Mattarella spegne le aspirazioni trumpiane di Meloni

La Meloni sempre di fronte ad un bivio, deve scegliere da che parte stare

Il Capo dello Stato vuol ben sperare che la presidente del Consiglio non modificherà la politica estera del nostro Paese acconciandosi a fare dell’Italia una cameriera di The Donald e acquiescente nei confronti dei suoi propositi illiberali: ma già formulare un auspicio evidenzia un certo scetticismo di fondo sul fatto che questo auspicio s’inveri. Perché sa bene, il Capo dello Stato, che Meloni ha perso via via autorevolezza, ruolo e autonomia. Il commento di Mario Lavia su Linkiesta.

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Le due maschere di Meloni

La Meloni è rimasta fuori dai giochi delle nomine e adesso?

C’è una commedia di Pirandello intitolata “La signora Morli uno e due”. Se al nome “Morli” sostituiamo “Meloni” abbiamo la fotografia della penosa situazione in cui si trova la presidente del Consiglio italiana a una settimana dalla votazione del Parlamento europeo per la conferma di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea (...) Il gruppo meloniano, tra l'altro umiliato dai "Patrioti" parafascisti cpitanato da Viktor Orban, con madame Le Pen e Matteo Salvini al seguito, è tenuto ai margini dal grande accordo europeo per la semplice ragione che non si è staccato dalla destra nella quale peraltro è in minoranza. L'operazione dei Conservatori pertanto è risultata come una scorciatoia trasformistica che le tre grandi famiglie democratiche non hanno avuto difficoltà a smascherare, così che il cordone sanitario è scattato anche per loro.Il commento di Mario Lavia su Linkiesta.

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Passa il primo step della riforma costituzionale, la destra gongola!

Scrive Massimo Franco sul Corriere della Sera: "Il voto europeo non sembra avere svelenito il clima del Paese: né nella maggioranza né tra le opposizioni. Il modo in cui avanzano in Parlamento autonomia regionale e premierato è segnato da forzature di una destra che si sente incontrastata, e da pregiudiziali degli avversari pronti al muro contro muro con manifestazioni e appelli di costituzionalisti. Le parole d'ordine sono connotate da toni trionfalistici e allarmisti comunque fuori luogo, dopo l'astensionismo-record delle Europee. La Lega che si prepara a organizzare una «piazza veneta» per rivendicare la «sua» riforma, sembra non rendersi conto di accentuarne il carattere di parte. E le accelerazioni che continua a imporre al Parlamento, come se temesse di essere lasciata indietro rispetto all'elezione diretta del premier voluta da FDI, mostrano un affanno e una diffidenza di fondo tra alleati. Anche perché Meloni da ieri può rivendicare il primo «sì» del Senato al premierato. «Fine dei giochi di Palazzo», annuncia il suo partito al proprio elettorato: promessa mantenuta. Ma per paradosso si è ancora in una fase interlocutoria. Si assiste a una sorta di prova generale di un probabile referendum che non si celebrerà presto, ma già raffigura un'Italia lacerata e incapace di dialogare; e con un Parlamento sottoposto a tensioni crescenti. Il rischio che la Costituzione diventi un capro espiatorio è sempre più evidente. C'è da chiedersi, tra l'altro, se sia una scelta responsabile quella di acuire il clima dello scontro dopo le aggressioni alla Camera dei giorni scorsi, e le provocazioni reciproche. È un clima intossicato, che nelle ultime ore ha dovuto anche registrare le offese alla memoria di Giacomo Matteotti, vittima del fascismo mussoliniano; e perfino battute scherzose quanto indegne sullo sterminio degli ebrei. Sono fotogrammi di un sistema politico incapace non solo di mediazioni, ma di controllare le derive estremistiche e addirittura il lessico di alcuni esponenti politici. Il risultato verosimile di questo disinvolto imbarbarimento sarà di accentuare il distacco dell'opinione pubblica, e di farsi male sul piano internazionale. Quanto accade nel negoziato con l'ue sulle cariche di vertice mostra un governo e una premier rafforzati dalle elezioni; eppure intrappolati in manovre nelle quali non si capisce se Meloni sia in grado di disegnare una strategia, o subisca quella altrui. Emergono la centralità del Ppe, ma anche i suoi contrasti interni; e uno scontro prevedibile tra la destra anti-Ue e filo-Putin, e quella che persegue invece la pace sostenendo l'ucraina. La domanda senza risposta è se questo favorirà o penalizzerà il protagonismo che l'esecutivo italiano rivendica, forte della sua coerenza atlantista''. Ma perchè Giorgia Meloni e i suoi consiglieri non hanno pensato ad un'Assemblea Costituente, eletta con suffragio universale, così come si era fatto subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale? Avrebbe avuto il compito esclusivo di elaborare la nuova Carta Costituzionale, apportando tutte le modifiche sostanziali con accordi rigorosamente bi-partizan e il gioco era fatto. Nel nostro meraviglioso Paese ci sono menti eccelse, avrebbero potuto dare uno straordinario contributo per risolvere una volta per tutte, uno dei problemi della vita degli esecutivi, la durata media dei governi che si sono succeduti da dopo-guerra ad oggi. Con Meloni e Salvini si è scelta una strada diversa, quella di di contribuire a spaccare un Paese già lacerato di suo. Dove vai a trovare i soldi per le tante promesse fatte in campagna elettorale? Le accise non dovevate abolirle? Le tasse non dovevate diminuirle? Con la semplice saparazione delle carriere tra giudici e pm, immaginate che davvero l'amministrazione della giustizia potrà essere più efficiente, rapida e sollecita alle istanze dei cittadini? Chi ha sale in zucca ne dubita, considerato quel che è accaduto nel passato. È da oltre un trentennio che si parla di riformare la burocrazia, si è fatto il falò di migliaia di leggi e regolamenti (ricordate il Calderoli-pensiero?), ma i risultati concreti non si intravedono. E intanto il debito pubblico cresce, giorno dopo giorno. Oggi si avvicina sempre più alla soglia dei 3 mila miliardi di euro. E l'Europa ci gurada, un po' attonita. Ed è di 100 miliardi di euro l'anno è la cifra che il ministro Giancarlo Giorgetti deve accantonare per pagare gli interessi su questo debito. Infine, il fabbisogno dello Stato per mandare avanti la macchina politico-amministrativ finanzea. Ogni anno, lo ha detto il responsabile delle finanze, bisogna chiedere agli investitori più di 400 miliardi di euro, altrimenti è bancarotta (senza giri di parole!). Rischio Argentina, rischio Grecia, rischio Paese delle banane! Un governo serio e responsabile dovrebbe affrontare questi problemi e non ipotizzare strampalate riforme.

Marco Ilapi, 19 giugno 2024

 

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