Dentro l’invenzione del Rinascimento

Dentro l’invenzione del Rinascimento

La Fabbrica del Rinascimento, il titolo a caratteri cubitali che campeggia sui manifesti che presentano la nuova mostra che si è inaugurata  nell’antica Basilica Palladiana a Vicenza, fa propria l’etimologia della parola latina fabrica che sta ad indicare l’officina, luogo dove  si costruisce in maniera continua ed incessante per la creazione di nuovi manufatti. Essa ci cala dentro i fermenti della progettazione e dell’ideazione di una città che a metà del Cinquecento mirava ad offrire una nuova immagine di se, specchio anche dell’accresciuta ricchezza economica che aveva nella produzione e nel commercio della seta uno dei suoi fiori all’occhiello. Solo leggendo il sottotitolo della rassegna che recita: Processi creativi, mercato e produzione a Vicenza e  i nomi di Palladio, Veronese, Bassano e Vittoria che fanno da corollario, possiamo intuire a chi va il merito di quel processo di trasformazione che modificò il volto di un territorio. Una volontà di novità che recupera la lezione dell’antico e di Michelangelo e Raffaello per offrire una nuova concezione dell’abitare e dell’essere dell’uomo nel mondo. Questa straordinaria operazione legò in maniera molto stretta artisti e committenti, come stanno anche a testimoniare le parole riprese dal Palladio e che si leggono sulle pareti  che circondano le opere in mostra. Esse ci spiegano l’accoglienza data e compresa da questi ricchissimi mecenati. “Appresso coloro che conoscono quanto sia difficil cosa lo introdurre una usanza nuova, massimamente di fabricare, io sarò tenuto molto aventurato, avendo ritrovato gentiluomini di così nobile e generoso animo et eccellente giudizio c’abbiano creduto alle mie ragioni …“ Dentro quel grande contenitore di immagini e cose che è la Basilica Palladiana, uno scrigno che può conservare già in potenza ori e gioie, brillano nella luce, i modelli delle costruzioni dell’architetto vicentino che rinnovano la grandiosità del mondo romano e allo stesso modo mostrano un’interpretazione coerente del luogo dove venivano edificate, legandosi all’ambiente con armonia e senso della bellezza. Viene misurandosi così un nuovo spazio dove si sente quasi, come in un eco, il calpestio in lontananza di quei signori che ebbero la fortuna di vivere fra le mura di quei palazzi. Sono palazzi d’imperatoria spesa, come recitano le fonti che cita lo studioso Edoardo Demo, Palazzo Thiene, Palazzo Barbaran, Palazzo Valmarana, Palazzo Chiericati  e il distrutto Palazzo Piovene. Sono le ville e i palazzi che noi vediamo nei modelli in esposizione, nitidi nelle loro forme, investiti di grande forza strutturale, come Palazzo Porto, di cui possiamo ammirare anche un disegno dello stesso architetto che mostra due varianti per la facciata, che il mecenate era invitato a  considerare, per comprendere a monte dell’ideazione, la bontà e/o la  necessità della futura messa in opera. Luoghi che, come la villa Barbaro a Maser, venivano spesso affrescati da un artista  d’eccellenza come Paolo Veronese, che proprio in quell’edificio seppe porre in relazione, grazie ai suoi affreschi, le sale dell’interno con i giardini; e di cui, ammiriamo  nella Basilica Palladiana anche i grandi ritratti, da lui dipinti, di Iseppo Porto e di suo figlio Leonida e quello di Livia Thiene Porto e di sua figlia Deidamia. In essi  appaiono da un lato la naturalezza e spontaneità dei bambini: ripresa quasi fotografica del reale, dall’altra si evidenziano il ruolo e il potere dei personaggi rappresentati, nella ricchezza delle vesti adornate di pellicce che richiamano la tradizione fiamminga. Ciò che colpisce in Veronese, rimane in primis, guardando un altro pezzo forte esposto in mostra: una grande tela che raffigura “L’unzione di Davide”, è il senso della plasticità propria del pittore e anche il senso del movimento, che sembrano nascere l’una dalla sua formazione di lapicida e l’altro essere tratto dalla stessa vita reale. Gusto dell’antico che osserviamo anche  in tutte quelle sculture dipinte che Veronese dissemina nel quadro. Vicenza si apre alla modernità e questo è chiaro in un altro artista, Jacopo Bassano, di cui abbiamo la fortuna di vedere in rassegna più opere: alcune  anche con lo stesso soggetto, come nel caso dell’Adorazione dei Magi. Esse provengono da due musei diversi, quello di Birmingham Museums Trust e dal Kunsthistorisches Museum di Vienna e  differiscono solo, per le sfumature dei colori.  Accanto ai due pittori e ad un architetto si muove come protagonista,  anche lo scultore Alessandro Vittoria che sarà al servizio degli stessi committenti. Il suo classicismo si vena del manierismo del Parmigianino nella piccola scultura che rappresenta la Fortezza. Ottanta sono le opere esposte in questa mostra che ci restituisce uno spaccato della vita artistica della terraferma veneta, dal 1550 fino alla fine del secolo. Essa che ha  la curatela di Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Mattia Vinco e viene sviluppata e spiegata  nelle pagine scritte da numerosi studiosi nel catalogo edito da Marsilio Arte, è stata promossa dal Comune di Vicenza, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio e la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza. Un suo aspetto curioso e sicuramente un po’ spassoso, è la monetizzazione a cui è stata sottoposto ogni oggetto che avremmo potuto comprare in quel tempo e luogo. Accanto alle opere d’arte e non solo, i visitatori troveranno nelle didascalie, dei piccoli maiali, i mezanotti, animali di taglia media che costavano intorno ai tre ducati l’uno. Verremmo a conoscenza così del valore,  un tempo, di edifici e dipinti, ma anche vedremo tabelle con esempi del costo di beni di consumo, come ad esempio il pane o di lusso, come i guanti. L’esposizione visibile dall’undici dicembre, rimarrà aperta al pubblico fino al 18 aprile 2022.

Patrizia Lazzarin, 11 dicembre 2021

   

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