La tenuta del Paese e' a rischio

Sanità, economia e ordine pubblico: la pandemia Covid-19 ha innescato tre diverse crisi che, sovrapponendosi, mettono a serio rischio la tenuta del Paese imponendo al governo Conte di dimostrare in fretta la leadership necessaria per trovare soluzioni rapide ed efficienti.
La prima crisi è sanitaria. L'Italia è il più cruento campo di battaglia dello scontro con il virus di Wuhan. Gli eroi sono i medici e gli infermieri mentre le vittime sono i nostri anziani. Il bilancio pesante di oltre 10 mila vittime è dovuto all'attacco feroce, a sorpresa, da parte di un nemico invisibile che obbliga gran parte della popolazione a restare chiusa in casa. E la nostra maggiore debolezza è nella logistica perché ci mancano i rifornimenti strategici - respiratori e mascherine - , abbiamo troppo personale medico contagiato e siamo attanagliati dal timore di non aver abbastanza letti per le terapie intensive negli ospedali. Per sanare queste vulnerabilità abbiamo bisogno di più forniture mediche e, anche, di più dati digitali sui contagiati.
Ma le forniture vengono ostacolate da una burocrazia che sovrappone Protezione civile, commissariato per l'emergenza e Sanità mentre l'uso dei dati digitali tarda - a dispetto di quanto fatto da Cina e SudCorea, e di quanto stanno facendo Israele e Stati Uniti - a causa della lentezza nello sviluppo di una app che dovrebbe già essere operativa, che può essere realizzata in tempi rapidi e di cui il Garante della Privacy condivide il bisogno. Da parte del governo servono dunque decisioni per azzerare la burocrazia che ostacola i rifornimenti e ritarda la app: in assenza di tali sostegni il sistema sanitario rischia di non farcela.
La seconda crisi è economica perché con il Paese immobilizzato l'impoverimento collettivo rischia di portare alla devastazione del pil ovvero quando i lavoratori usciranno da casa non troveranno più uffici, ristoranti, alberghi, negozi e fabbriche ad accoglierli in quanto una moltitudine di aziende avrà fallito o sarà in procinto di farlo. Poiché il cuore dell'emergenza è nelle Regioni più ricche del Paese - Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna - ciò minaccia di riportare il nostro Pil indietro di una generazione con conseguenze sociali pericolose. Davanti a pericoli simili Francia, Germania, Spagna e Stati Uniti hanno adottato misure straordinarie a sostegno del sistema produttivo con garanzie finanziarie letteralmente senza precedenti mentre il governo Conte tentenna con appena 25 miliardi che potrebbero al massimo diventare 100. Anche qui è la burocrazia - del Tesoro in particolare - a ostacolare provvedimenti tali da creare il credibile paracadute per la nostra economia ben descritto da Mario Draghi nel suo intervento sul "Financial Times". Come nel caso della Sanità, anche sull'economia ci sono sul tavolo del premier evidenti decisioni da prendere. Ma continuano a tardare.
Il terzo fronte di emergenza è l'ordine pubblico. Si affaccia nel Sud con gli assalti ai forni del pane e gli scippi delle buste della spesa in Sicilia descrivendo il rischio che l'impossibilità di guadagnare per un periodo prolungato - soprattutto nel caso del lavoro in nero - inneschi disordini e violenza su un territorio dove la criminalità organizzata resta temibile. Forze dell'ordine ed esercito sono certamente in grado di fronteggiare tale scenario ma il fatto stesso che questo rischio si stia manifestando dimostra la gravità dell'impatto sulla sicurezza collettiva dei ritardi negli interventi su Sanità ed economia. Ieri il governo ha preso atto del rischio-Sud varando i fondi di emergenza a favore dei Comuni ma è solo un primo passo, divenuto irrinunciabile sulla base dei rapporti del Viminale.
Leggendo assieme l'affanno del sistema sanitario nel gestire i persistenti focolai del virus nel Nord, il rischio strategico di pesanti danni al sistema economico e gli allarmi sullo scontento sociale nel Sud ne esce il ritratto di un Paese pericolosamente in bilico, che ha bisogno di azioni coraggiose e rapide da parte dei propri leader di governo. Perché il tempo non gioca in nostro favore.

Maurizio Molinari – La Stampa – 29 marzo 2020

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La guerra d'attrito anti-Covid 19

Con oltre 53 mila contagiati e 4825 vittime l'Italia è il primo campo di battaglia della sfida globale alla pandemia del coronavirus. Ciò significa che quanto avviene da noi nella lotta al Covid-19 ha un valore che va ben oltre le frontiere nazionali. La campagna italiana ha tre dimensioni: sanità, economia e valori. E devono essere lette assieme perché sono intrecciate fra loro.
Sul fronte sanitario i prossimi giorni ci diranno se il virus ha innescato focolai anche nel Sud oppure se l'emergenza resta soprattutto al Nord, dove anche ieri il bilancio di vittime è stato molto duro. La priorità della sicurezza sanitaria nazionale è il Nord: bisogna aumentare il sostegno di rifornimenti e personale medico a Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Marche. Ma bisogna anche chiedersi se la tattica anti-virus può essere migliorata prendendo esempio da chi, come la Sud Corea, ha fatto ricorso alla combinazione fra più test e tecnologia invasiva per monitorare i contagiati. E' comunque cruciale che i cittadini seguano le disposizioni del governo: restare confinati a casa è un sacrificio personale che aiuta alla prevenzione del virus. Se tutti seguiamo le indicazioni ricevute ci trasformiamo in una muraglia anti-virus, altrimenti siamo noi stessi a consentirgli di moltiplicarsi.
Quella contro il virus assomiglia a una guerra d'attrito: quanto avviene in questi giorni - come nelle prossime settimane - misura lo scontro, contribuisce a definire forza ed energia del nemico, il contagio che viene dal Wuhan.
Mentre combatte sul fronte sanitario, registrando ogni giorno centinaia di vittime, su quello economico l'Italia ha bisogno dell'Europa. La devastazione del sistema produttivo causata da venti giorni di emergenza coronavirus, proiettata su un periodo anche di sole dieci settimane come suggerisce Bill Gates, è tale da evocare lo spettro della polverizzazione del Pil. E questo è lo stesso scenario che si sta presentando a spagnoli, francesi e tedeschi anche se l'impatto del virus su di loro è ritardato di alcune settimane rispetto all'Italia. Ciò significa che la scelta della Bce di usare il bazooka finanziario per sostenere l'Eurozona è un positivo primo passo ma deve essere seguito da un imponente piano di ricostruzione economica per consentire al ceto medio di risollevarsi. È la prova più difficile per l'Ue dalla firma dei Trattati di Roma del 1957 che, per superarla, ha bisogno di trovare in fretta leader coraggiosi, visionari, portatori di un massiccio progetto di ricostruzione continentale. Mancare questa sfida significherebbe esporre gli Stati nazionali al rischio di rivolte popolari.
Ultima, ma non per importanza, la terza dimensione del conflitto con la pandemia: l'impatto sui nostri valori. La Storia ci ha insegnato che ogni grande conflitto ha conseguenze profonde nel modello di vita dei popoli coinvolti e anche in questo caso già assistiamo a cambiamenti radicali: il sacrificio di medici e infermieri crea un modello di eroe contemporaneo dove altruismo e scienza si fondono; gli italiani hanno iniziato a consumare, interagire e produrre online come mai avvenuto prima; scuole e università operano sul web ponendo l'urgenza di garantire a tutti pari accesso; rintanarsi in casa ha generato una miriade di manifestazioni di patriottismo spontaneo che descrivono un rinnovato legame con la nazione. Ovvero, la reazione alla pandemia ci sta rendendo più forti, coesi e digitali. Tutto questo avviene a un prezzo molto alto - i nostri morti - ma deve portarci a guardare oltre il virus. Perché la ricostruzione inizia dai valori che riusciamo a esprimere durante la guerra d'attrito con Covid-19. Ed è per questo che il nostro primo dovere oggi è difendere i più vulnerabili fra noi, i nostri anziani. Sono loro che muoiono di più e dunque per proteggerli dobbiamo fare ciò che più serve per tenerli lontani dal pericolo: anche se sono i nostri genitori e nonni, dobbiamo stare loro fisicamente lontani, parlandogli al telefono o per Skype, portandogli la spesa sul pianerottolo, aiutandoli in ogni modo ma evitando di incontrarli e toccarli. Perché il virus usa i giovani per uccidere gli anziani. —

Maurizio Molinari – La Stampa – 22 marzo 2020

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Trappola maghrebina per Conte

C'è qualche dirompente novità che viene dalle acque della Libia e tocca da vicino i nostri interessi nazionali. La prima ha a che vedere con il numero dei migranti che le attraversano per sbarcare in Italia: il numero di questo mese è più del doppio rispetto a dicembre e più di 8 volte rispetto al gennaio del 2019. Il motivo è che le motovedette libiche, agli ordini del premier Fayez al-Sarraj, hanno bruscamente ridotto gli interventi.
Il motivo formale è la «chiusura dei centri di detenzione» a Tripoli ma il fatto che ciò avvenga all'indomani della Conferenza di Berlino solleva interrogativi sulle reali intenzioni del governo libico. E poi c'è l'episodio di mercoledì quando la fregata militare turca «Gaziantep», inquadrata nell'operazione Nato «Sea Guardian», è intervenuta nel Mediterraneo Centrale per salvare circa trenta migranti che stavano per annegare, ha chiamato una motovedetta libica e glieli ha consegnati in tempi rapidi senza troppi preliminari.
Si tratta di un fatto che conferma la presenza di navi militari turche davanti a Tripoli, rivela che i comandi di Ankara hanno un canale diretto per dare ordini alla guardia costiera di al-Sarraj e descrive come la Turchia non condivida la posizione europea contraria a rimandare in Libia in un porto «non sicuro» migranti che potrebbero subire conseguenze dirette per la scelta di fuggire da un Paese in guerra. Ovvero, dall'indomani della Conferenza di Berlino nelle acque libiche davanti all'Italia sono maturati due fatti inattesi: al-Sarraj fa partire verso Nord più migranti e la Turchia ha assunto - con almeno due navi da guerra - una posizione di rilevanza strategica.
A tutto ciò dobbiamo aggiungere le novità sul terreno militare in Libia perché l'esercito turco pattuglia Tripoli con militari in divisa, ha messo i propri ufficiali in tutte le sale operative di al-Sarraj e protegge con sistemi anti-aerei avanzati tanto Tripoli, inclusi porto ed aeroporto, che Misurata, incluso l'aeroporto. In attesa di mercantili carichi di ingenti forniture di carri armati, blindati, pezzi di artiglieria e munizioni, scortati da navi militari turche. Erdogan punta a trasformare la Tripolitania in una propria enclave per controllare le fonti energetiche - gas e petrolio - e diffondere in Nordafrica il modello politico dei Fratelli Musulmani.
Sono tali e tante mosse di Erdogan che hanno suscitato nelle ultime 48 ore le vivaci proteste dell'Eliseo sul «mancato rispetto delle rassicurazioni date alla Conferenza di Berlino di non inviare forze in Libia». A cui Ankara ha risposto per le rime, obiettando che la «maggiore minaccia all'integrità territoriale della Libia viene dalla Francia di Macron» a causa delle «forniture di armi all'esercito del generale Khalifa Haftar», che punta a conquistare Tripoli. In realtà Haftar sta rallentando l'avanzata perché i mercenari russi della «Wagner» sembrano svanititi nel nulla, lasciando supporre l'esistenza di un patto fra Erdogan e Putin per dividersi la Libia, consentendo a Mosca di avere basi aeree e navali in Cirenaica.
Ce n'è abbastanza per dedurre che Erdogan si è oramai insediato in Tripolitania e inizia a creare nuovi equilibri - sul terreno e nel Mediterraneo - consentendo al proprio alleato al-Sarraj una maggiore libertà di manovra, anche nella gestione dei migranti.
Il fatto che tutto ciò sia maturato in appena 12 giorni dalla fine dei lavori di Berlino lascia intendere a quali livelli sia giunto l'indebolimento del ruolo non solo dell'Europa ma soprattutto dell'Italia. Per il premier Conte significa trovarsi in una situazione di emergenza strategica: servono mosse rapide ed efficaci per evitare di assistere impotenti alla formazione di un protettorato turco in Tripolitania destinato a mettere nelle mani di Erdogan i rubinetti dei flussi di migranti, delle risorse energetiche e dei rischi di terrorismo che hanno conseguenze immediate sul nostro Paese. Per non parlare della Cirenaica dove l'Eni, a causa del blocco dei pozzi di Haftar, già ha ridotto l'export di 30 mila barili al giorno e fra 72 ore potrebbe trovarsi a dover gestire la totale interruzione.
Questa è la fotografia della situazione in Libia alla mezzanotte appena trascorsa, un Paese per noi cruciale dove non siamo mai stati così vulnerabili da quando, il 1 settembre 1970, il colonnello Gheddafi cacciò i nostri connazionali.

Maurizio Molinari - La Stampa - 31 gennaio 2020

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