Governo Renzi in bilico al Senato

Renzi scherza con il fuoco. Se vuole lo strappo rischia di procurarlo. Ma chi può volere una crisi di governo e magari elezioni anticipate in tempi brevi? Non Berlusconi, a quel che è dato intuire. E ancor meno le minoranze interne, che rischierebbero di pagare la «sfida» al segretario con una vera e propria decimazione dei propri parlamentari. È per questo che Matteo Renzi non temeva – anche se non la cercava – la prova di forza sull’articolo 18. Ma nei bizantinismi rituali della politica italiana, non esistono solo rotture clamorose e voti anticipati: esiste anche – praticatissimo – il lento logoramento, rischio per il premier ancor maggiore... Così Federico Geremicca su La Stampa.

Pd, scissione lontana ma Matteo rischia

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Il federalismo degli sprechi nazionali

Il Ponte Nord di Parma è un guscio vuoto, senza impianti di riscaldamento e non del tutto adeguato alle normative antincendio – spiega l’assessore ai Lavori pubblici Michele Alinovi – Per renderlo abitabile e usarlo, ci vorrebbero altri 3 milioni di euro”. Ma prima di pensare ai soldi, c’è la burocrazia. Perché per aprire al pubblico il ponte, occorre una variante urbanistica, un atto del governo per permettere usi permanenti di interesse pubblico sovracomunale all’interno dell’infrastruttura. Una richiesta che Pizzarotti ha già inviato a Roma, prima a Enrico Letta e poi al premier Matteo Renzi, ottenendo in cambio promesse che però non si sono ancora concretizzate. Il via libera, già accordato da Regione e Aipo, sarebbe già dovuto arrivare con il decreto Sblocca Italia, ma nel testo l’opera parmigiana non è stata inclusa. “Non abbiamo chiesto soldi, ma solo l’autorizzazione per sbloccare l’opera – ha spiegato Pizzarotti – Ho parlato con la presidenza del consiglio e ci hanno detto che per ora sono stati presi provvedimenti generici, ma che presto ci saràun decreto attuativo appositamente per il ponte. La speranza è di ottenere il via libera, per non vedere sprecate risorse pagate da tutti”. Così Silvia Bia su Il Fatto Quotidiano. 

I soldi sono pochi e questi pochi gettati al vento, Parma insegna

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Lo stellone dell'Italia renziana chiede aiuto a Mario

Jens Weidmann, successore di Weber alla Buba, nel 2012 si oppose alla svolta con cui Draghi promise sostegno illimitato ai Paesi che avessero accettato un programma di riforme. Quella promessa non costò un euro, salvò l'Italia e la moneta unica e dimostrò che la Buba si sbagliava e andava messa in minoranza. Se questa storia ha ancora un senso, è perché continua: la banca centrale tedesca si oppone a ciò che serve per scongiurare la deflazione. Come hanno già fatto la Federal Reserve americana, la Banca del Giappone e quella d'Inghilterra, per fare il suo dovere oggi la Bce ha bisogno di creare almeno mille miliardi di euro e comprare a tappeto titoli pubblici e privati dei Paesi dell'area euro. È il cosiddetto "quantitative easing", inaugurato dalla Fed nel 2009. Avrebbe già dovuto farlo, risparmiando un po' dei problemi di debito, crollo degli investimenti e stallo dell'export che oggi affliggono l'Italia e altri Paesi. Non è successo perché Draghi non ha voluto muovere un passo del genere contro la Bundesbank. Così Federico Fubini su la Repubblica.

Eurozona nelle mani di Draghi

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