Il vino di Luca
- Scritto da Ugo Pilia
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Se affinità di carattere o di esperienze sono i presupposti di ogni amicizia che si rispetti, il suo immancabile indizio, forse il suo vero cemento è però la quasi epidermica ma inconfondibile sensazione di familiarità quando l’altro ci parla. Del resto, come ogni pianta che deve superare quell’incerto periodo della crescita in cui ancora non si sa se essa verrà su rigogliosa o le sue foglie si afflosceranno fino a rinsecchirsi, anche nelle amicizie è il tempo il metro implacabile della loro consistenza e l’impollinatore più fertile. Di solito, le loro radici si dimostrano tanto più robuste quanto più lontano esse affondano indietro nel tempo, fino a lambire, nei casi più fortunati, quelle età giovanili e lontane dove il carattere di una persona è ancora recettivo e immune dalle successive incrostazioni delle abitudini e del cinismo. In tali casi, allora, come le parole di una lingua imparata da bambini, quelle radici persisteranno nella memoria nonostante ogni biforcazione di percorsi o anche frequenti e protratte lontananze.
A questa regola non si sottraeva quel gruppo di amici, antichi compagni di scuola e oggetto di queste pagine, che avevano raggiunto l’età indefinibile e strana dove certe avvisaglie del tempo non hanno ancora fiaccato gli impulsi vitali o diminuito la giovanile disposizione al gioco e alle facezie. Per quanto le loro attività e i loro stili di vita fossero diversi, per quanto ognuno di essi si fosse costruito nel corso dei decenni un suo mondo fatto di altri amici, oltre che di mogli e figli, il fatto che a intervalli regolari essi continuassero comunque a ritrovarsi insieme a cena, sempre tutti assieme e senza estranei, non può non suscitare la nostra curiosità che, per essere completamente soddisfatta, spingerà la nostra attenzione a farsi sempre più indiscreta...
C’è intanto quel verbo “continuare”, la cui apparente indefinita durata va doverosamente chiarita, visto che potrebbe altrimenti creare l’impressione di un’azione che non si era mai interrotta dai vecchi tempi, quando erano ancora dei giovani ingenui, se non imberbi. In realtà, per un intervallo piuttosto lungo e in cui si erano svolte faccende fin troppo banali – prima la scoperta dell’amore e del sesso, che in molti casi si confondono, poi la loro trasformazione in una graziosa gabbia dove il numero e le esigenze della popolazione tendono di solito all’aumento e, quasi contemporaneamente, anche quell’iter coinvolgente e alla fine spesso illusorio chiamato ora “carriera”, ora “professione” - per un bel po’ di lustri, insomma, date le scoperte e distrazioni appena accennate, si può anche capire come i loro rapporti, anche individuali, si fossero in certi casi diradati e in altri assopiti, mentre di rapporti e di riunioni di gruppo non se ne parla neanche.
Finché, un po’ come in certe storie esemplari, la tela imprevedibilmente intessuta dall’iniziativa di quello a suo tempo ritenuto il meno smaliziato e il più cheto fra loro – dell’eterno ragazzo aveva anche il viso e la corporatura, che erano minuti – non iniziò a riavvolgersi su di essi, riavvicinandoli. Furono dunque i fili di quella tela a riannodare inaspettatamente i loro rapporti collettivi fino a rendere poi regolari anche le riunioni a cena. Senza voler sminuire la sensibilità e il candore della sua iniziativa di tessitore, cosa di cui il gruppo così ricostituito gli era tacitamente grato, è però probabile che tale iniziativa fosse, per così dire, affondata in un terreno già fertile e che in fin dei conti attendeva solo di essere smosso.
Noi crediamo, insomma, che quel re-incontro e l’atmosfera delle loro riunioni obbedissero a delle esigenze lentamente maturate man mano che essi si erano avvicinati alla soglia dei cinquant’anni. Affievolitesi certe foghe connesse al successo o alla carriera e intiepiditisi, come spesso accade, gli ardori coniugali, continuava comunque ad appagarli il frutto di tali passioni: i figli. Per quanto di solito tale frutto non sia poi scevro da un’imprevedibile quantità e varietà di problemi e sorprese, è però innegabile che in qualche modo esso rappresenta il lascito più tangibile e duraturo anche di quelle passioni che si estinguono completamente.
Man mano che i figli erano cresciuti, però, si era fatta sempre più distinta la sensazione che presto o tardi la gabbia si sarebbe spopolata: perché la nidiata sarebbe anche lei andata a costruirne delle altre, ma per conto suo. Per naturali che fossero simili prospettive, l’anticipato compiacimento per le ulteriori continuità biologiche che esse promettevano era tuttavia accompagnato da un vago e impercettibile senso di perplessità e, diciamolo pure, d’inquietudine. L’inconfessata e inconfessabile apprensione, spiegabile in parte con quell’egoismo in qualche modo collegato all’attaccamento verso i figli, era inoltre destata dalla constatazione - acuita e resa inconfutabile proprio dalla loro crescita - che il tempo scorreva...
Antonello Catani
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Proprio così, il tempo passava, o peggio, un certo tempo molto speciale era passato. Se terapie e esorcismi vari - fatti, a seconda dei casi, di viaggi, di caccia, di astensione dall’alcool o dal fumo, di rinnovate conferme sessuali o semplicemente di immersioni nel lavoro - possono darci l’illusione di tenere a bada il fenomeno, la giornaliera visione di quei figli che crescevano costituiva un segnale più inclemente e meno mascherabile di quello offerto da qualsiasi specchio. In casi come questi, quando una terapia o un esorcismo non funzionano, se ne prova un altro. Quando, per esempio, una storia d’amore si esaurisce, spesso la si ripercorre tutta col ricordo: talvolta, più incautamente, per cercarvi inesistenti braci, talvolta solo per goderne ancora una volta la fiamma. Nel loro caso, l’irresistibile flash-back non riguardava una storia d’amore ma quel lontano periodo della loro vita trascorso assieme sui banchi del liceo, periodo ancora benevolmente immune dalla coscienza del tempo…
Sarebbe incauto affrettarsi a considerare tali richiami come banali e generiche nostalgie del passato. Qui si trattava di una parte di passato ben specifica, delimitata e del tutto unica: si possono vivere molte e intense storie d’amore, cambiare vari lavori e anche città, fare numerosi figli, ma quella specifica parte di passato rimane unica, irripetibile. Non solo essa è un periodo ancora immune dalla coscienza del tempo, ma è anche il periodo in cui tutto è ancora possibile e da scoprire. Si potrebbe anzi dire che essa sia quella terra vergine dove non sono ancora penetrati i predatori del dovere, della convenienza, del realismo, dell’abitudine e della disillusione.
Questo collegamento fra ritrovamento e ritorno al passato potrà apparire arbitrario ad alcuni, mentre l’ipotetica ricostruzione fattane potrà apparire ad altri come l’ennesimo esempio di una fantasia letteraria.
In realtà nulla sarebbe più fuorviante del ridurre la letteratura unicamente a un esercizio di fantasia: oltre che futile, una simile interpretazione sarebbe anche ingenua. Convinti che accadono più cose in terra che in cielo – luogo, quest’ultimo, immerso per definizione in un’olimpica inerzia - noi pensiamo al contrario che l’intima e più ambiziosa vocazione della letteratura sia decisamente più realistica e pragmatica, quali che siano le apparenze o le pur inevitabili défaillance di molti suoi adepti. Armata di nude parole, ricorrendo ora a veri e propri intrecci, ora ad analisi psicologiche, ora a semplici descrizioni, in un certo senso essa salva gli eventi, impedendo che la distrazione, la pigrizia e la noncuranza li facciano miseramente sbiadire assieme ai loro protagonisti. Il lettore noterà come in questa definizione i tradizionali confini fra storia e letteratura in qualche modo scompaiono. Ma se ci si pensa bene, l’unica differenza fra di esse risiede nella loro maggiore o minore corrispondenza a eventi specifici; a parte ciò, entrambe raccontano qualcosa che è accaduto o che potrebbe accadere.
Una letteratura esercitata in questi termini svolge dunque un ruolo pio e benefico, proprio perché pragmatico e tendente alla conservazione o alla previsione. Questo non vuol dire, naturalmente, che essa sia una dissimulata fotografia e che aborra o non faccia uso alcuno della fantasia. Tutt’altro: puntando sulle sue capacità di auscultatore esterno ma sprovvisto di mezzi per vedere dall’interno gli organi del corpo che intende descrivere, lo scrittore è necessariamente costretto a sopperire con le sue deduzioni – cioè, con un po’ di fantasia - all’assenza dei dettagli che gli mancano. Ma se tale attività di deduzione è saldamente ancorata a certi elementi reali e inoppugnabili che, allo stesso modo dello sterco degli animali, permettono di riconoscerne la specie e la direzione dei loro movimenti, qui la fantasia è solo un pizzico di sale per dare più risalto al realismo di quegli elementi. Ma anche quando le situazioni e gli eventi descritti sembrare ancora maggiormente influenzati dalla fantasia, anche lì, tutte le volte che quest’ultima riesce a conferire loro un aspetto esemplare, essa avrà anche proposto un modello per dare ordine e significato ad analoghe situazioni ed eventi reali.
Ora, che nel nostro caso ritrovamento e ritorno al passato non siano una mera finzione letteraria o l’arbitrio di una fantasia, per così dire, romantica, è provato, se non dallo sterco degli animali sopra citato, da certe inoppugnabili congruenze che, come vedremo, si rafforzeranno una con l’altra fino a dare alla nostra ricostruzione una plausibilità irresistibilmente vicina alla verità.
Ritornando quindi a quelle riunioni, la costante esclusione di “altri”, che pure per ognuno di loro separatamente esistevano e a cui in teoria avrebbe potuto essere estesa la partecipazione, conferma come “le cene”, o almeno quelle particolari “cene ristrette”, fossero in realtà la ripetizione di un rito: la replica dello stesso atto unico dove ognuno vedeva nella presenza dell’altro la conferma alla propria permanenza, così come era stata in principio, come se da allora nulla fosse cambiato. Più che l’apparente avidità con cui si gustavano la varietà e la qualità della cucina e dei vini, e nonostante occasionali malumori per la scarsa riuscita di tal piatto di pesce o la sincerità di tal bottiglia di vino, in fondo si trattava di pretesti, ancorché dissimulati.
Antonello Catani - 2 - continua