Addio a Rebecca Horn, grande artista del Novecento
- Scritto da Patrizia Lazzarin
Della scultrice, pittrice, regista tedesca Rebecca Horn, molto apprezzata in Italia, tanti ricorderanno le sue installazioni in collezione permanente sia al museo MADRE di Napoli, sia al Castello di Rivoli di Torino. Era nata a Michelstadt, in Germania nel 1944 ed è stata la prima donna a ricevere il Carnegie Prize nel 1989. Fu anche designata Trägerin des Kaiserrings di Goslar nel 1992, prestigioso riconoscimento per le ricerche estetiche. Tra i numerosi premi a lei tributati c’è quello della critica nel 1975 per il film documentario »Esercizi di Berlino in nove pezzi:”Dormire sott’acqua e vedere le cose che accadono in lontananza”, dove il secondo titolo annuncia la dimensione onirica e poetica, a lei congeniale.
Tra gli ultimi premi si può citare Grande médaille des arts plastiques che ricevette dall’Académie d’architecture di Parigi nel 2011. Rebecca Horn è stata una pioniera della body art, femminista e famose sono le sue dichiarazioni sul dolore quali:
“Quando provi dolore, provi anche un’estrema paura. Ma questo può liberarti, darti una visione più ampia di te stessa e del tuo corpo”. Alla stessa stregua degli sciamani che inseriscono il dolore all’interno di una struttura di senso e lo legano alla speranza, potremmo dire che l’atto creativo di Rebecca Horn sul suo corpo adempieva a questa funzione.
Nelle sue prime performance l’artista trasformava il suo corpo in strumento con l’applicazione di estensioni artificiali, moltiplicatori di sensazioni, come in Einhorn del 1971 e Kakadu-Mas ke del 1973. In seguito il suo spirito inventivo ha creato sculture, macchine e congegni che si muovono, interagiscono tra loro invitando lo spettatore a farne parte attraverso stimoli visivi, tattili e sonori.
Di lei ci piace ricordare le capuzzelle di Piazza del Plebiscito a Napoli. Esse raccontano una Storia, la sua narrazione che si costruiva e continua interagendo con gli altri nel creare anche frizioni mentali capaci di sprigionare energia.
Ma riandiamo prima alla Storia.
Per i napoletani la redenzione per una vita “pezzente” può arrivare anche dopo la morte: è questo il profondo significato che la città di Napoli ha dato, nei secoli, al culto dei defunti. Un legame antico unisce questa città all’aldilà e in particolare al Purgatorio, visto come occasione di riscatto e non di dannazione. E se gli americani per Halloween pensano alle zucche, Napoli ha le sue “Capuzzelle”. Cosa fece Rebecca Horn nel 2002 in questa città?
Lei dedicò proprio alle “anime pezzentelle”, i teschi custoditi al Cimitero delle Fontanelle alla Sanità “Spiriti di madreperla”, la grande istallazione che in quell’anno riempì Piazza del Plebiscito di 333 “capuzzelle” in ghisa. L’opera univa all’antico culto della tradizione partenopea il recente lutto per quanto accaduto alle Torri Gemelle l’11 settembre 2001. Il pubblico napoletano reagì in modi diversi alla comparsa dei teschi fra i sanpietrini della Piazza. Ci fu chi li osteggiò, considerandoli di cattivo augurio durante le festività natalizie, chi invece li accarezzava. Altri invece, approfittando della notte, ne avevano trafugato un paio, poi sostituiti.
Patrizia Lazzarin, 24 settembre 2024