di Agostino Roncallo
Era anche l’epoca delle grandi chanteuses. Tra le sue voci preferite c’era quella della parigina Roberte Marna, voce suadente, forse la migliore interprete del “Bal Defendu” di Vincent Scotto. Quest’ultimo era un compositore marsigliese, autodidatta, studente presso i padri maristi e poi trasferitosi a Parigi dove, aveva dato sfogo alla sua creatività. Un giorno George Brassens disse che “avrebbe messo da parte Wagner pur di ascoltare una canzone di Scotto”. Il sospetto è che Brassens non amasse molto Wagner.
Si cantava e si ballava nei café parigini. Giacomo passava intere serate nei café-chantant, raccoglieva e conservava i libretti con la musica e le parole. A Thézey, Renée Thiebaut gli chiedeva spesso di portarle o mandarle qualcuna di queste arie tanto di moda, e lui faceva il possibile per soddisfarla. La famiglia Thiébaut: Elisa, Renée, Ciryl, Emile, che fine avranno fatto?
La storia di Giacomo è fatta di passioni, prime fra tutte l’amore e la libertà. Il desiderio di libertà lo aveva spinto ad aderire al socialismo e al sindacato dei lavoratori, spesso si soffermava a pensare all’Italia e a come doveva essere la vita laggiù, negli anni della dittatura fascista. Un giorno aveva trovato nella sua cassetta postale un documento che ha sempre conservato gelosamente: si trattava del manifesto programmatico del “cartello” socialista che tra il 1924 e il 1926 aveva raccolto in un’unica coalizione i socialisti, i socialisti radicali e i socialisti repubblicani. Aveva aderito con entusiasmo a quelle idee che, parlavano di pace, di giustizia sociale. Trovava simpatico il primo ministro Aristide Briand che voleva la soppressione immediata del consiglio di guerra e tentava di portare le istituzioni democratiche anche nelle colonie. Di quel documento leggeva e rileggeva un passo che lo riguardava personalmente: «Riguardo alla manodopera straniera, noi pensiamo che essa non debba essere considerata concorrenza dai lavoratori francesi e che il paese deve mostrarsi accogliente nei confronti dei perseguitati dalla politica reazionaria e fascista».
Purtroppo però nel 1926 quel “cartello” si sciolse: la crisi finanziaria che il governo doveva affrontare era forte e per superarla i socialisti avevano proposto di tassare le “ricchezze acquisite”. Tra gli industriali e i capitalisti fu il panico e, nell’aprile del 1926, i socialisti persero le elezioni e l’unione si divise. Era la fine di un sogno.
La vita del resto è un flusso incessante di sogni che iniziano e finiscono, così come gli amori: Berthe, Marie Louise, Léontine, Rose, Georgette, erano tutte impresse nella sua mente: «Caro amico, a Domenica. Grazie per la tua lettera. Verso le dieci e mezza al caffè di cui abbiamo parlato. Marie Louise». Qual era questo caffè ? Forse quello della Bastille, lo stesso in cui aveva dato appuntamento a Berthe poco tempo prima? Era eccentrica Berthe, un tipo un po’ intellettuale, ma piena di slanci emotivi. L’aveva lusingata scrivendo parole cui lei voleva credere: «Mio piccolo adorato, ho ricevuto la tua dolce lettera e mi fa piacere di vedere che tu pensi a me. Spero che tu sia sincero. Quanto a me, io ti amo molto e sarei molto felice di vivere un giorno con te. Termino con questi buoni sentimenti e a domani. Baci, Berthe». Sono parole scritte il 10 Aprile 1925, quel giorno Edouard Herriot lasciava la presidenza del consiglio a Paul Painlevé, tutti i giornali ne parlavano ma Giacomo era, distratto, pensava all’amore. Era anche il giorno in cui venne pubblicato il “Grande Gatsby” di Fitzgerald, la storia di un amore che finì in catastrofe. Un brutto presagio. Una fotografia ci mostra Giacomo insieme a una ragazza a bordo di uno dei primi monoplani Blériot. Ma è solo un trucco, da parco dei divertimenti: i loro sguardi non sono gioiosi, lui abbozza un leggero sorriso, lei appare preoccupata. Forse è proprio lei Berthe oppure si tratta di Rose, Rose Castel?
A Rose aveva dato una sera appuntamento a Porte de Clichy ma non si era presentato o, meglio dire, era arrivato in ritardo e lei non aveva potuto attendere a lungo. Il tempo era inclemente e la pioggia spinta dal vento rendeva inutili gli ombrelli. Lei abitava in Rue des Martyrs 79 bis, una strada suggestiva, poco lontana da Pigalle: forse si erano conosciuti al “Divan japonaise” un locale notturno al numero 75 che era molto amato da Toulouse Lautrec ed era gestito dal poeta Jean Sarrazin.
Léontine invece abitava e lavorava in un hotel di Saint Germaine en Laye, una località a pochi chilometri da Parigi, prestigiosa per la residenza reale fatta costruire da Enrico II. Bel luogo Saint Germaine, ancora oggi, con la sua foresta di alberi millenari e lo sfarzo misurato delle residenze fatte costruire nel corso dei secoli da capi di stato e personaggi altolocati. Proprio in questa cittadina Giacomo era arrivato in treno una fredda sera di Gennaio del 1925. Ma Léontine non c’era ad aspettarlo. Aveva allora deciso di fare una passeggiata e passare davanti alle finestre dell’albergo in cui lavorava: fu allora che la riconobbe da lontano, attraverso i vetri di una finestra. Quella sera, i padroni della locanda non le avevano dato il permesso di uscire e lei, lei era di cattivo umore per questo. Quel tempo uggioso, i rari passanti, il volto di lei incorniciato per un attimo nella luce di una finestra, il senso di una domenica trascorsa inutilmente, lo avevano profondamente rattristato. Non rimaneva che tornare a Parigi e fare un bagno caldo dopo una giornata così fredda: la mattina dopo lo aspettava il lavoro in cantiere.
2 GIUGNO 2025
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