Tracce della scuola che verrà

  • Pubblicato in Cultura

E’ proprio vero che la scuola italiana, fatta di riforme calate dall’alto, è piena di professori scontenti che le (e)seguono come un gregge di pecore, e di studenti “asini” e “infelici”? Sembrerebbe di sì, soprattutto se la si confronta con  alcune esperienze di  altri Paesi,  come si è fatto a Bologna nei giorni scorsi, all’interno del Seminario “Graffiti”, voluto dall’ADi, associazione di docenti e dirigenti.

Innanzitutto, in tali realtà si punta sul benessere degli studenti. La Danimarca appare come il luogo in cui gli studenti si dichiarano più felici. In particolare, nel nuovissimo edificio dell’ Oerestad Gymnasium (Copenhagen), con i suoi spazi aperti, colorati, confortevoli: una vera scuola visionaria in una smart city, senza carta, senza campanelle, ma con una comunità professionale di insegnanti che segue individualmente i ragazzi nei loro piani di studio personalizzati. Certo, si potrebbero rendere felici i ragazzi anche allenandoli, insieme ai loro insegnanti, alla risata, con la respirazione ed  una serie di esercizi. Grazie alle endorfine così liberate, si può migliorare il clima della classe e, quindi l’apprendimento, secondo la filosofia dello yoga della risata.

Il lavoro in team e il project learning sono due altri tratti caratteristici del lavoro scolastico proiettato verso il futuro: a San Diego (California) con le High Tech High Media Arts (istituti privati, ma gratuiti, in cui sono banditi i libri) , nelle quali tecnologie manuali e digitali si abbracciano, seguendo i principi della pedagogia classica di John Dewey; a Berlino nell’ ESBZ, istituto evangelico, che punta sul principio di “responsabilità” per  aprire le menti dei giovani alle sfide del 21° secolo, comprese quelle dell’Agenda 2030 dell’ONU sullo sviluppo sostenibile. In entrambe queste scuole viene  offerta agli studenti la possibilità di scelta fra varie discipline, libertà nell’organizzazione del tempo-scuola e, specialmente, l’ apertura verso la società, grazie ad esperienze e progetti concreti in istituzioni o nel mondo del lavoro.

Insomma, “tutta un’altra scuola”,  come ha affermato Giacomo Stella (Ordinario di Psicologia clinica), perché quella di oggi “ha i giorni contati”, con i suoi docenti attaccati in modo pervicace a  dei “miti” -la scuola di una volta;  il corsivo, le poesie  a memoria e le tabelline; il  latino e la grammatica … -, senza una sufficiente preparazione psico-pedagogica (in ispecie, alle scuole superiori) e senza un necessario contatto costruttivo con le famiglie … “delegate”, insieme ad internet, allo svolgimento dei compiti a casa!

Qualcosa, in realtà, pare muoversi anche in Italia. Due esempi portati a Bologna: uno privato e l’altro pubblico.

La H-International School, di HFarm,  una piattaforma digitale nata nel 2005 come incubatore di start up, offre un progetto di Education digitale, interamente in lingua inglese, dall’infanzia ai Master post Diploma, con due bienni dopo la scuola media e un diploma IBO. La sfida? Sviluppare in Italia un nuovo tessuto sociale ed economico, grazie a dei giovani con solide competenze digitali, preparati ad una mentalità internazionale.

L’Istituto Tosi di Busto Arsizio,  con la sua sperimentazione, propone nel Liceo Economico un percorso quadriennale, dalla forte impronta internazionale e laboratoriale per i 150 ragazzi coinvolti. L’orario è su 5 giorni (come per le altre classi), ma  prevede una diversa organizzazione degli spazi (attività e lezioni in classi-laboratorio aperte e nella  classe virtuale 3.0), dei contenuti (“distillazione” delle materie; compattazione dell’insegnamento in moduli, in alcuni periodi dell’ anno scolastico) del tempo (inizio della scuola una settimana prima e termine una settimana dopo) e, la vera novità, della didattica:  “classe capovolta”, cooperative learning, learnin by doing, peer education, Clil, Certificazioni internazionali, pluridisciplinarità, alternanza scuola-lavoro.

Anche il MIUR con il Piano della Scuola Digitale, lanciato alla fine del 2015,  vuole posizionare l’Italia nel sistema educativo dell’era digitale, con 500 milioni già investiti. La prospettiva di rinnovamento tecnologico  si affianca alla sfida dell’innovazione didattica e organizzativa, che prevede formazione e accompagnamento, grazie anche ad accordi con imprese e fondazioni: ambienti digitali, atelier creativi ( scuole primarie) wifi, biblioteche innovative, curricoli digitali  e formazione di animatori digitali e di docenti (si prevede, infatti, un diverso ruolo degli insegnanti, come  facilitatori, studenti come ‘project manager’, ecc.). Resta però molto da fare e, soprattutto,  ci sono ancora molti ostacoli da superare, come l’organizzazione burocratica e le mille realtà differenti e complesse dei territori.

Attenzione, però: non bastano smartphone e tablet in classe a rinnovare l’istruzione, se non cambia la didattica delle discipline e l’organizzazione della scuola. Per questo l’ADi ha lanciato un SOS (Save our schools): attribuire, per legge, ad una parte delle scuole un’autonomia vera, che coinvolga  curricoli,  tempi scuola, organizzazione e reclutamento dei docenti; creare istituti secondari quadriennali; regolamentare  l’ istruzione professionale, divisa oggi fra Regioni e Stato, scollegata dal mondo del lavoro.

Clara Manca, Cidi, Torino

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