di Patrizia Lazzarin

In sintonia con l’elemento mutevole dell’acqua, le opere di Antonello Viola assumono le caratteristiche di un arcipelago intimo e personale che da questo fine settimana fino al 28 settembre, avremo la possibilità di ammirare nelle sale Dom Pérignon di Ca’Pesaro a Venezia, in una rassegna curata da Elisabetta Barisoni.
Un filo sottile, ma palpabile lega la sua ricerca pittorica compresa tra astrazione lirica, indagine e tensione spirituale.
Nelle opere dell’artista prende forma una Venezia mutevole, stratificata e in perenne trasformazione. Le sue creazioni su vetro si ispirano alle terre insulari e all’intera laguna veneziana.
Guardando alla città di Venezia, Viola ne coglie il vibrante rapporto tra luce, cielo e acqua che caratterizza questa città. L’andirivieni di correnti fluide e aeree scandisce il luogo e il tempo di osservazione. Questo fluire è ciò che l’artista ha cercato nelle opere che sono a Ca’ Pesaro: in ogni vetro la pittura assume una dimensione tridimensionale, grazie a lastre posizionate su più livelli e dipinte su entrambi i lati.

Appare dunque una superficie fragile e trasparente su cui il tempo si deposita in forma di velature, cancellature e stratificazioni, riflettendo i mutamenti della luce sull’acqua e suggerendo paesaggi dai confini incerti.
Accanto ai lavori su vetro, la mostra presenta opere su carta giapponese, nate anch’esse da una pratica lenta e meditativa. Antonello Viola lavora per sovrapposizione e sottrazione, costruendo per strati e poi riducendo all’essenziale.
Ne scaturisce una pittura evocatrice, dove le superfici diventano luoghi sospesi e silenziosi, capaci di trattenere e restituire luce, tempo e memoria. Una pratica non oggettiva e spirituale; più che astrazione ci ricorda la “non oggettività” dell’artista russo Malevič e la sua “trasfigurazione nello zero della forma”.
Pigmenti, foglia d’oro, trasparenze e cancellature si intrecciano come tracce in trasformazione, generando immagini interiori, mutevoli e aperte all’interpretazione.
Le tonalità di carne e di terre che emergono in queste carte evocano incarnati e fondamenta, intese non come luoghi di separazione, ma come materia di transito e di permeazione tra il fluido marino e il corpo della città. Le fondamenta – elemento architettonico e urbanistico che argina e ridefinisce la dimensione liquida di Venezia – sono richiamate da linee essenziali che affiorano e si immergono tra le velature pittoriche, come strutture sommerse trattenute dalla memoria del colore.

Tra le incursioni nella mostra veneziana, Viola riprende il dialogo con la pittura simbolista di Giulio Aristide Sartorio (Roma, 1860–1932,), già avviato in occasione della mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
A Ca’ Pesaro il confronto è con le sale adiacenti che accolgono il ciclo monumentale de Il poema della vita umana.
Benché distanti per epoca e linguaggio, in questo grado di separazione Viola e Sartorio condividono una visione dell’arte come esperienza spirituale e la pittura come uno strumento che guarda oltre il visibile, trasformando la materia in veicolo di trascendenza.
Così la mostra L’oro della laguna è al tempo stesso un omaggio alla città e una riflessione sul tempo, sulla pittura e sulla spiritualità. Come le fondamenta veneziane, anche l’opera di Viola è continuamente ridefinita dalla marea della percezione.
La mostra è realizzata con il supporto e la collaborazione di Galleria Alessandro Casciaro.