In una recente intervista a proposito dell’assassinio del generale Qasem Soleimani, numero due del regime iraniano, la candidata presidenziale americana Elizabeth Warren ha dichiarato alla CNN: “perché adesso?”. Alla domanda del presentatore se per caso non vi sia una relazione fra la tempistica dell’azione e lo stato di impeachment del presidente, la signora Warren ha evitato di rispondere e si è limitata a rimarcare come un’operazione simile avvicina gli USA a una guerra che nessuno desidera. Che l’operazione rappresenti un cosiddetto “dragging the dog”, e cioè, una diversione è comunque opinione diffusa fra svariati osservatori americani.
I fatti suggeriscono come, al di là delle ragioni militari, la reale motivazione dell’accaduto sia di natura del tutto personale e costituita dal concertato tentativo del presidente di stornare l’attenzione dai guai in cui egli e in pratica tutta la sua amministrazione si ritrovano.
Non si tratta di fantasie. Molti dei suoi stretti collaboratori sono in galera e molti altri si sono dimessi. Non solo egli è stato sottoposto a impeachment dal congresso, ma anche collaboratori (eufemismo) come Pompeo, il Chief of staff Mulvaney e il nuovo avvocato factotum Giuliani (successore dell’ormai galeotto Michael Cohen) sono implicati nell’operazione di ricatto dell’Ucraina - congelamento di fondi per aiuti militari - allo scopo di gettare fango su Joe Biden, ex- vice presidente sotto Obama e adesso candidato alle elezioni del 2020. Come se non bastasse, Trump è inoltre indiziato di vari reati di natura fiscale dalla procura di New York, ragione che lo ha spinto a spostare la sua residenza a Miami.
Che Soleimani fosse l’abile architetto di una lunga serie di operazioni militari extra-territoriali e clandestine non era un segreto per nessuno, ma non sono stati proprio gli USA maestri in questo tipo di operazioni, esemplare quella della Baia dei Porci? Sta di fatto che né Bush né Obama adottarono la decisione di eliminare fisicamente il generale in modi così plateali, senza uno stato di guerra e in una nazione diversa dall’Iran. L’analogia con l’omicidio di Kashoggi per mano saudita in Turchia è folgorante.
Le spavalde e per così dire “bronzee” affermazioni di Mike Pompeo che Soleimani doveva essere fermato perché stava organizzando mortali operazioni a danno di cittadini americani assomiglia stranamente alle dichiarazioni dell’ex- Segretario di Stato Colin Powell all’ONU nel 2003, quando egli spergiurò che il regime di Hussein si preparava a usare armi di distruzione di massa a danno degli USA e dei suoi alleati. In realtà, le supposte armi di distruzione di massa non vennero mai trovate perché non erano mai esistite. Powell aveva spudoratamente mentito. Il risultato fu una guerra micidiale, centinaia di migliaia di morti, il rafforzarsi o il sorgere di deliranti movimenti islamici - vedi Daesh – e un Iraq tuttora disastrato e barcollante. Chi ci guadagnò fu invece la tentacolare Halliburton con un miliardario contratto di servizi all’esercito. Come noto, il vice presidente Dick Cheney era stato fino a non molto tempo prima amministratore delegato di tale società.
Insomma, l’invasione dell’Iraq fu giustificata con una menzogna e tutto suggerisce come anche i supposti imminenti progetti delittuosi di Soleimani lo siano. Caso mai, proprio il clamoroso e verosimilmente inutile assassinio di Soleimani provocherà sanguinose ritorsioni iraniane, se non altro per salvare la faccia. Nessuno degli osservatori politici ha dubbi in proposito.
Mentre è evidente la mancanza di una coerente strategia, l’operazione costituisce semmai un corollario dell’astiosa politica di Donald Trump – è la tipica gelosia dei parvenus affetti da narcisismo congenito - nel cercare di distruggere qualsiasi cosa Obama avesse patrocinato durante le sue presidenze, dal servizio sanitario generalizzato all’accordo nucleare con l’Iran. Contrariamente alle previsioni dei Soloni di turno, essa sta invece rafforzando il regime (in crisi per le sanzioni economiche) cosa manifesta nel gigantesco afflusso di popolo per i funerali. Inoltre, un altro effetto è la recente risoluzione del Parlamento iracheno di espellere le forze americane dal Paese. E siamo solo all’inizio.
Del resto, che i rischi siano superiori ai benefici immediati è stato sottolineato da vari personaggi non di parte e la cui conoscenza di cose iraniane e di Golfo Persico è fuori discussione. Tali sono state infatti le osservazioni di personaggi come Susan Rice, ex- ambasciatrice americana all’ONU, di James Stavridis, già comandante supremo alleato in Europa o di Michel Morell, ex- vicedirettore della Cia, mentre altri come il colonnello in congedo e commentatore politico Ralph Peters o il tre volte vincitore del Pulitzer, Thomas Friedman, hanno dichiarato che il vero pericolo per la democrazia e per gli USA abita alla Casa Bianca.
Mentre nessuno sa dove, come e quando l’Iran attuerà la sua vendetta, quali saranno le possibili contro-ritorsioni americane - la minaccia di distruzione di siti culturali iraniani è l’ultima cervellotica sparata del presidente - e gli imprevedibili sviluppi di una tensione regionale che potrebbe allargarsi, la situazione surreale è che un presidente sotto impeachment, ovvero messo in dubbio, gioca a rafforzare il suo ruolo di “Comandante in capo”, sperando così di stringere attorno a lui gli Americani. La tecnica era ben nota a personaggi come Mussolini, Hitler e Stalin.
Così, sempre più assediato, con un senato dove già affiorano incrinature – senatrici repubblicane come Lisa Murkowsky e Susan Collins hanno dichiarato che il processo deve includere i testimoni richiesti dal Congresso, fra cui Mike Pompeo e l’ex- Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, entrambi virtualmente imbarazzanti e incriminanti per il presidente – con l’ex-alleata di ferro FOX che adesso prende sempre più le distanze, la spericolata liquidazione di un generale è diventata la carta con cui tentare di capovolgere la situazione, o meglio, imbrogliare le carte..
Salvo che per i prudenti e per i miopi, troppi elementi di fatto indicano come quella sopra descritta, e non un'altra più sofisticata motivazione, sia alla radice di una decisione che rischia di replicare un altro disastro a spese della regione, mentre Donald Trump gioca a golf nella sua lussuosa residenza di Mar-a-Lago in Florida.
Antonello Catani, 7 gennaio 2020
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