La solidarietà da Giovanni Paolo II a Francesco

Il tramonto del XX secolo appare segnato da un senso di smarrimento, in particolare riferimento a quei valori etici e morali che per secoli hanno segnato la costruzione stessa della nostra società occidentale. Valori, questi che, pur se concettualizzati in contesti pagani dalla filosofia ellenica e dal diritto romano, e poi cristianizzati in seguito, hanno condotto l’uomo alla ricerca del suo proprio essere nel rispetto di se stesso e degli altri.

Antonio Pieretto scrive che l’uomo, di fronte a questo smarrimento: «appare spaesato e incapace di dare un orientamento alla propria vita. Non ha nostalgia né rimpianti: interamente ripiegato sul presente, immerso nella quotidianità, come sopraffatto ne asseconda l’inesorabile e repentino trascorrere». Lo smarrimento non rappresenta ancora la rinuncia a vivere o ad arrendersi alla quotidianità, ma costituisce piuttosto una sorta di lucido quanto coraggioso abbandono all’ineluttabilità di una situazione avvertita come intrascendibile.

II 30 dicembre 1987 fu pubblicata l'enciclica di Papa Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis in occasione del ventesimo anniversario del testo postconciliare Populorum progressio di Paolo VI. Il nuovo documento magisteriale si situa nell’ambito della dottrina sociale della Chiesa con pretese di continuità e rinnovamento. Nella considerazione della questione sociale, il documento implica, tuttavia, un salto qualitativo. Il nucleo delle analisi non è il problema della relazione tra ricchezza e povertà, ma il dramma dello sviluppo, i suoi squilibri, le disuguaglianze che comporta e la sua origine morale. D’altro canto, se l’enciclica pretese idealmente di costituire l'istanza critica del capitalismo liberale e del marxismo collettivo, la lettura attuale, dopo la caduta del muro di Berlino, si deve orientare necessariamente verso i problemi del funzionamento del sistema che ha trionfato, verso la logica di un mercato che, basato sul beneficio economico e sull'accumulazione dei beni, tende a prevalere sopra considerazioni etiche di dignità e libertà umane. Nonostante, per evitare confusioni concettuali, l’enciclica lascia chiaro già dalle sue prime pagine che la proposta della Chiesa gira intorno ad un concetto di solidarietà morale, che esige una intellezione corretta del termine sviluppo: «Il vero sviluppo non può consistere nella semplice accumulazione di ricchezza e nella maggiore disponibilità dei beni e servizi, se ciò si ottiene a prezzo del sottosviluppo delle moltitudini, e senza la dovuta considerazione per le dimensioni sociali, culturali e spirituali dell'essere umano».

L'idea dello sviluppo diffusa nella coscienza collettiva già dalla fine della Seconda Guerra mondiale, non sembra abbia mutato essenzialmente la prospettiva attuale. Lo sviluppo progettato non ha tolto le realizzazioni previste e l'umanità nel suo insieme si scontra con problemi tradizionali, uniti ad altri nuovi che aggravano la convivenza e la pace internazionale. Senza dubbio, la logica del mercato descrive gran parte della nostra umanità. La mondializzazione dell'economia, la cultura globale e la civilizzazione unica non è sempre stata un modello perfetto ma ha portato in sé anche molte contraddizioni. L'informazione negli ultimi trent'anni, per esempio, pur essendo superiore a quella prodotta durante i 5000 anni precedenti, tuttavia solo il 3% (1995) della popolazione mondiale ha la possibilità di accedere a Internet; solo l’isola di Manhattan ha più linee telefoniche che il continente africano sottosviluppato; le risorse economiche delle 358 persone più potenti del pianeta superano quelle di 2600 milioni di persone considerate povere. Questi ed altri dati del nostro tempo confermano il carattere profetico dell’enciclica, la quale si riferisce a “speranze dello sviluppo” ed a scarse realizzazioni.

La presenza di una parte dell'umanità che vive nell'ombra drammatica della miseria e le differenze economiche tra il Nord e il Sud; l'analfabetismo, l'oppressione e la violazione dei diritti fondamentali della persona sono effetto di sistemi politico-economici che controllano ed annullano l'iniziativa individuale, sfociando a volte in totalitarismi inaccettabili. La ratio disumana di una concezione ultraliberale del mercato aggrava le condizioni dell'uomo in un mondo interdipendente. Lo sviluppo proclamato si è ridotto frequentemente ad una considerazione economica e ad un privilegio di pochi. Unito al miraggio dello sviluppo, convive con la carenza di beni indispensabili per lo sviluppo umano integrale: lavoro e alloggio, dignitosi per tutti. Ugualmente, la divisione artificiale della società in due blocchi contrapposti, sotto strutture opposte di esercizio del potere, e in ultima istanza, una comprensione differente dell'uomo, hanno legittimato durante i decenni la corsa agli armamenti, conflitti bellici e una sottile tendenza verso l'imperialismo o neocolonialismo.

Nonostante tutto, la descrizione negativa del documento sulle realizzazioni dello sviluppo non ignora certamente orientamenti positivi conquistati per l'unione delle forze sociali: la coscienza dell'inviolabilità della dignità dell'essere umano e il rispetto dei diritti degli uomini (in modo speciale il diritto alla vita); l'emergere di una nuova convinzione, motivata per l’interdipendenza, intorno all'idea del bene comune come «sforzo e impegno di tutti»; la preoccupazione per la pace globale e la responsabilità ecologica.

“L'autentico sviluppo umano” incontra la sua radice nella vocazione dell'uomo, che non è contraria al possesso dei beni nella cornice di una gerarchia di valori. Dal punto di vista del credente ciò che si manifesta come contrario alla vocazione dell'uomo «è l’ingiustizia della cattiva distribuzione dei beni e dei servizi destinati originariamente a tutti».

La destinazione universale dei beni delimita definitivamente il problema dello sviluppo nell'ambito della riflessione morale. Le cause che si oppongono allo sviluppo sono, principalmente, d'ordine morale. Lo sviluppo è sottomesso a strutture di peccato che hanno origine nel peccato personale dell'essere umano. Alla inosservanza del decalogo si aggiungono due categorie operanti nel nostro tempo: la ricerca esclusiva del profitto e la sete di potere. Tuttavia, il credente scopre nella conversione la trasformazione della sua condotta personale che genera una interdipendenza solidale. È la solidarietà, ossia «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia, per il bene di tutti e di ciascuno»; 5 un compromesso per la responsabilità di tutti verso tutti; dei potenti, per disporre dei loro beni in favore dei più deboli; di questi, per non cadere nella passività sociale. La solidarietà è, comunque, presupposto della pace.

Massimo Giovedi, 24 febbraio 2017

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