Quotidiano online

Arte e Cultura

La lingua (italiana) batte un colpo

di Clara Manca

Le Nuove Indicazioni 2025 e l’insegnamento dell’italiano

Nelle Nuove Indicazioni per la Scuola dell’Infanzia e Primo Ciclo di Istruzione (NI 2025) si afferma che “La lingua italiana costituisce il primo strumento di comunicazione e di accesso alla conoscenza”. Da qui emerge una visione avulsa dal contesto sociale e reale in cui opera la scuola. Si ignora la grande varietà linguistica dell’Italia, che va dalle varietà regionali di italiano alle forme popolari, dai dialetti, oggi più vivi che mai, alle altre lingue minoritarie riconosciute, per non parlare delle nuove lingue di immigrazione (presenti fra i banchi scolastici). La fonte di tale giudizio non viene da un gruppo di fanatici nostalgici degli anni ’70, ma dal sito della Treccani! 

Tutte le lingue vanno bene per consentire il diritto (costituzionale) alla parola. Ignorare le lingue materne, come si fa in questo documento, significa negare un principio dell’educazione linguistica democratica, che fa del retroterra linguistico la base di partenza di ogni ampliamento linguistico (vd. Le Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica del GISCEL). E proprio queste tesi del 1975, come il gruppo sorto intorno a Tullio De Mauro, “dovrebbero essere buttati dalla finestra” secondo le parole della Presidente della Commissione, perché colpevoli dei risultati negativi dei quindicenni italiani.

Ma quale modello viene proposto? Una visione monolingue, livellante e uniformante, in un Paese contrassegnato dal plurilinguismo. Si afferma, infatti, “Il patrimonio orale già posseduto dagli apprendenti può essere valorizzato come punto di partenza, anche se in certi casi andrà poi corretto o modificato (NI 2025, p. 37). Invece, come si afferma nelle Dieci Tesi citate, “la scoperta della diversità dei retroterra linguistici individuali dello stesso gruppo è il punto di partenza (…) di esplorazioni della varietà spaziale e temporale, geografica, sociale, storica, che caratterizza i componenti di una stessa società, (…) il primo passo per imparare a viverci in mezzo senza esserne succube e senza calpestarla.” .

Inoltre, nel documento ci si occupa solo della lingua scritta; non si tiene conto dell’oralità, che va insegnata a chi ha un idioma nativo diverso dall’italiano, sia con lingue materne di immigrazione che dialettali o popolari. Dovrebbe essere un obiettivo, invece qui ignorato, quello di praticare usi orali, formali e colti, per far sì che gli allievi diventino parlanti competenti. Quanto poi alla lingua scritta, essa deve essere presente “nelle forme   riconosciute come legittime dalla comunità colta”. Quale è, allora, il modello di riferimento proposto per insegnare l’italiano? La lingua letteraria? Ma, quale? Oppure, la lingua saggistica? O quella veicolata dai media?

Un fatto è certo: solo confrontandosi con gli idiomi nativi, con le lingue straniere sempre più presenti, per la globalizzazione economica e per le più recenti migrazioni, si potranno davvero capire e superare le difficoltà dell’insegnamento.  In tal modo si guideranno bambini e ragazzi, a partire dalle molteplici varietà parlate, a un pieno possesso della lingua italiana, nella sua continuità, da quella di Dante alla lingua di oggi.

3 maggio 2025

LEAVE A RESPONSE

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *