Pericolo recessione mondiale, grazie a Trump

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«Noi siamo pronti a fare quel che è necessario per sostenere l’espansione, ma la politica commerciale rappresenta una nuova sfida, è un affare che riguarda il Congresso e l’amministrazione, non la banca centrale». Jerome Powell, aprendo ieri l’annuale incontro della Federal Reserve a Jackson Hole, è stato chiaro. Se arriverà una recessione, Donald Trump dovrà prendersela con se stesso non con la Federal Reserve. Mentre parlava, le agenzie di stampa battevano la notizia che la Cina aveva deciso, come ritorsione, di colpire prodotti americani per 75 miliardi di dollari. Il presidente della Fed, dunque, ha detto “il re è nudo”. La guerra dei dazi è il maggior pericolo che incombe sulla economia internazionale.Ma attenzione, non c’è solo questo. Le nubi che s’addensano all’orizzonte sono in gran parte nubi politiche e se arriverà un nuovo crac, sarà a tutti gli effetti una crisi politica non economica. Il commento di Stefano Cingolani su Linkiesta.

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L'opinione comune prevalente dopo la crisi del 2007 è quella che esalta un leader potente, che potrebbe e dovrebbe sistemare le cose da solo (di rado gli uomini forti sono donne). Questo approccio è balzato subito agli occhi nella reazione del governo russo al crollo dei prezzi dell'alluminio nel 2009, quando la perdita dei posti di lavoro e i salari non pagati hanno fatto esplodere manifestazioni su vasta scala in una fabbrica di Pikalevo, 250 chilometri a sudest di San Pietroburgo. L'editoriale del prof. Harold James su Il Sole 24 Ore.

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A partire dal 2013 la politica monetaria americana ha aumentato esponenzialmente la sua ambiguità: il ritorno alla normalità è stato prima temporaneamente legato ad obiettivi macroeconomici; poi, con il cambio della presidenza da Bernanke alla Yellen, la strategia di politica monetaria è stata caratterizzata dalla massima discrezionalità, quindi opacità. L'editoriale di Donato Masciandaro su Il Sole 24 Ore.

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