Oliviero Toscani, professione fotografo

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Un’estate assolata che brucia, dentro temperature che in città sembrano liquefarci, mentre la Natura, sia la verde montagna con i suoi freschi torrenti e le bianche pietraie, sia le spiagge con il mare ed i suoi luminosi azzurri, sembra restituirci la sua bellezza e varietà. Una Natura che possiamo ora, in maniera più pregnante,  sperimentare nei tanti volti di persone che incontriamo  nei viaggi che torniamo a fare e non solo a sognare. Così la mostra su Oliviero Toscani, professione fotografo, a Palazzo Reale a Milano, ha la capacità con le sue molte immagini di donne, uomini, bambini, giovani e anziani, di diverse razze e nazionalità, vestiti o nudi di mostrarci la ricchezza del patrimonio genetico umano. Potrebbe essere quasi, la sua, una presentazione non ufficiale, ma ufficiosa,  con il variegato mondo di persone che popolano il nostro pianeta e che egli ha osservato e studiato. L’ottantesimo compleanno, quest’anno, di Toscani che festeggia anche sessant’anni di attività è stata l’occasione per la realizzazione di un’esposizione che è  un modo di mostrare come egli ha colto e letto gli avvenimenti ed i protagonisti di un tempo che scorre fra gli anni 60’ ed oggi. Tra gli 800 scatti visibili,  si può citare, il progetto “Razza Umana”, iniziato nel 2007,  con il quale il fotografo ha attraversato centinaia di piazze per immortalare chiunque lo desiderasse.  Ha cosi realizzato 10.000 ritratti che hanno permesso di costituire il più ampio archivio fotografico al mondo sulle differenze sociali e morfologiche dell’umanità. Alcune delle sue foto hanno fatto sicuramente scalpore come il famoso manifesto Jesus Jeans ‘Chi mi ama mi segua’, “Bacio tra prete e suora” del 1992, i “ Tre Cuori White/Black/Yellow” del 1996, “No-Anorexia” del 2007 e moltissime altre. Una maniera di cercare l’immagine sicuramente specifica del suo Dna. Per comprendere meglio il suo pensiero ed il suo agire si può far riferimento ad  un  brano tratto dal discorso tenuto da lui  all’ADC a New York  e al D&AD Art Directors Club a Londra: “La creatività deve essere visionaria, sovversiva, disturbante. Comunque sia deve essere innovatrice, deve spingere idee e concetti, deve mettere in discussione stereotipi e vecchi moduli. La creatività ha bisogno di energia e di coraggio. Sono pochi gli individui ai quali è rimasta questa energia poiché l’educazione, da quella familiare, a quella scolastica, religiosa, etica, contribuisce a frenare l’energia creatrice che c’è in ognuno di noi”. Oliviero Toscani, è un figlio d’arte, il padre Fedele è stato il primo fotoreporter del Corriere della Sera e fra i suo scatti annoveriamo quello ambientato  a Villa d’Este, sul Lago di Como, che riprende il principe Edoardo d’Inghilterra con la discussa Wallis Simpson per la quale rinuncerà al trono. Ci sono poi i ritratti  di Winston Churchill, di Arturo Toscanini, di Picasso o il ricordo degli incontri, entrati nella Storia, dei grandi politici nel secondo dopoguerra. La sorella Marirosa ed il cognato Aldo Baldo  erano fra i più affermati fotografi del design milanese e lo spingeranno a studiare nella migliore scuola del momento a Zurigo: la Kunstgewerbeschule, dove il preside era Johannes Itten, il maestro del colore del Bahaus e tra gli insegnanti c’erano alcuni dei più importanti grafici e fotografi del momento. Alcuni scatti di Oliviero Toscani quando era a New York o a Londra, negli anni 70,’  fanno riapparire sullo schermo in bianco e nero,  volti assai noti dell’arte e della musica come Lou Reed, Andy Warhol, Joe Cocker, Mick Jagger, Patty Smith, Elvis Presley e Bob Dylan. Il curatore della mostra Nicolas Ballario spiega nel catalogo: negli  anni dei Beatles e dei Rolling Stones, della minigonna inventata da Mary Quant e  delle contestazioni, Toscani immortala quei momenti con la sua macchina fotografica e non si lascia sfuggire gli eventi salienti che contraddistinguono la sua generazione. È in prima linea al concerto del Velodromo Vigorelli di Milano per fotografare i Beatles in occasione della loro unica tournée italiana. Baffi alla Gengis Khan, stivaletti della beat generation e ovviamente capelli lunghi, Toscani ci mette poco ad affermarsi e a diventare uno dei fotografi più richiesti dalle riviste di tutto il mondo”. Tra le immagini realizzate per la moda: Donna Jordan, Claudia Schiffer fino a Monica Belluci.  Tante le sue attività. Citiamo le più note. Come fotografo di moda ha collaborato e collabora tuttora per giornali come Elle, Vogue, GQ, Harper’s Bazaar, Esquire, Stern e Liberation. Dal 1982 al 2000 ha creato  l’identità e la strategia di comunicazione di United Colors of Benetton rendendolo uno dei marchi più conosciuti al mondo. Nel 1990 ha ideato e diretto Colors, il primo giornale globale  e nel 1993 ha creato e diretto Fabrica, un  centro di ricerca di creatività nella comunicazione moderna. “Entriamo” nella mostra con le parole del direttore di Palazzo Reale, Domenico Piraina: “Nuotando nell’immenso oceano abitato dalle immagini che Toscani ha prodotto in sessant’anni di appassionato e indomabile lavoro, ci siamo accorti che esso è talmente vasto, stimolante, sorprendente, inaspettato, necessario o, come dicono i francesi con una espressione difficilmente traducibile, incontournable, che non potevamo mettere in campo i nostri normali schemi di riferimento, correndo il rischio di non far emergere la novità, la freschezza, il peso, lo spiazzamento delle sue fotografie. Insieme al curatore della mostra, Nicolas Ballario, non abbiamo ritenuto, ad esempio, di scegliere un ordinamento cronologico o di accostare le fotografie secondo declinazioni formali o tematiche: abbiamo pensato la mostra come un fiume che scorre, senza ricorrere a una logica predefinita, limitandoci a immettere, lungo il percorso espositivo, citazioni dello stesso Toscani e alcuni brevi testi per facilitare la lettura del contesto in cui sono nati alcuni progetti”. La rassegna che chiuderà i battenti il 25 settembre è stata promossa da Comune-Cultura Milano e è stata prodotta ed  organizzata  da  Palazzo Reale ed  Arthemisia. Toscani continua a restituirci, “l’esprit du temps”,  lo spirito del tempo, come ha precisato lo storico dell’arte Luca Beatrice. Lo ha fatto recentemente con lo scatto del 2021, dopo la vittoria  del Festival di Sanremo della banda dei Maneskin, ripresi completamente nudi, con i visi colorati o meglio dipinti con gli stilemi della Body Art. Le loro parole ci appartengono:   “E sarai pronto per lottare, oppure andrai via. E darai la colpa agli altri o la colpa sarà tua. Correrai diretto al sole oppure verso il buio. Sarai pronto per lottare, per cercare sempre la libertà.”

Patrizia Lazzarin, 24 luglio 2022

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Milano, le signore dell’arte a Palazzo Reale

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È un viaggio che si svolge attraverso i colori e le forme dell’arte, dove sono la mente e la mano  femminili a raccontare l’incanto  della vita umana, la mostra Le Signore dell’arte, Storie di donne tra Cinquecento  e Seicento che siè aperta ai primi di marzo a Palazzo Reale a Milano e che, per l’emergenza Covid, è visibile on-line. La rassegna, che è in programma fino al 25 luglio, conclude un progetto ideato dall’Assessorato alla Cultura del  Comune meneghino che reca il titolo i Talenti delle Donne e  rende manifesti l’ingegno e le capacità di trentaquattro  artiste  grazie alle centotrenta opere in mostra. Oggi la terza  visita on-line alle ore 18, seguiranno poi quelle del 18 e del 21 marzo. L’esposizione ha il merito di mettere in luce in alcuni casi, e in altri di approfondire, profili di artiste, siano esse pittrici, scultrici, architettrici, miniaturiste o ricamatrici, grazie ad un lavoro di studio e di seguente mappatura di un mondo artistico, ancora per certi versi patrimonio di conoscenze di specifiche elite culturali, e non bene comune. Nel quadro La partita di scacchi  della pittrice del Cinquecento,  Sofonisba Anguissola, gli occhi e gli atteggiamenti che sprizzano vivacità e curiosità potrebbero essere quelle di alcune giovani adolescenti d’oggi, basterebbe forse sostituire quelle vesti impreziosite da pizzi e di bianche perle  che rivestono i colli morbidi delle fanciulle impegnate nel gioco e negli ammiccamenti tipici dell’età. Il talento non mancava a queste donne. Artiste protagoniste ed interpreti del loro tempo. Esse sono a volte monache come Plautilla Nelli, autrice della tela con L’ultima Cena a Santa Maria Novella a Firenze, recentemente restaurata,  altre volte sono  viaggiatrici o vivono alla corte di re, e spesso diventano imprenditrici come Lavinia Fontana, tessendo una rete di relazioni necessarie a ricevere le commissioni non solo di piccoli quadri, ma di tele di grandi dimensioni destinate a chiese, su richiesta di papi e prelati, o  di ritratti voluti da uomini illustri e sovrani del tempo. Importanti mostre a partire dagli anni 70’ in Italia e all’estero hanno reso possibile la conoscenza dell’universo artistico femminile, spesso fino ad allora sconosciuto. In particolare, a Milano, si possono citare  quella su Artemisia Gentileschi nel 2011 a cura di Solinas e Contini, di  Tamara de Lempicka nel 2006 della curatrice  Gioia Mori e le esposizioni collettive: L’altra metà dell’Avanguardia a cura di Lea Vergine nel 1980 e L’Arte delle donne dal Rinascimento al Surrealismo nel 2007 di Sgarbi, Peters e Buscaroli.  Le Signore dell’arte ha un ulteriore merito: quello di aggiungere nomi di artiste e farne comprendere  soprattutto  la qualità delle opere. Molti hanno avuto modo di apprezzare il pennello e i colori della romana Artemisia Gentileschi in quadri come Lucrezia, Giaele e Sisara, o in molti dipinti di eroine che possono offrire anche un eco del suo vissuto doloroso legato alla vicenda con Agostino Tassi e  nello stesso modo  rivelano  la passione e la forza di una donna  che viene ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze e a quella dei Desiosi a Roma. Molto meno nota è la pittrice  Ginevra Cantofoli, i cui volti luminosi delle Sibille, nella morbidezza dei loro incarnati, si lasciano osservare  nella ricchezza di colore  dei loro turbanti. Ancora poco nota è la scultrice Properzia de’ Rossi, anche se protagonista dell’unica vita dedicata ad una donna nella prima edizione delle Vite di Vasari del 1550. La filigrana dello stemma in argento della famiglia Grassi  rivela lo spirito e l’arte  di una scultrice, nata intorno al 1490, che vive  un’esistenza estremamente anticonformista sulla scia di quella  del famoso Caravaggio e che riesce a guadagnarsi, per le sue capacità, un posto nel cantiere della cattedrale di San Petronio a Bologna, allora  la seconda città per importanza del regno pontificio. La biografia di Sofonisba Anguissola è ricca di curiosità perché fu non solo pittrice alla corte di Filippo II in Spagna, ma educata assieme alle sorelle alla pittura fin da giovane, continuerà a dipingere lungo tutta la sua lunga vita, anche nelle dimore a Palermo e a Genova, apprezzata ancora giovanissima da Michelangelo e ritratta in segno di riconoscimento del suo prestigio, ormai anziana, dal noto pittore fiammingo Antoon Van Dyck. Vasari, nella sua seconda edizione delle Vite, ricorda il ritratto di Giovanna d’Austria, sorella di Filippo II e il ritratto della regina Isabella di Valois eseguiti da Sofonisba. Fra le monache Orsola Maddalena Caccia, figlia del pittore noto come Moncalvo, che aveva lavorato con Federico Zuccari alla Grande Galleria di Carlo Emanuele I a Torino e a Milano con gli artisti di Federico Borromeo, ebbe dal padre gli insegnamenti di pittura e si esercitò sulle stampe di maestri del Rinascimento presenti in studio. Nel 1620, a ventiquattro anni entrò con le sorelle nel monastero di Bianzè per uscirne dopo cinque anni, quando il padre per avere vicino a sé le figlie, istituì, fra le mura domestiche, il Monastero delle Orsoline. Si trattava di un monastero nato nel segno dell’arte perché al suo interno era stata prevista una stanza dedicata alla pittura. L’attività della pittrice che realizzò pale d’altare,  quadri da camera e   nature morte è nota fino al 1670  ed ebbe vasta eco. Accanto ai ritratti di Studioso e di Carlo Sigonio, i ritratti di gentildonne bolognesi di Lavinia Fontana, capace di cimentarsi anche con il nudo, come nel quadro Minerva in atto di abbigliarsi, possiamo porre l’arte di Fede Galizia, autrice del ritratto di Paolo Morigia. Volti intenti o segnati dalle rughe narrano la storia interiore di uomini e donne. Fede Galizia, figlia del miniaturista Nunzio, dipinse nature morte con pochi oggetti immersi in un’atmosfera silenziosa, dove si leggono influenze lombarde e fiamminghe. Galizia viene citata da Paolo Lomazzo nel suo trattato quando aveva solo vent’anni e paragonata al grande pittore spagnolo Francisco de Zurbaràn. Fra le accademiche la pittrice di Ascoli Piceno, Giovanna Garzoni, che lasciò la sua eredità all’Accademia di San Luca, privilegio che ebbe, come poche, di poter farne parte. I suoi dipinti di fiori e frutta  sono raffinati studi di botanica dipinti a guazzo su pergamena. La mostra che ha la curatela  di Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapiè è formata da opere proveniente da 67 prestatori diversi ed è stata realizzata in collaborazione con  Arthemisia e con il sostegno della Fondazione Bracco. La tavola della Madonna dell’Itria di Sofonisba Anguissola, mai spostata dalla Sicilia dal momento della sua realizzazione avvenuta per ricordare il marito, il nobile Fabrizio Moncada, ucciso nel 1578, durante un assalto di pirati algerini, è stata restaurata in occasione dell’esposizione ed è qui ammirabile. In attesa di restauro  invece la Maddalena di Artemisia Gentileschi, mai prima esposta, ferita dai danni dell’esplosione nel porto di Beirut il 4 agosto 2020 e appartenente alla collezione Sursock, una delle famiglie più aristocratiche del Libano che ha legami di parentela internazionali fra cui i Colonna di Roma e i Serra di Cassano di Napoli.                                                      

Patrizia Lazzarin – 14 marzo 2021

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Antonello da Messina a Palazzo Reale di Milano

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Lo stupore e la magia degli sguardi che rendono vitali i  personaggi ritratti accanto alla forza e al vigore  che si leggono nei  loro volti,   arricchiti dalla lucentezza di un  colore straordinario che condensa i risultati  della pittura rinascimentale del Nord e del Sud d’Europa,  costituiscono la cifra stilistica peculiare della pittura di Antonello da Messina, artista fra i maggiori del nostro Quattrocento,   le cui opere saranno visibili nella mostra inaugurata a Palazzo Reale a Milano  il 20 febbraio   e che rimarrà aperta al pubblico fino al 2 giugno 2019. Mancava un progetto dedicato ad Antonello da Messina. Le ragioni sono diverse: poche e bellissime sono le opere del pittore  salvate dalla distruzione provocata dagli  avvenimenti naturali  e dall’incuria degli uomini e  la difficoltà di riunire  i quadri sparsi nei   musei di tutto il mondo, ha spiegato  il  direttore di Palazzo Reale, Domenico Piraina. Questa esposizione che per la prima volta a Milano permetterà di vedere diciannove delle trentacinque opere che fanno parte della sua autografia ,   ha detto l’assessore alla Cultura  del Comune di Milano, Filippo del Corno,  si è resa possibile grazie alla collaborazione di istituzioni museali  italiane e straniere. Un lavoro di equipe di alta specializzazione  coordinato  dalla Regione Sicilia e dal  Comune di Milano che ha il pregio di fare  focus sul pittore messinese che ha rivoluzionato grazie, ad una particolare tecnica ad olio, ma si potrebbe precisare anche attraverso un diverso modo di svelarci i segreti dell’umano,  il modo di dipingere. Le sue invenzioni che traggono ispirazione  dal mondo fiammingo ma  che egli  ha declinato con un  personale intendimento che mescola tempera ed olio e si sbizzarrisce con velature incantevoli, ci restituisce volti che potremmo, affascinati, osservare per lunghe ore per udire le frasi  che essi sembrano sul punto di pronunciare  o  solo per scoprire le intenzioni celate che lasciano suggerire le loro posture. Il ritratto d’uomo, detto anche d’ignoto marinaio, proveniente dalla Fondazione Culturale Mandralisca di Cefalù, ci incuriosisce per il suo  sorriso ironico e ci riporta alla memoria  un altro famoso movimento delle labbra  della storia dell’arte italiana, quello della Gioconda di Leonardo da Vinci.  In un altro quadro  Il ritratto d’uomo, detto anche   il Condottiero la particolare resa dei tratti fisiognomici: occhiaie, qualità e colore della pelle, piccole cicatrici e acconciatura dei capelli individuano un’abilità ritrattistica ineguagliabile. Un’occasione di rilievo per la valorizzazione del patrimonio culturale siciliano ha definito l’esposizione di Milano, l’assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Sebastiano Tusa e l’Annunciata l’opera simbolo di Antonello da Messina rimarrà come ricordo di un’operazione culturale straordinaria. L’Annunciata, l’icona della pittura del nostro Quattrocento che campeggia ovunque: nel catalogo, nelle locandine e in tanti oggetti presenti in mostra, ha la delicatezza e il fascino del mistero femminile che essa incarna. Il manto azzurro rivestito di lapislazzuli che le circonda il volto la avvolge del colore di un cielo infinito. Si scardina l’impaginazione tradizionale dell’Annunciazione, scompare l’angelo e il turbamento di questo evento si traduce negli occhi e nel movimento impercettibile delle mani della Vergine. Essa incanta da ovunque si guardi.  Il valore di questo pittore è chiaramente espresso già nelle parole siglate nel cartellino di un’opera  del figlio di Antonello da Messina, presente in mostra, La Madonna con il bambino dell’Accademia di Bergamo, dove Jacobello si definisce figlio di un pittore non umano, ossia  divino. Questa consapevolezza e  questi meriti sono stati sottolineati sia dal curatore della mostra, il professore Giovanni Carlo Federico Villa nella chiusura del suo discorso di presentazione, sia dal professore Vittorio Sgarbi in  apertura al  suo intervento.  Giovanni Villa  parlando di Antonello da Messina e del grave fatto che solo ottant’anni dopo la sua  morte si erano già perse tracce e documenti, ha indicato  il valore aggiunto dato dalla presenza a Palazzo Reale di  sette taccuini  e  di diversi fogli ricchi di annotazioni di Giovan Battista Cavalcaselle, lo studioso dell’Ottocento, autore della monumentale Storia della pittura italiana, che per primo riuscì a ricostruire il percorso pittorico del pittore siciliano. Grazie ai taccuini possiamo meglio comprendere la particolare tecnica di Antonello da Messina, che si presenta diversa da quella fiamminga e da quanto si stava elaborando allora in Veneto. Uno dei capolavori del maestro è sicuramente la tavola con San Gerolamo nello studio che rivela le sue capacità prospettiche e di resa architettonica arricchite da un uso sapiente della luce essenziale nel ricreare lo spirito di concentrazione dello studioso immerso in uno spazio chiuso, ma al tempo stesso in relazione attraverso le finestre con la natura. Ogni cosa è descritta con acribia minuziosa dove oggetti e animali come il pavone denotano valori simbolici. Quest’uccello rinomato per la sua bellezza allude all’immortalità, mentre la pernice alla tentazione o anche alla verità.

 La Crocifissione di Sibiu, dipinta su una tavola di pero, essenza piuttosto rara, mostra influenze dell’arte borgognona nelle parte inferiore del dipinto dove incontriamo le Marie: qui troviamo riferimenti anche a monumenti, come il monastero basiliano di San Salvador, della Messina del tempo: tratto tipico di un tipo di religiosità, la devotio moderna, dove ci si avvicina al sacro attraverso la meditazione sulla quotidianità. Un tema sul quale Antonello ha lavorato molto nel corso del suo percorso artistico è l’Ecce Homo. Soffermandoci sull’esemplare del Collegio Alberoni di Piacenza notiamo la mestizia di questo volto dove le lacrime acquistano lucentezza e  i segni della sofferenza  della corda che disegnano ombre sul corpo, ma in particolare osserviamo le labbra piegate verso il basso assieme agli occhi con le sopracciglia, anch’esse inclinate verso il basso. Questo  Cristo sembra riportarci al  Vangelo di Giovanni, quando Pilato ordina di far flagellare Gesù, dopo aver chiesto se vogliono libero Barabba o il figlio di Dio. Un figlio qui più uomo, nella delusione che gli si legge nel volto che reca lo sgomento  per l’incomprensione del male degli uomini. Sul  polittico di Firenze- Milano: la Madonna con il Bambino  e due angeli reggi corona con San Giovanni Evangelista e San Benedetto si è soffermato al termine della conferenza stampa, Vittorio Sgarbi per narrare le carambolesche avventure che hanno portato alla sua riunione: vicende fatte di riconoscimenti contrastati, acquisti e  restauri  complessi. La storia dell’arte  spesso racconta di molti polittici smembrati e poi dispersi in palazzi, in chiese e in magazzini di musei spesso  interrompendo così quel fascinoso dialogo che questi insiemi di tavole costruiscono fra i personaggi rappresentati. Dialoghi silenti che li uniscono come nel polittico in mostra. Quando questi pezzi si rimettono insieme ,anche se solo per poco tempo,  si completa un mosaico  a cui mancavano i pezzi  e si ricomincia  una misteriosa narrazione interrotta. Nel catalogo dell’esposizione prodotta da MondoMostre Skira la maestria nella riproduzione delle opere ci restituisce ancora la qualità della materia pittorica di Antonello da Messina in particolare nei numerosi ingrandimenti dei particolari dei quadri, spiegati in approfondite schede tecniche che ne svelano i contenuti e la storia.

Patrizia Lazzarin, 21 febbraio 2019

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