Le bombe italiane sullo Yemen

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Non possiamo dire di non sapere. Persino il pubblico della Rai lo sa, visto che la tv di Stato ha trasmesso già tempo fa il documentario “Doppia Ipocrisia” incentrato sulla fabbrica italiana di armi RWM a Domusnovas, Sardegna, filiale della tedesca a Rheinmetall (“il metallo del Reno”), uno dei colossi tedeschi nella produzione di armamenti. Di più: il documentario ha pure ricevuto il premio Roberto Morrione, uno dei pochi che finanziano gli under 31, dedicato a un collega che quasi 20 anni fa fu anche il primo a portami a Rainews. La doppia ipocrisia del titolo è immediatamente evidente. Dopo l’assassino del giornalista saudita Jamal Khashoggi, il cui mandante secondo la Cia è il principe Mohammed bin Salman, la cancelliera Merkel ha dichiarato che la vendita di armi ai sauditi rimarrà ferma fino a quando la vicenda non verrà chiarita. In realtà l’export tedesco continua con le filiali estere della Rvm (una è anche in Sudafrica). L'editoriale di Alberto Negri sul sito Linkiesta.

Disastro Yemen, le responsabilità del'Italia

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Il mito degli alleati

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      La recente conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera conferma, se mai ve ne fosse bisogno, il perdurare di un patetico mito e dei suoi inconfutabili complementi: una sorta di nevrosi ossessiva – quella del “nemico”, identificato con la Russia, ma non solo – e di un messianico e non richiesto complesso di gendarmeria planetaria, graziosamente definita come “la responsabilità della leadership” da uno degli oratori americani, l’ex-vice presidente Joe Biden.

      Mentre questi elementi sono affiorati in modo per così dire soffice nel discorso di un personaggio per molti versi moderato e autorevole come quest’ultimo, essi sono invece apparsi con ben altra rozzezza in quello dell’inespressivo e sbiadito attuale Vice Presidente americano, Mike Pence, ombra cortigiana di Donald Trump.

     A parte queste differenze di approccio, entrambi hanno fatto largo uso di slogans più appropriati alle anticaglie di un rigattiere che  a una politica estera realistica e lungimirante. Continuare infatti a parlare con disinvoltura di “mondo libero” e di “alleati”, pretendendo, fra le altre cose, che gli Europei spendano di più per le spese militari della Nato, ricorda certi films di propaganda della seconda guerra mondiale e poi della guerra fredda. Le nozioni sono sempre là, con la stessa ripetitività e coazione tipiche delle nevrosi ossessive. Nel nostro caso, la nevrosi è rappresentata dalla proiezione del nemico: prima solo la Russia, poi negli ultimi anni anche l’Iran e ora, per il momento solo sub specie commerciale, la Cina. Molti sembrano dimenticare il ruolo determinante dell’establishment militare-industriale americano in tale incessante rinforzo dell’immagine del nemico. E’ così che, nonostante la fine della seconda guerra mondiale, che aveva partorito una gigantesca macchina bellica, una cospicua parte di quest’ultima è stata mantenuta in piedi con vari pretesti, dalla democrazia da difendere alla vigilanza planetaria e alla lotta contro il comunismo.

In realtà, ognuno di questi pretesti zoppica o è platealmente smentito dai fatti, ponendo così a nudo la faccia tosta e la scarsa lungimiranza delle amministrazioni americane post-belliche, che non vanno necessariamente interpretate come la voce corale di tutta l’America, ma piuttosto di una ristretta èlite, come già aveva osservato molti anni fa Wright Mills. Ma ciò è notorio.

Entrando ora nei dettagli, esigere dagli Europei un atteggiamento duro nei confronti dell’Iran e della Russia e dichiarare decaduto il presidente venezuelano Maduro perché sarebbe poco democratico è  a dir poco esilarante. Certo, il regime iraniano e quello di Maduro non brillano per tolleranza e per libertà politica e religiosa e dovrebbero cambiare o essere rimossi, ma condannare solo costoro equivale ad utilizzare due pesi e due misure e priva l’atteggiamento di Washington di qualsiasi credibilità. Quale sarebbe infatti la differenza fra il detestato Iran e regimi come quello saudita o il Pakistan?

Il primo si distingue per il suo imperterrito feudalesimo di tipo familiare, per le sue feroci carneficine in Yemen, per le sue esecuzioni - ultima quella di Kashoggi in Turchia -  e per torbidi finanziamenti all’Islamismo più intransigente (per una sospetta coincidenza, prima dell’arricchimento petrolifero della penisola Araba non si sentiva parlare di terrorismo islamico).

Il secondo rigurgita di persecutori di cristiani e di punitori di ragazze che hanno infranto la Shariah e, particolare inquietante, è anche una potenza nucleare… Nonostante il fanatismo religioso vi sia moneta corrente, l’Amministrazione americana fa finta di non sapere, di non vedere e soprattutto non sembra preoccuparsi dell’arsenale atomico del Pakistan, mentre invece scaglia fulmini e saette contro le ambizioni atomiche della Corea del Nord. Le rinnovate tensioni con l’India dopo la strage di militari indiani ad opera di un gruppo integralista pakistano a Pulwama, nella parte di Kashmir amministrata dagli Indiani, giustificano le inquietudini riguardo agli armamenti atomici di regimi poco liberali e settari come quello pakistano, anch’esso partner dei Washington. Solo i miopi (caritatevole  eufemismo) possono ignorare questa perversa costante di amicizie con regimi notoriamente illiberali.

      Continuare quindi a parlare di “mondo libero” e di “alleati” assomiglia ai films di propaganda che gli Stati Uniti sfornavano durante la seconda guerra mondiale e immediatamente dopo. Ciò avveniva quando vi era un Hitler da debellare e poi una “cattiva” Unione Sovietica, creatura peraltro sostenuta proprio dagli Stati Uniti durante la guerra, altra rovinosa contraddizione. Solo l’ipocrisia può infatti rimuovere l’idea che esistesse differenza fra le  isterie e le bestialità razziali di Hitler e le selvagge epurazioni di Stalin. Anche qui, gli occhi vennero chiusi con buona pace dei milioni di morti staliniani. Ma oggi Hitler fortunatamente non esiste, la Russia è diventata capitalista e gli oligarchi hanno sostituito i boiardi zaristi e la nomenklatura sovietica. Anzi, miliardari britannico-americani di origine russa come Sir (!) Leonard Blavatnik – nato a Odessa e con laurea a Mosca – offrono bizzarri finanziamenti a senatori e deputati americani dei due partiti.

      L’ossessione anti-russa ha del resto origini antiche, stimolata come fu per secoli dai timori britannici di un’espansione zarista verso il Mediterraneo. Furono quei timori a spingere la Gran Bretagna a proteggere a tutti i costi i Sultani dalle pressioni di Pietroburgo, almeno fino a quando non si scoprì che bisognava invece liberare gli Arabi – vedi il famigerato Colonnello Lawrence – e bastonare così i Turchi. Mirabili capovolgimenti dell’utilitarismo di Stato…

      Sotto certi aspetti, insomma, la paranoia anti-russa attuale s’inserisce in uno scenario che affonda nel passato. Pur credendo che nessuno è al di là di ogni sospetto, Russi inclusi, rimane il fatto che, dopo la caduta del muro di Berlino, la penetrazione russa in Europa occidentale avviene con forniture di gas, invise a Washington, mentre quella americana travestita come “basi Nato” è presente ovunque sub specie militare. Non ci sarebbe quasi bisogno di sottolinearlo, tanto il fatto è lampante, ma le perduranti accuse di annessione della Crimea, vociferate e martellate anche dalla BBC (tacito e larvato governo ombra britannico) sono anch’esse espressione di una notevole impudenza. Le petulanti accuse britanniche riguardo alla supposta annessione della Crimea (di fatto, un credibile referendum) stridono con la pretesa di continuare ad occupare Gibilterra (territorio iberico), le zone di Akrotiri e Dhekelia (a Cipro) o le Falklands (a due minuti dall’Argentina), giusto per fare degli esempi.  

Mai etichette furono insomma più mistificanti di quella di “mondo libero”. Essa è fatta di mezze bugie e di mezze verità e solo il dilagante intorpidimento e il rincretinimento di massa alimentato dai vari Facebook, Twitter e simili, e dai pantani dei faccendieri pubblico-privati ne facilitano l’equivoco.

Un esempio di mondo libero, ironicamente allineato a immemoriali tradizioni, è quello di far sostenere dagli occupati una notevole parte dei costi dell’occupazione … Lo facevano gli antichi Imperi, lo facevano gli Inglesi in India – erano i vari Stati indiani a pagare le spese del personale civile e militare inglese – e continuano a farlo gli Americani dalla Germania all’Italia, alle Filippine e alla Corea del Sud. Non è infatti un mistero per nessuno che ancora oggi siano stazionati 35.000 soldati americani in Germania, 12.000 in Italia, 40.000 a Okinawa e 23.000 nella corea del Sud. Le richieste prima menzionate di una maggiore contribuzione dei membri europei alle spese della Nato (in realtà cordone sanitario statunitense anti-russo) s’inseriscono in questa collaudata tradizione.

Se il mito dell’alleato, e quindi del nemico perdura, due nemici ben più pericolosi non ricevono al contrario l’attenzione che si meriterebbero. Solo l’insipiente arroganza di un Donald Trump può infatti misconoscere l’inquietante mutamento climatico in atto, mentre anche i governi più illuminati stanno trascurando lo spettro dei secoli futuri: l’agghiacciante aumento della popolazione del pianeta in Africa, nel Sub Continente indiano, in Indonesia e in Cina.

"Questi" sono nemici ben più temibil.

Antonello Catani, 1 marzo 2019

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Sauditi, Emirati e le bombe sullo Yemen

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«In risposta all’assassinio di Jamal Khashoggi e ai bombardamento del regime nello Yemen», il governo finlandese ha ritenuto giusto allargare la black list sull'export di armi anche gli Emirati Arabi. Aggiunta tutt'altro che insignificante, visto che di armi agli Emirati Arabi i Paesi occidentali ne vendono parecchie, e che le commesse bandite a Riad possono rientrare dalla finestra attraverso Abu Dhabi o Dubai: gli Emirati sono il principale alleato dell'Arabia Saudita nelle campagne militari, più di un suo Stato satellite. Intanto la coalizione filo-saudita, che dal 2015 bombarda indiscriminatamente lo Yemen, ha sul terreno le forze emiratine (soprattutto mercenari stranieri), per le organizzazioni per i diritti umani autori di gravi crimini di guerra. Il commento di Barbara Ciolli sul sito lettera43.

Yemen, la guerra dimenticata

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