A Siena, fra integrazione, interazione sociale e linguistica.

A Siena, fra integrazione, interazione sociale e linguistica.

Un convegno dal titolo “L’italiano dei nuovi italiani” si è tenuto ai primi di aprile a Siena: città simbolo di una possibile e auspicabile continuità fra tradizione e innovazione, un tempo testimone della neonata lingua italiana e oggi crocevia di tante lingue straniere, con la sua prestigiosa Università per Stranieri e le ricerche sull’integrazione linguistica dei nuovi arrivati, ma soprattutto delle loro possibilità di cittadinanza. Il Convegno, organizzato da una associazione di insegnanti (GISCEL), ha affrontato tante tematiche: le potenzialità che possono venire dal multilinguismo nella società e nella scuola italiana; gli apporti della linguistica acquisizionale; lo studio di soluzioni di una lingua “franca”; le riflessioni metalinguistiche dei nuovi immigrati; la presenza e il ruolo dei dialetti; esito del “contatto”in prove Invalsi; gli interventi inclusivi in ambienti multiculturali.

Da ogni parte del mondo si emigra nel nostro Paese. Con la presenza sul nostro territorio di oltre 200 lingue si devono creare le condizioni  per una interazione piuttosto che per una semplice integrazione, per dirla con le parole di Gustavo Zagrebelsky (citate da Tullio De Mauro nella sua introduzione ai lavori). Questo neo-plurilinguismo della società italiana può essere la spinta per un nuovo progetto linguistico-educativo più generale. E’ importante, però, nel contempo, conservare le lingue degli immigrati, sia in una prospettiva di cittadinanza europea, sia in una visione di cooperazione educativa, ma anche commerciale futura, con i loro Paesi di provenienza. Senza dimenticare, infine, che il multilinguismo è una chance per lo sviluppo intellettivo dei bambini; cosa che è stata ben capita nella realtà delle nostre scuole, ma molto meno dalle istituzioni!

Tante e interessanti le ricerche presentate al Convegno, ad opera di ricercatori universitari e insegnanti di vari ordini di scuole.

Un’ indagine sociolinguistica condotta a Udine, al fine di monitorare e  rafforzare le azioni finalizzate a una più solida integrazione linguistica nell’ambiente scolastico, ha evidenziato che: le donne si rivolgono di più al sistema formativo; solo il 42% possiede un repertorio linguistico costituito da  più lingue oltre a quella di origine; sono più ricchi i repertori linguistici degli immigrati extra europei e sono più forti i loro legami con la terra d’origine, come rivela la volontà di trasmettere la lingua d’origine ai successori.

Durante l’a.s. 2014/2015, gli alunni stranieri con cittadinanza non italiana presenti nel nostro sistema scolastico hanno superato le 800 mila unità. Secondo gli ultimi dati Istat (2014), per il 38,5% dei nuovi italiani dai sei anni e più l’italiano costituisce la lingua prevalente in famiglia, a fianco di un uso diffuso delle lingue di origine. Sono soprattutto i minori (6-17 anni) a parlare italiano in famiglia, seppure con evidenti differenze legate alle specifiche provenienze e ai percorsi migratori.

Circa 102 mila unità di questi ragazzi stranieri sono di nazionalità marocchina (al terzo posto per consistenza numerica). Il mondo arabo è comunemente ritenuto un’area unitaria, sia dal punto di vista culturale e religioso che, soprattutto, linguistico. In realtà, vi è una variabilità molto articolata: arabo classico, arabo standard moderno, marocchino moderno con la sua varietà dialettale, minoranze linguistiche come il berbero (con una struttura differente dall’arabo). Tale eterogenea dimensione sociolinguistica plurilingue potrebbe essere occasione di riflessione per gli insegnanti al fine di impostare efficacemente il percorso didattico dell’insegnamento dell’italiano L2 (da apprendere come lingua straniera) a ragazzi considerati semplicemente “arabofoni”.

L’educazione linguistica, invece, è ancora fortemente ancorata al paradigma monolingue, secondo il quale le lingue sono entità separate, senza la valorizzazione della lingua di provenienza degli alunni e senza occasioni di didattica integrata delle lingue da parte degli insegnanti. Un fatto è certo: nei risultati di apprendimento emergono difficoltà nella comprensione e nella produzione scritta, come nella quotidiana attività scolastica si riconosce un gap tra performance di alunni nativi e alunni stranieri, questi più penalizzati, magari anche solo dalla densità informativa delle domande. Sarebbe anche necessario in molti casi rendere i docenti di italiano capaci di diagnosticare l'interlingua (quella fase provvisoria, intermedia nella quale convivono, influenzandosi reciprocamente, la lingua madre e quella che si sta apprendendo) dei loro allievi e le loro esigenze formative, modificando la tradizionale e sanzionatoria concezione dell’errore. In alcune situazioni l’acquisizione dell’italiano come seconda lingua, comporta non solo l’interiorizzazione di una grammatica e di un lessico, ma anche l’appropriazione di una competenza sociolinguistica variazionale, che include la capacità di adeguare registro e livello linguistico alla situazione comunicativa.

Tanti i possibili interventi proposti per le classi plurilingui.

Dalla lettura di brevi racconti, analizzati in piccoli gruppi e con frammenti tradotti ai compagni nelle lingue native dei ragazzi (cinese, rumeno, arabo …), alla spiegazione di un argomento di scienze, attraverso la narrazione storica delle fasi che hanno condotto alla scoperta scientifica, con miglioramenti nei test di controllo delle conoscenze. Anche l’attività in piccoli gruppi, per la pianificazione, la produzione e la revisione di testi scritti, ha portato nel corso di tre anni ad accrescere le competenze testuali di ragazzi di alcune scuole medie, in particolar modo quelle relative alla coerenza e alla coesione del testo, con prestazioni nettamente superiori da parte degli alunni “nuovi italiani”.

Se la percentuale di alunni stranieri (o “con cittadinanza non italiana”) nelle scuole del nostro Paese è del 9%, la natura delle classi è composita, anche per tanti tipi di diversità: BES (ragazzi con bisogni educativi speciali), ragazzi che provengono da nuovi contesti familiari (affido, comunità …), da situazioni socio-culturali deprivate, o, all’opposto, da realtà familiari eccellenti, DSA (disturbi specifici dell’apprendimento); accomunati tutti dal rischio di sentirsi estranei al vissuto scolastico. Ne deriva, all’interno delle classi, una forte varietà culturale ed un vivace plurilinguismo caratterizzato dalla stratificazione sia di lingue diverse, compresi i dialetti locali, sia di diversi registri interni alla lingua italiana.  Per questo, l’apprendimento/insegnamento dell’italiano L2 agli alunni stranieri potrebbe essere facilitato dall’antologia multiculturale Lingua, Identità, Cultura in Adolescenza, pubblicata sulla piattaforma didattica digitale Didasfera (www.didasfera.it). È un testo gratuito, di libero accesso, che pone particolare attenzione agli alunni in difficoltà (DSA, disabili, BES, stranieri), offrendo alcuni modelli di esercizi facilitati accanto agli esercizi standard, operando in un’ottica di didattica inclusiva. 

In definitiva, la scuola e la società più in generale possono e devono fare ancora molto perché i “nuovi italiani” diventino a tutti gli effetti “italiani”. I risultati si vedranno solo con le capacità di ascolto, la scoperta della varietà linguistica individuale degli alunni, la valorizzazione della ricchezza linguistica di ogni componente della classe e. soprattutto, una didattica inclusiva, che valorizzi invece di escludere, confermando come ‘uno dei bisogni umani più profondi sia quello di essere riconosciuto’.

Una volta soddisfatto questo bisogno, è possibile aprirsi all’accoglienza e alla pluralità.

Clara Manca, Cidi-Giscel, 2 maggio 2016

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