Mummies. Il passato svelato

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Il Museo Civico Archeologico di Bologna apre un nuovo capitolo per la valorizzazione di una parte importante della propria collezione egizia. Grazie a una proficua collaborazione scientifica avviata nel 2019 con l'Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research di Bolzano, è stato possibile realizzare l'articolato progetto Mummies. Il passato svelato finalizzato alle indagini diagnostiche e al trattamento conservativo di due rare mummie umane custodite nei magazzini del museo dalla fine degli anni Settanta: la mummia con il sudario dipinto e la mummia di fanciullo con tre tuniche, appartenenti rispettivamente alle collezioni formate dall'artista bolognese Pelagio Palagi (1775-1860) e da Federico Amici (1828-1907), che ricoprì importanti incarichi in Egitto per conto del Khédive Muhammad Tewfik Pasha (1852-1892). Lo studio antropologico e paleopatologico è stato condotto dall'Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research di Bolzano in collaborazione con il Dipartimento di Radiologia dell'IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna - Policlinico di Sant'Orsola, presso il quale è stato eseguito l'esame tomografico computerizzato utile per ricostruire il profilo biologico dei due individui. Dopo essere stata affidata alle cure del Centro Conservazione e Restauro "La Venaria Reale", la mummia con il sudario riccamente dipinto, appartenuta a una donna vissuta in epoca romana (I-II sec. d.C.), torna ora ad essere esposta in via permanente nella Sezione Egizia del museo. La sua restituzione alla comunità scientifica e alla fruizione pubblica riveste un carattere di eccezionale interesse storico: sono solo due al mondo i resti umani mummificati ancora avvolti in sudari integri di questo tipo e di questa epoca. L'intervento conservativo che ha interessato la seconda, non meno rara, mummia di un fanciullo accuratamente avvolto in tre tuniche, databile all'Egitto Medievale (XIII sec. d.C.), è stato invece svolto dalla restauratrice di tessuti antichi Irene Tomedi dell'Accademia Tessile Europea di Bolzano, già nota per il restauro della Sacra Sindone. In entrambi i casi, gli interventi conservativi sono stati eseguiti in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa. Le due mummie sono state esposte nella mostra Mummies. Il passato svelato, organizzata al NOI Teck Park di Bolzano dal 2 settembre al 20 ottobre 2022, nell'ambito del 10th World Congress on Mummy Studies (WMC 2022).
In occasione del loro ritorno a Bologna, il Museo Civico Archeologico promuove un ciclo di tre conferenze per condividere con un pubblico più ampio di quello specialistico i risultati dell'importante lavoro interdisciplinare condotto con numerose e prestigiose collaborazioni, in cui sarà possibile ripercorrere la storia di due antichi egiziani e il loro viaggio per giungere fino a oggi. Seguendo il filo di trama e ordito saranno svelate anche altre storie di restauri e tessuti antichi.

Gli incontri, a ingresso gratuito, si svolgeranno nella Sala Risorgimento del museo con il seguente calendario:

Sabato 18 marzo ore 17.00 Irene Tomedi (Accademia Tessile Europea di Bolzano) Conservare tessuti antichi: dalla Sacra Sindone alle tuniche egiziane. Sabato 25 marzo ore 17.00
Daniela Picchi (Museo Civico Archeologico di Bologna), Alice Paladin e Marco Samadelli (Eurac Research) Storia di una ‘bella’ egiziana da Tebe Ovest. Sabato 1 aprile ore 17.00 Paola Buscaglia e Roberta Genta (Centro di Restauro e Conservazione "La Venaria Reale") Implicazioni etiche e metodologiche nel restauro di una mummia con sudario dipinto. Il tema complesso dell'esposizione delle mummie, e delle relative implicazioni in ambito etico, museologico e giuridico, è oggetto di un irrisolto dibattito. All'esigenza di una cura ed esposizione doverosamente rispettosa dei resti umani, prevista anche dal codice etico dei musei (ICOM), si contrappongono spesso la sovraesposizione mediatica o l'abbandono nei magazzini per difficoltà emotive di interazione o per un rifiuto ideologico. Il progetto Mummies. Il passato svelato supera tali contraddizioni mettendo al centro la dignità dell'individuo e quindi dell'esposizione dei resti umani, che è possibile solo in particolari condizioni. Lo studio antropologico e paleopatologico, l'analisi e il trattamento conservativo dei tessuti hanno permesso di far luce sulla vita di due antichi Egiziani, restituendo loro l'identità perduta e rendendoli testimoni di una storia millenaria che merita di essere conosciuta.

Patrizia Lazzarin, 18 marzo 2023

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Klimt e l’arte italiana

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Le opere esposte raccontano, in parte, sogni che sembrano contenere la veridicità del reale. Sono immagini della primavera, emblema della rinascita: distese coperte di fiori dove si scorgono donne che racchiudono una bellezza preziosa. Sono figure fragili, simili a sinuose ampolle di vetro, immerse  in una vastità di dalie e di rose completamente sbocciate e colorati frutti che permettono di percepire il senso panico della natura. Etimologicamente panico ci riporta a Pan, al dio greco dei boschi, ma anche alla radice πάν che nel greco antico significa tutto.

Le opere  di Galileo Chini, visibili nella mostra che si apre oggi al pubblico, al Mart di Rovereto, esprimono uno dei principali valori della Secessione Viennese, l’associazione  di artisti austriaci e tedeschi che, tra la fine del XIX e del XX secolo inseguì l’idea di una fusione completa delle arti: un’arte totale. Nacque il desiderio di dare nuova forza all’espressione figurativa in grado di catturare attraverso la bellezza del mondo sensibile il senso  della pienezza. La rassegna intitolata KLIMT E L’ARTE ITALIANA  pone in luce le relazioni e le influenze del maggiore esponente della Secessione viennese, Gustav Klimt sull’arte figurativa  italiana di quegli anni. Ammiriamo un mondo che si costruisce con oro, lapislazzuli, mosaici e frammenti preziosi che conosciamo dalla visita delle basiliche ravennati e dei palazzi e delle chiese veneziane, fra cui in particolare San Marco. Il percorso espositivo si sviluppa nella sua ideazione da due delle opere che appartengono al periodo aureo di Klimt: Giuditta II del 1909 e Le tre età della donna del 1905, che egli realizzò dopo aver visto Venezia e Ravenna e aver quindi maturato una differente visione pittorica. Sono opere che appartengono ai musei italiani.

La prima venne acquisita dal Comune di Venezia dopo la Biennale del 1910 per la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, mentre la seconda fu acquistata dal Ministero dell’Istruzione, dopo l’Esposizione Internazionale del 1911 a Roma, per destinarla alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Le parole della curatrice Beatrice Avanzi che leggiamo fra le prime righe del suo intervento nel catalogo della rassegna, edito da SilvanaEditoriale, racchiudono alcune delle principali finalità di questa grande esposizione. La studiosa riprende un’affermazione  del critico Gino Damerini in occasione della presentazione di una sala personale dedicata a Klimt, nella Biennale di Venezia del 1910: L’arte di Gustav Klimt è incantatrice. Parole profetiche, come racconta Avanzi. Klimt ha affascinato un’intera generazione di artisti, determinando un vasto influsso che ha contribuito a delineare una delle pagine più suggestive dell’arte italiana di inizio secolo. Messo in luce dalle più recenti rassegne consacrate al maestro austriaco, questo fenomeno viene qui analizzato per la prima volta nella sua complessità e ricchezza, con esiti talora sorprendenti. Lo stile sontuoso e decadente della Secessione è portatore di nuove suggestioni che, fondendosi con le più riconoscibili caratteristiche della cultura italiana, danno vita ad un linguaggio unico e originale, declinato con accenti differenti da numerosi artisti.

L’idea in origine, dell’esposizione, come ha rivelato la curatrice durante la conferenza stampa, nacque da discussioni con il Presidente della Fondazione Mart di Rovereto, Vittorio Sgarbi, molti anni fa quando lei era direttrice del Museo D’orsay a Parigi. Fra le prime opere che incontriamo in mostra  quelle di Vittorio Zecchin, il pittore, mosaicista e creatore di arazzi e mobili dal segno originale, nato a Murano. Il mondo esotico e favoloso che osserviamo nelle sue opere  incanta il  nostro sguardo  come nel ciclo delLe mille e una notte per cui ricevette il nome di Klimt italiano. Egli ci  proietta in un  ritmo che rammenta le fiabe, dentro una sfilata di ancelle e guerrieri, impreziosita dalle tinte accese. Principesse che sembrano quasi  bizantine, nella loro apparente immobilità, si muovono lente in una cerimonia possiede la ritualità del sacro. 

Fra i molti artisti, quelli  di Ca’ Pesaro: Teodoro Wolf Ferrari, Guido Marussig, Tullio Galbari e anche Felice Casorati. Sono pittori che furono sensibili al Postimpressionimo e alla corrente Nabis, ma che guardarono soprattutto al mondo mitteleuropeo, grazie alla mediazione di Klimt. I loro paesaggi nella finezza della decorazione e nell’essenzialità dei messaggi che concentrano l’armonia delle linee e dei colori, sono poesie di raffinato lirismo. Sull’eco di questa  particolare sensibilità, il quadro La preghiera di Felice Casorati, pervaso  di una toccante spiritualità, coglie altre suggestioni provenienti  dalla figurazione klimtiana. Molte altre saranno le opere pittoriche di Casorati che manifestano la sua ricerca di “sincerità”… che vedremo al Mart.

Le creazioni di Adolf Wildt intrise in parte di decorativismo, ma memori della lezione dei maestri dell’arte gotica, barocca e neoclassica, gli hanno a volte assegnato il titolo di Klimt della scultura. L’imagerie che la rassegna ci permette di conoscere è differente e curiosa. Fra i suoi rappresentanti più autorevoli scopriamo Attilio e Guido Trentini, Luigi Bonazza, Luigi Ratini, Gino Parin, Emma Bonazzi, Mario Reviglione e ancora altri che consegnano spesso un’immagine  a volte estremamente sensuale, altre dissacrante del femminile, espressione di un sentire nuovo che si affaccia alla modernità con differenti strumenti e intenti.

Patrizia Lazzarin, 16 marzo 2023

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Piani urbani di adattamento climatico

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I Piani di adattamento climatico rappresentano uno degli strumenti più efficaci a disposizione di Paesi, regioni e comuni per definire misure e azioni per rendere il territorio meno vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico. Ma come valutarne la qualità e il grado di “progresso”? Quali criteri possono definirne l’efficacia, tanto nel contesto locale quanto in quello nazionale e internazionale? 

A questi interrogativi ha provato a rispondere un gruppo di ricerca multidisciplinare coordinato dall’Università di Twente in Olanda, a cui hanno partecipato studiosi di vari stati europei, tra cui l’Italia con l’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imaa) di Tito Scalo a Potenza e il Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e meccanica dell’Università di Trento. “Dopo l'Accordo di Parigi del 2015, è cresciuto l’interesse degli studiosi e  dei governanti verso la valutazione dei progressi dei Piani di adattamento ai cambiamenti climatici considerati sulla base di diverse scale. In questo contesto, però, mancava una metodologia univoca per valutarne la qualità e verificarne i progressi nel tempo”, spiega la ricercatrice Monica Salvia del Cnr-Imaa. “A tal fine, abbiamo per la prima volta definito un indice di qualità, l’ADAptation Plan Quality Assessment (ADAQA), che ci ha permesso di identificare i punti di forza e di debolezza dei processi di pianificazione dell'adattamento urbano nelle città europee”. 

Tale indice è stato calcolato sulla base dei 167 Piani di adattamento adottati tra il 2005 e il 2020 su un campione rappresentativo di 327 città medie e grandi di 28 Paesi europei, per valutarne la qualità e l'evoluzione nel tempo. Esaminando le diverse componenti dei Piani si nota che le città sono migliorate soprattutto nella definizione degli obiettivi di adattamento e nell’identificazione di misure e azioni nei diversi settori. La capitale bulgara Sofia e le città irlandesi di Galway e Dublino hanno ricevuto i punteggi più alti.

Il panorama italiano risulta invece abbastanza nebuloso, sia in termini di numero di Piani urbani sviluppati, sia in termini di qualità: “Tra le 32 città italiane incluse nel campione, risulta che solo due città - Bologna e Ancona - avevano nel 2020 un Piano di adattamento. Tale situazione probabilmente, risente dell’assenza di un quadro di riferimento nazionale per supportare la definizione di strategie e Piani locali e regionali. Il Piano nazionale di adattamento è infatti ancora in fase di adozione”, aggiunge la ricercatrice Cnr-Imaa. 

 “Nel complesso, i Piani di adattamento delle città europee ottengono una buona valutazione nella descrizione delle misure di adattamento (51% del punteggio massimo), nella definizione degli obiettivi di adattamento (50%) e nella identificazione degli strumenti e processi di attuazione (46%)”, aggiunge la ricercatrice Filomena Pietrapertosa (Cnr-Imaa). “I risultati mostrano che la qualità dei Piani è migliorata significativamente nel tempo, sia su base annua sia nel corso degli ultimi 15 anni. Viceversa, i Piani presentano carenze nel livello di partecipazione pubblica al processo di definizione del Piano (17%), e nella definizione delle fasi di monitoraggio e di valutazione (20%). Tuttavia, la situazione è in continua evoluzione e in rapido cambiamento: monitorare lo stato di avanzamento delle politiche di adattamento nei prossimi anni sarà utile per capire se, e a che ritmo, le città europee e italiane si stanno muovendo verso la definizione di Piani sempre più completi e capaci di rafforzare la resilienza dei loro territori”. Lo studio di cui si è parlato è stato pubblicato sulla rivista Nature Npj Urban Sustainability.  

Patrizia Lazzarin, 10 marzo 2023

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