Mani nelle tasche sbagliate

Il sospetto, anzi la certezza, è che dietro alla proposta dei parlamentari del Partito democratico di un contributo obbligatorio di solidarietà da parte dei contribuenti con redditi superiori a 80 mila euro ci sia un grande vecchio. Fonti riservate e attendibili ci hanno rivelato il nome e il cognome: Matteo Salvini. Sarebbe lui il suggeritore della mossa annunciata a metà del pomeriggio di ieri dal gruppo del Pd. Così Salvini farebbe un passo avanti decisivo nel consolidamento dei consensi elettorali, che nelle ultime settimane hanno dato qualche segnale d’incertezza, e sarebbe nelle condizioni migliori per marciare spedito verso quota 40% di voti alla Lega. Scherzi a parte, la politica ci sta riservando molte sorprese ma in questo caso non è così.  L’ipotesi che il suggeritore dei parlamentari Pd sia Salvini è ovviamente una assoluta invenzione del sottoscritto, che sta scrivendo queste righe. Resta il fatto che la proposta è un clamoroso autogol. Sotto questo aspetto il distacco manifestato da Nicola Zingaretti, segretario del Pd, e il dissenso del premier Giuseppe Conte sono rassicuranti. La proposta dei dem va considerata inaccettabile per diversi motivi. Prima di tutto perché la solidarietà dev’essere una virtù e non un obbligo di legge. Poi perché penalizza quegli italiani, purtroppo un numero ristretto, che pagano le tasse. Ancora una volta, nel Paese degli evasori e del sommerso, lo Stato bussa alla porta di Pantalone, cioè dei contribuenti che dichiarano al Fisco la verità. E ancora una volta il partito dei furbacchioni ne esce senza pagare dazio. Per questo, come spiegato nell’articolo in questa pagina, il contributo di solidarietà toccherebbe solo a poco più di 800mila italiani, pari all’1,9% di chi paga le tasse. Attenzione: non si tratta di ricchi, ma di chi paga le imposte fino all’ultimo euro. Il tutto senza risolvere neppure mezzo problema perché il gettito atteso rispetto alle necessità risulta irrisorio. Passano gli anni ma il fenomeno dell’economia in nero, come ha documentato l’inchiesta pubblicata dal Sole 24 Ore domenica 5 aprile, continua a rappresentare la vera palla al piede di questo Paese, del nostro Paese. Forse quanto sta accadendo, che ci porta a riflettere sui nostri comportamenti quotidiani, può essere l’occasione per qualche esame di coscienza. Meglio tardi che mai. Nel frattempo la richiesta ai parlamentari che hanno firmato la proposta, tutti animati da propositi nobili, è duplice. Primo: se ritenete date il buon esempio. Secondo: non insistete nel mettere le mani in tasca a chi le tasse le paga già. E ne paga tante. Troppe, decisamente troppe.

Fabio Tamburini –Il Sole 24 Ore – 11 aprile 2020

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Un piano Marshall come nel dopoguerra

Ieri il ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire, è intervenuto lanciando un segnale forte e chiaro in difesa delle grandi aziende del Paese. Siamo pronte a difenderle con «tutti gli strumenti», ha detto, compreso la nazionalizzazione. Lo ha fatto perché la crisi del coronavirus ha determinato il crollo delle quotazioni di Borsa, con il risultato di esporle al rischio scalate. Si può aggiungere che è soltanto l'inizio, perché l'emergenza sanitaria determinerà inevitabilmente una crisi economica ancora più drammatica. L'unica speranza è che la durata della stretta in corso sia limitata nel tempo ma, purtroppo, è facile prevedere l'esatto contrario.

Ecco perché è opportuno che anche il governo italiano intervenga con forza in difesa di quanto resta delle grandi imprese italiane. E' necessario ma non basta. L'Italia ha come asse portante le medie e piccole aziende, spesso protagoniste sui mercati internazionali. Facile prevedere che saranno prede ideali. E ieri lo ha confermato l'offerta giapponese sulla Molmed, società di biotecnologie quotata in Borsa.

La blindatura del Paese significa il crollo dei consumi e, in molti casi, perfino l'azzeramento. Occorre avere ben chiaro che non c'è azienda, per quanto florida, che possa resistere più di qualche mese. Il blocco del turismo, la Caporetto delle compagnie aeree, la caduta verticale delle vendite di auto e moto, lo stallo generalizzato dei settori industriali (a parte eccezioni come l'alimentare e il farmaceutico) stanno innescando una spirale negativa destinata ad avere un impatto forte sulle banche . N on solo. Perfino le imprese esportatrici, il nostro fiore all'occhiello, sono in difficoltà gravi perché i clienti non fanno più ordini o cancellano quelli fatti, spesso manca la logistica, montatori o allestitori non possono partire o vengono rispediti in Italia. Come faranno le banche a dare crediti o capitale ad aziende che già oggi in un buon numero di casi hanno soltanto costi e non ricavi? Gli interventi approvati dal Governo rappresentano una boccata di ossigeno per gli italiani, a cui seguirà entro pochi giorni un altro provvedimento importante. Ma il problema, che risulterà evidente in tempi rapidi, è che siamo entrati in una fase di polverizzazione sia della domanda che dell'offerta. Il risultato è che le imprese cominceranno a saltare come birilli. Servono capitali in misura massiccia, serve inventarsi un meccanismo che permetta di trovare una via di uscita. Di sicuro è meglio non farsi illusioni per il fatto che l'Europa sta allentando i vincoli di bilancio. Il vantaggio è che così sarà forse possibile evitare che la stretta risulti rapidamente insopportabile. Ma, alla fine, il risultato sarà una crescita importante del debito pubblico. E i debiti vanno restituiti.

In più, quando cominceranno a circolare previsioni ancora più allarmanti sull'andamento del Prodotto interno lordo, il costo dell'indebitamento è destinato a diventare sempre più pesante, spingendo all'insù lo spread (come del resto sta già accadendo) e mettendo in difficoltà crescente la tenuta dei conti pubblici. L'effetto è che s'intrecciano due aspetti: la tenuta delle imprese e la tenuta dei conti pubblici. Non ci vuole molto a capire che la situazione è destinata a diventare sempre più difficile, molto probabilmente insostenibile, e non è possibile pensare di risolverla con aiuti a pioggia che non affrontino il problema vero: come evitare il fallimento delle aziende. Per venirne fuori serve l'equivalente di quello che è stato nel Dopoguerra il Piano Marshall per la ricostruzione. D'altra parte il presidente francese, Emmanuel Macron, lo ha detto nell'intervento di lunedì scorso ai connazionali: «Siamo in guerra». A mali estremi, estremi rimedi. L'errore più grande è non capire o fare finta di non vedere.

Fabio Tamburini – Il Sole 24 Ore – 18 marzo 2020

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A Dogliani il festival dei media: uno sguardo sull’Europa

L'Europa è ancora nel nostro futuro? Non è facile riunire su di un palco ben sei direttori delle principali testate nazionali per un dibattito su questo tema e sugli argomenti più caldi dell'attualità politica, economica, sociale italiana edeuropea. Ci sono riusciti gli organizzatori del Festival della Tv e dei nuovi media di Dogliani il 4 maggio scorso, intervistati dal Sarah Varetto, responsabile dei servizi informativi per l’Europa di SKY.

L'incontro tra i direttori Lucia Annunziata (Huffington Post), Marco Damilano (L'Espresso), Luciano Fontana (Corriere della Sera), Maurizio Molinari (La Stampa), Fabio Tamburini (Il Sole 24 Ore), Mario Tarquinio (Avvenire), Carlo Verdelli (la Repubblica) è stato moderato da Sarah Varetto, recentemente nominata News Projects Development Continental Europe del broadcaster di Sky. Si è animatamente discussoper sull’Europa a tre settimane dal voto. Grande interesse nel folto pubblico partecipante nella città del dolcetto DOCG Dogliani.

La prima riflessione sollecitata dalla conduttrice è stata:

Il mutato atteggiamento nei confronti dell’Europa, dagli inizi ad oggi.

Da quando vi era una corsa ad entrare a far parte dell’Unione, alla situazione attuale in cui c’è chi si si esclude perché si sente escluso, secondo Damilano (“L’Espresso”) il problema è stato quello di considerare la democrazia e l’Europa come un dato acquisito e i diritti e i doveri non sono stati vissuti come una battaglia quotidiana.

Ma l’Europa ha delle responsabilità in tal senso?

Per il direttore del “Sole 24 ore” (Tamburini)siamo stati abituati a sentirci l’ombelico del mondo, mentre oggi rassomigliamo all’Impero romano nella sua fase di decadenza, stretti fra Usa e Cina che si contendono la leadership mondiale in economia e in politica. E anche se l’UE non è condivisibile per tanti aspetti, non dimentichiamo che rappresenta ancora il mercato più ricco del mondoeche unita ha le capacità di recupero. Quanto all’Italia, siamo ancorai migliori nell’artigianato, anche se con la palla al piede dell’enorme debito pubblico, per il quale non riceveremo sconti ulteriori, nemmeno dai sovranisti.

E che cosa aspettarci, allora, dai sovranisti, contrari sia alla solidarietà economica che a quella nei confronti dei migranti?

Per Lucia Annunziata (“Huftington Post”) per battere i sovranisti, che non sono nemmeno riusciti a costituire una lista comune per le prossime elezioni, si deve votare non sotto il segno di “Europa o morte”, ma per soluzioni compatibili col suo sviluppo. L’Europa, infatti, si è già “disfatta” (Brexit, Francia e Germania in crisi) grazie anche agli errori sin qui compiuti: smantellamento della NATO, disimpegno in Medio Oriente, errata visione dell’Africa, vista solocome  terreno di competizione fra Paesi europei.

Da un’inchiesta del “Corriere della Sera” risulta che la maggior parte degli Italiani è a favore dell’Unione Europea: che significa?

Per il direttore Fontana ciò significa che gli italiani sono più “scafati” dei loro uomini politici, i quali hannovia via dimenticato le loro dichiarazioni anti- euro e anti-Unione. Del resto, l’attuale predominanza franco-tedesca è anche il frutto del nostro debito pubblico (ricordiamo che 100 punti di spread in più ci sono costati 8 miliardi di interessi in più!) e delle nostre continue richieste di flessibilità (conseguenza: altro debito!). Così, invece di dar via ad opere pubbliche bloccate si continua con interventi di sussidio, per dare poi la colpa alla Commissione europea.

A che cosa ha portato la globalizzazione non controllata?”

Risponde Verdelli direttore di Repubblica”: la crisi ha portato ad un odio della gente nei confronti del “mercato”,, ad una visione dell’Europa coincidente con l’euro (vista solo come una maestra che bacchetta), ad una reazione emotiva di rifiuto per il mancato miglioramento tanto atteso dal processo di unione degli Stati, invece di accusare i governo senza credibilità.

Ma vi sono anche altre questioni aperte, come l’aumento delle diseguaglianze e l’immigrazione…

Sappiamo bene, osserva Tarquini, direttore di “Avvenire”, che i governi italiani hanno barattato il problema dell’immigrazione in cambio della flessibilità. Già oggi 800.000 immigrati potrebbero avere la cittadinanza… Il problema è che in Italia è venuto meno lo sguardo solidale verso l’immigrazione; per questo, che cosa possiamo aspettarci in tal senso dall’Europa? Si tratta di una guerra economica, che divide le nazioni. Ma vi è una speranza ancora: i giovani (17/35 anni). Da una recente inchiesta, infatti, risulta che il 40% crede nelle istituzioni europee.

E le elezioni europee diventano terreno di scontro…

Certamente, per la vulnerabilità del sistema, afferma Molinari, che con il suo quotidiano segue da vicino le questioni di politica estera. Si tratta delle “interferenze maligne” da parte di attori esterni, che attraverso i social hanno influenzato, oltre al cosiddetto russian gate,  il referendum per la Brexit, le recenti elezioni tedesche e quelle catalane (il 70% sono risultate essere russe). Oltre alle interferenze, i pericoli vengono, come si è già detto, dalle diseguaglianze e dai migranti. L’unica risposta possibile ai sovranisti che le cavalcano sono i “Diritti”: sociali (lavoro, formazione, qualificazione), civili (per i migranti, insieme ai doveri), e anche “digitali” (vd. difesa copyright) trasferendo quelli che sono i nostri diritti dalla realtà al mondo virtuale.

Chiediamoci, allora, se l’Unione Europea sarà in grado di incrementare i diritti

Premesso che l’attualeclasse dirigente europea, paragonabile ad un “cimitero degli elefanti”,  ha gestito la fine di un modello politico-economico (dalla Brexit alle misure per la Grecia), per l’Annunziata non ci sono molte speranze in tal senso; infatti dalle elezioni uscirà una malferma coalizione, sotto attacco per conflitti interni.

Si sta assistendo, quindi, ad una vera crisi della leadership europea?

Il grosso problema sta nella crisi della classe dirigente, incapace di prospettive a medio e lungo termine, sempre alla rincorsa d soluzioni tampone. In quella italiana, poi, si è assistito ad un abbassamento: “io” (politico) sono uguale a “te” (popolo), mentre -sostiene Fontana (“Corriere della Sera”) - il politico deve essere migliore di me. Occorre, anche in occasione di queste elezioni europee, ripartire dall’aggregazione, dal confronto e dalla formazione dal basso.

E l’inadeguatezza economica come la pagheremo in concreto?

Tamburini invita ad accendere la speranza, a superare la crisi delle classi dirigenti (non solo politiche, ma professionali, imprenditoriali, ecc.), a ripartire dalle competenze nella consapevolezza che siamo ancora i migliori per fantasia, intelligenze, creatività nonostante la produttività e l’ingegno dei cinesi e degli americani.

Ma, lo spirito di demonizzazione della classe dirigente da qualche parte è partito?

La politica valeva sempre di meno, osserva Damilano, solo pronta a rispondere alle necessità immediate, all’inesorabilità, dimenticando che funzione della politica è la “scelta” e non la soluzione “tecnica” dettata dal pragmatismo puro. Oggi il governo sostiene di agire in nome del popolo(indefinito), di non essere né di Destra, né di Sinistra, in una eterogeneità dei fini. Bisogna invece ripensare le categorie politiche, che non possono essere quelle del secolo scorso, ma in grado di confronto e di scelta. L’altra questione, prima citata, è quella dei giovani, dai quali può iniziare la “resistenza”, come sembrano anticipare le risposte ai gravi omicidi, in Polonia  (l’elezione del sindaco di Danzica) o in Slovenia, con l’elezione di una donna europeista alla Presidenza.

Pertanto, può nascere una nuova generazione di europei?

Finora, secondo Tarquinio, i sovranisti hanno offerto una percezione distorta della realtà, grazie anche ai media che possono far leva sulle tendenze negative che ci sono nelle persone; quindi, responsabilità anche dei giornalisti (classe dirigente del Paese), i quali hanno dato spazio agli slogan dei politici sulle prime pagine, offrendo una informazione sommaria, a bocconi (vd. i 600.00 irregolari, che poi si sono rilevati essere 90.000, una volta contate le donne di pelle bianca, che stanno nelle nostre case e che non ci fanno paura). Le paure non vanno ingigantite, ma affrontate e semmai consolate. Forse, con le elezioni si avrà un quadro più frammentato, ma lo scossone potrebbe far ripartire gli Stati Uniti d’Europa.

E chi andremo a eleggere?

Per Molinari i sovranisti hanno in comune la ricerca di identità (come nel Nord Est), la volontà di riappropriarsi delle proprie radici (e le rappresentanze più forti sono in Paesi appartenenti all’ex impero austro-ungarico). Questo è il vero pericolo: potremmo ritrovarci Salvini antieuropeista aa guidare l’opposizione nel nuovo Parlamento. E, aggiunge Verdelli, proprio i Paesi sovranisti, che hanno ricostruito le loro economie grazie agli aiuti dell’Unione europea, ora la vogliono distruggere. Inoltre, poniamo attenzione ad un altro pericolo: una vera e propria mutazione genetica delle destre, sempre più estremiste, in diversi stati europei, che potrebbero entrare s fsr parte del nuovo Parlamento!

Clara Manca, 10 maggio 2019

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