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Racconti

Se

di Agostino Roncallo

La mia esistenza continuava normale nella sua diversità. Una vita insicura del presente, inconsapevole delle trappole disseminate nella quotidianità. Alla mia mente compaiono due episodi che avrebbero potuto cambiare, nel senso più tragico, la mia vita e quella della mia famiglia. Mi andò bene, in entrambe le occasioni sarebbe bastato un nonnulla perché le cose volgessero al peggio: un attimo prima o un attimo dopo, un impercettibile movimento degli occhi,  un’esitazione, un dubbio. Il destino, se esiste, era sicuramente dalla mia parte.

Il primo di questi episodi avvenne a Pieve, quando andai a trovare l’amica Franca dalla quale mi recai per ritirare delle lettere in cui il fratello Fausto, partigiano azzurro, raccontava la battaglia di Migiandone, di come venne gravemente ferito, salvato e portato in Svizzera.  Erano belle, commoventi e per questo gliene avevo chiesto una copia. Decisi di mettere quelle lettere sul fondo della sporta nella quale, di costa, avevo messo i libri di scuola; l’avevo poi infilata nel manubrio della bicicletta e poi via, in fretta, verso casa. Stai attenta, disse Franca, se le trovano… Stai tranquilla, risposi, cosa vuoi che succeda, da qui a casa sono quattro passi. Fu mentre pedalavo verso casa che vidi un milite prendere il sole seduto su un muretto. Se lo avessi saputo, avrei fatto un altro giro ma ora, ora era troppo tardi e tornare indietro voleva dire attirare l’attenzione. Non rimaneva che proseguire, facendo l’indifferente.

Dove sta andando di bello? Quella domanda era arrivata, pesante come un macigno, proprio quando speravo di passare inosservata. Ma il suo tono non era inquisitorio e, forse, quel milite aveva solo voglia di fare due chiacchiere con una ragazza. Vado a casa, abito là. Cos’ha di bello nella sporta? Lettere di partigiani, risposi ridendo. La verità, in certe situazioni della vita, appare molto più improbabile della bugia: dire il falso è facile e comodo, dire il vero è spregiudicato. E io, nei miei sedici anni, ero , spregiudicata. Caspita, interessante, vediamo un po’ queste lettere! Allungò una mano, prese un libro, lo aprì. Dareius kai Parusatidos ghighnontai… ma sono scritti in greco! Certo, sono messaggi cifrati, risposi un po’ provocatoriamente. Bei tempi quelli della scuola, deve sapere che io sono diplomato e rimpiango quei giorni, ma lei cosa fa, porta a spasso i libri? No, sono andata da un’amica, essendo le scuole chiuse, abbiamo deciso di studiare assieme per non perdere l’anno. Scusi ma ora devo andare, si è fatto tardi e mi aspettano, arrivederci. Arrivederci, ma se la incontro nuovamente mentre va a studiare, mi piacerebbe venire con voi, magari potrei esservi di aiuto.

Durante questo dialogo, molti “se” affollavano la mia mente: se io avessi lasciato quelle lettere in mezzo ai libri, se quel fascista avesse sbirciato sul fondo della sporta, se le avesse lette… Ma tutti questi “se”, legati a impercettibili istanti e istinti della nostra esistenza, rimasero pure ipotesi.

7 giugno 2025

5. Continua

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