La Giustizia è ancora accessibile a tutti?
- Pubblicato in Cronaca & Società
La riflessione dell'avvocato sulle recenti riforme del “gratuito patrocinio”. La rubrica che mi è stata proposta nasce dall'idea di condividere con i lettori l'impatto dei continui cambiamenti involgenti il mondo giudiziario e ciò con il taglio pratico di chi, giorno dopo giorno, vive dall'interno e direttamente le conseguenze delle riforme.
Quelle degli ultimi anni contemplano, tra il resto, numerose norme - sparse qua e là - dalla cui lettura sistematica emerge un manifesto disincentivo a che i cittadini meno abbienti accedano alla giustizia contenziosa. Questa è la inequivoca sensazione di chi abbia dato la disponibilità a patrocinare a favore di persone che non potrebbero permettersi i costi di un legale, scelta che ora si scontra con una obiettiva rigidità nell'ammissione all'istituto ed un considerevole complicarsi delle già lunghe procedure di liquidazione dei compensi da parte dello Stato.
A tale sensazione si affianca quella di estrema confusione su nozione, caratteri e presupposti del patrocinio a spese dello Stato, meglio noto con la più informale denominazione di “gratuito patrocinio”, istituto dai rigidi e rigorosi meccanismi che coniuga istanze di giustizia sociale espresse dal precetto costituzionale di paritario accesso alla giustizia, con un necessario filtro di verifica delle condizioni patrimoniali del richiedente e del suo effettivo bisogno di tutela giudiziaria.
Per meglio orientare sul tema, si sappia che, attraverso esso, i cittadini meno abbienti ed anche gli stranieri con permesso di soggiorno in disagio economico hanno la possibilità di intraprendere azione giudiziaria a tutela dei propri diritti o di difendersi in un giudizio da altri radicato nei loro confronti attraverso legale i cui costi vengono sostenuti dallo Stato. Ciò nei più disparati ambiti, quello civile, quello penale, quello amministrativo e quello tributario, laddove il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente per territorio ritenga la pretesa deducenda in giudizio “non manifestamente infondata” ed appuri la situazione di difficoltà economica dell’istante, comprovata da reddito annuo imponibile, come risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, ad oggi, non superiore ad € 11.369,24. L’indice di ricchezza è quello dell’intero nucleo familiare; eccezionalmente si considera quello del solo richiedente laddove questi presenti situazione di contrasto rispetto al contesto familiare, come accade nella crisi tra coniugi sfociante nella radicazione di separazione personale. Ciò significa che la deroga non opera per l’ex coniuge separato o divorziato privo di reddito o con limitate risorse economiche che sia coinvolto in successiva lite in ordine al mantenimento o all’affidamento dei figli se abbia, frattanto, ricostruito la propria vita personale con instaurazione di convivenza, situazione che spesso viene rappresentata negli studi dei legali e che non può trovare assistenza attraverso l’accesso al meccanismo di tutela qui in esame.
Dunque, l’avvocato che svolge il “gratuito” è altro dal difensore d’ufficio con cui spesso viene confuso. Il difensore d’ufficio è il legale - iscritto a liste tenute dal Consiglio dell’Ordine - che viene immediatamente nominato al soggetto indagato dalla Procura nell’ambito di un procedimento penale, legale che può essere revocato e sostituito con altro scelto fiduciariamente e che, comunque, deve essere pagato direttamente dalla parte, salvo l'eccezionale ipotesi di ammissione di questa al gratuito patrocinio, con conferma dell'incarico al già nominato difensore d'ufficio che sia anche iscritto nelle liste dei patrocinatori a spese dello Stato in campo penale.
L’esercizio di tale forma di difesa non è, infatti, obbligato, ma libera facoltà per i legali. Alcuni vi optano condotti dalla convinzione della funzione sociale e non solo lucrativa della professione. Per altri - soprattutto i giovani, inutile negarlo - è un’occasione di reperire clientela, dribblando l’accesso ad un mondo professionale sempre più chiuso di opportunità per i nuovi ammessi. In ogni caso, è un reciproco tendere la mano o in due situazioni di diverso bisogno o in un’ottica di disponibilità e di apertura, in attuazione dei principi di giustizia sociale ed eguaglianza sostanziale che imperniano la Costituzione, peraltro insiti nelle regole del bene agere.
Si accennava in apertura, però, alle accresciute condizioni che, nel complessivo insieme, rendono l'istituto meno appetibile per i legali. L’avvocato ha diritto al pagamento solo al termine della prestazione professionale, coincidente con la conclusione di un grado di giudizio che, come noto, può richiedere anche parecchi anni. Gli è, dunque, preclusa la consueta richiesta di acconti in corso di causa, situazione che, in tutta evidenza, è di disagio al professionista, se esiste numeroso contenzioso disciplinare sfociato nella sospensione degli avvocati che, in contesto di gratuito patrocinio, abbiano richiesto anticipazioni al cliente. A ciò si aggiunga che l’importo fatturando ora subisce una decurtazione netta del 30% rispetto a quanto sarebbe dovuto in base alle tabelle dei compensi e, poiché ne è pagatore lo Stato, la fattura deve essere predisposta in formato elettronico e ciò richiede la disponibilità di software ad hoc. I tempi di emissione del mandato di pagamento possono richiedere anche 24 mesi ed, attualmente, sono sospesi da alcune Corti d’Appello in attesa che venga chiarito se si applichi anche ai professionisti lo split payment, il nuovo sistema di assolvimento dell’Iva introdotto dalla legge di stabilità 2015 che ne prevede trattenimento alla fonte.
Non si tralasci, infine, che il compenso è limitato alla sola fase giudiziale della lite e non copre il lavoro - spesso ingente - che un diligente legale, di norma, esperisce in via stragiudiziale per tentare conciliazione bonaria. E qui si impone una riflessione che è anche apertura a schiarite in ragione di una possibile nuova lettura dell’istituto.
Come ben si sa, la giustizia ha un costo sempre più elevato: non si parla dei compensi da riconoscere agli avvocati, ma alle spese vive, ossia a quegli esborsi fissi che la legge impone sotto forma di contributi unificati, marche da bollo, notifiche e tasse di registro che, oltre che non proporzionali rispetto al valore della causa, spesso, ormai, sono ragione deterrente al contenzioso. Ma, del resto, l’afflato riformistico di quest’ultimo periodo cerca di spostare la soluzione delle liti in contesti ultronei, alternativi e precedenti la causa con le procedure della mediazione, della negoziazione assistita, dell’arbitrato etc. Se, allora, la giurisprudenza si consolidasse sulle posizioni di apertura proposte dai più recenti pronunciamenti di merito che hanno riconosciuto, ad esempio, l’accesso al gratuito patrocinio anche in procedure di mediazione obbligatoria, significherebbe, forse, riaprire spiragli di interesse per il gratuito patrocinio sia da parte degli avvocati che dei clienti, con l’ulteriore incentivo dei termini più ristretti di definizione della lite e la certezza di godere, in essa, di adeguata assistenza tecnica.
Avv. Giosetta Pianezze