di Antonello Catani
Nonostante l’ampliamento di registri della finzione romanzesca, una lacuna, una sorta di insormontabile barriera psicologica sembra però frapporsi alla conquista di un realismo onni-comprensivo. Una parte considerevole della letteratura occidentale ha infatti sempre mostrato, e continua a mostrare, una curiosa reticenza, quasi una ripugnanza – di solito mascherata come ‘pudore’ – nei confronti della rappresentazione erotica esplicita e particolareggiata. Una parte, ovviamente, non tutta la letteratura, visto che la disponibilità a descrivere senza riserve anche le situazioni erotiche più scabrose è ben presente e rigogliosa in opere assai diverse e di ineguale spessore artistico, come sono per esempio certe opere di Luciano, i fabliaux, le Cent Nouvelles Nouvelles di De La Sale e i Ragionamenti dell’Aretino, oppure i romanzi francesi erotico-galanti del XVIII secolo, fino ai moderni Jouhandeau, Genet, Henry Miller, etc.
Ma vi è un piccolo particolare: anche in tempi assai vicini a noi, salvo rare eccezioni – rappresentate da opere come l’Ulisse di Joyce o L’amante di Lady Chatterley di Lawrence – il realismo erotico di tante opere cosiddette “trasgressive” si realizza in genere a spese di altri elementi, di tipo psicologico e al limite anche solo ambientale, di solito trascurati e lasciati in ombra. Al di fuori dei preparativi per arrivare all’agognato corpo amoroso, alla sua conquista e godimento e, insomma, al di fuori del rituale sessuale, sembra infatti che nient’altro esista. In tal modo l’incompletezza della rappresentazione appare altrettanto vistosa, se non più intensa di quella che esiste nella letteratura più tradizionale e conservatrice, dove avviene esattamente il contrario: il paesaggio, l’ambiente sociale, il carattere dei personaggi, i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro convinzioni politiche o magari il loro stesso abbigliamento potranno anche essere descritti minuziosamente, ma non il loro corpo, le loro fantasie e le loro esperienze erotiche, la cui rappresentazione è invece assente o comunque pudicamente filtrata. Come gli amanti vivano il loro desiderio, quali elementi concorrano a scatenarlo e a stimolarlo, che ruolo giochino in tutto ciò, oltre alle fattezze del corpo, anche i suoi odori, i suoi sapori e le sue secrezioni genitali, tutto ciò è in genere tralasciato, come se si tratti di elementi di secondaria importanza o comunque indecenti.
Ovviamente, questo tipo di censura e/o mancanza d’interesse descrittivo è in contrasto con la realtà quotidiana, dove, al contrario, proprio quegli elementi giocano un ruolo essenziale, cosa testimoniata, se non dall’immaginario letterario, almeno da brandelli sparsi di storia del costume. Le cortigiane dell’Europa medioevale, per esempio, allo scopo di attrarre i clienti, usavano ungersi orecchie e collo proprio con le loro secrezioni vaginali, allo stesso modo delle donne spagnole dello stesso periodo, che se ne ungevano anche la fronte. Tradizione analoga era del resto conosciuta alle amanti cinesi, mentre gli antichi indiani avevano elaborato una puntigliosa classifica delle varie forme di vagina, a ognuna delle quali corrispondevano odori e sapori differenti, così come a ogni stadio e tecnica dell’amplesso erotico venivano fatte corrispondere anche specifiche emissioni vocali, quali sospiri, mormorii, gemiti, urla, etc. Ma senza andare così lontano, pare che il fascino di certi odori e sapori non fosse ignoto neanche a personaggi famosi come Enrico Enrico III e Napoleone. Del primo, si racconta infatti che rimanesse tutta la vita innamorato di Maria di Cleves dopo aver odorato il profumo della sua biancheria intima. In quanto a Napoleone, sembra che in un’occasione egli abbia pregato Giuseppina di ‘non lavarsi’ fino al suo ritorno a casa.5
17 maggio 2025
5 Cfr. A. Edwardes, The Jewel in the lotus, New York, 1959, p. 161 e passim; Catherine Blackledge, The story of V. A natural history of female sexuality, New Jersey, 2004, pp. 226-227.
3. Continua