tornare sulle tracce dell'arte concettuale di Sol Lewitt, ad una pittura più intellettuale, forse più fredda che sul finire della sua vita e all'inizio del XXI secolo, viene superata da opere che recano titoli lirici che si rifanno alle sue letture poetiche. La mostra, promossa dal Comune di Milano e curata da Maria Grazia Messina e Anna Maria Montaldo con Giorgia Gastaldon sarà visitabile fino al 27 giugno 2021.

Patrizia Lazzarin, 21 ottobre 2020

 

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Vedova Shimamoto, Informale da Occidente a Oriente

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Una parola, un segno calligrafico, una chiazza rossa di sangue o una luce verde che lampeggia di fronte a noi, hanno un significato e traducono emozioni. Nel movimento della linea curva o longilinea che noi seguiamo con lo sguardo perché ci incuriosisce, anche se non individua una forma a noi nota, cerchiamo il filo di Arianna di una storia che vorremmo scoprire e che forse proviene da assai lontano, alle radici di quell’uomo o donna che siamo oggi, arrivando fino  a quelle figure propiziatorie tracciate dai nostri antenati sulle pareti delle caverne. La rassegna che ha aperto al pubblico nel Museo Civico del suggestivo borgo di Asolo il trenta agosto, dal titolo  Vedova  Shimamoto, Informale da Occidente a Oriente,  vuole tornare a parlare di quel movimento che aveva rivoluzionato i canoni espressivi dell’arte  fra gli anni Quaranta e Sessanta del 900’, alla luce di  quei cambiamenti dovuti alla seconda guerra mondiale che aveva mandato in frantumi la società del tempo, come accade a un vetro rotto da una forte esplosione. L’arte informale aveva rinunciato a raccontare con i canoni del Realismo, aveva abbandonato su una sedia rimasta intatta dai bombardamenti l’ultima spoglia della figura umana e aveva gettato sulla tela tutto il subbuglio del mondo interiore che anche gli artisti avevano vissuto, sia nei campi da battaglia sia in esilio. Cristina Mondin, responsabile del Museo Civico di Asolo, conferma il desiderio di conservare la memoria e di far conoscere questo movimento che è stato espressione di un particolare momento storico. Un movimento globale che dagli Stati Uniti all’Europa e all’Oriente ha avuto differenti declinazioni di espressione raccogliendo anche e non solo le lezioni del Surrealismo, nel gesto puro che allontana il pennello e getta il colore sulla tela, o del Futurismo, nel dinamismo delle linee e nella rottura voluta con la tradizione. I protagonisti principali della mostra sono Emilio Vedova, l’artista veneziano, che fu uno dei fondatori della Nuova secessione italiana, diventato poi Fronte nuovo delle arti  alla fine degli anni  Quaranta e Shozo Shimamoto, uno dei più importanti esponenti, e co-fondatore del Movimento artistico Gutai, che era nato nel 1954 in Giappone, nella regione del Kansai. Sono molti altri gli artisti che compongono questa carrellata che si articola nelle sale del museo grazie ad un  suggestivo allestimento che combina i rosa delle pareti, i bianchi delle sculture presenti, parte integrante dell’istituzione, e i rossi tendaggi alle finestre,  e crea uno scrigno dove le opere possono essere ammirate in tutto il senso di piacevolezza ed armonia che appartiene a loro. Carla Accardi, Afro, Renato Birolli, Alberto Burri, Lucio Fontana, George Mathieu, Ennio Morlotti, Sadamasa Motonaga, Nohara Motonari, Shuji Mukai, Achille Perilli, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso, Mark Tobey, Yasuo Sumi, Tancredi sono solo una parte dei pittori presenti a questa rassegna che ha  il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano e  la curatela di  Matteo Vanzan ed Enrica Feltracco. L’esposizione  prosegue il  racconto per immagini di alcuni dei principali movimenti artistici, culturali  ed esponenti del 900’, da Andy Wahrol  a Mario Schifano e poi Woodstock, che il Museo ha dedicato a loro negli ultimi anni. Una galleria pubblica che raccoglie al suo interno tanti brani di storia e di arte di molte persone che hanno amato questa cittadina che si arrocca fra i colli: dai reperti canoviani, alle tele del vedutista Bernardo Bellotto, dalle sale dedicate al periodo romano di Asolo allo  spazio destinato  a tre importanti  donne che qui hanno vissuto: la principessa veneziana Caterina Cornaro, l’attrice di teatro Eleonora Duse e la grande viaggiatrice britannica Freya Stark. E così quando in un pomeriggio domenicale, noi saliamo a piedi l’ampia e lunga salita che ci conduce dal parcheggio nella bella piazza centrale da cui si gode una delle caratteristiche viste panoramiche, i nostri polmoni non possono non respirare un’aria speciale che risuona  degli echi di una  storia vicina e lontana. Ora nel museo, il segno nero delle tele pittoriche di Emilio Vedova che vediamo  spiccare  nelle prime sale,  mostra tutto il magma racchiuso nell’anima dell’artista che egli riordina nella sua visione traducendo così il pathos dei grandi eventi. Quel nero emoziona non meno, anche se in maniera diversa, delle superfici bianche e nere di Edouard Manet  nella Colazione o nell’Atelier. Quel colore ci parla ora di energia, di movimento necessario e di scontro di linee e forse non solo di esse, di passione avvolgente e rotolante nel colore che s’impasta. Il suo collega giapponese, racconta in maniera diversa, quel sentire nuovo, specchio di un mondo che è stato segnato da una forte cesura. Tutto il Movimento Gutai, a cui appartiene Shimamoto, lancia un nuovo fare artistico: il proprio corpo o singolari strumenti come armi da fuoco, elicotteri, gru o abachi per trasportare il colore.  Shimamoto sparerà bottiglie di tinte diverse sulle tele: uno scoppio di macchie e filamenti che aprono nuovi spazi  luminosi che sembra possibile abitare. La ricerca di nuovi luoghi senza confini dove può regnare forse la felicità o forse no. Lucio Fontana taglia la sua tela verde, per guardare oltre quella che potrebbe essere una distesa prativa e Giuseppe Santomaso nella sua poeticità di cantore veneziano disegna geometrie invisibili di una Venezia sospesa fra cielo e mare.  L’abbandono del figurativo tradizionale non elude i significati dell’esistere ma li reinterpreta alla luce delle recenti esperienze. L’artista è diventato ora cartina al tornasole della qualità della vita, posata con noncuranza, sul piattino dell’ingresso. La rassegna rimarrà aperta fino al 15 novembre 2020.                

Patrizia Lazzarin, 1 settembre 2020                                                                      

 

 

 

 

 

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