di Agostino Roncallo
Nell’estate del 1944 avevo sedici anni e la guerra sembrava lontana. Ho negli occhi l’immagine solare delle corse in bicicletta col mio amico Enrico, la bici in verità era una sola e noi stavamo seduti sullo stesso sellino, coi piedi storti per riuscire, entrambi, a pigiare sui pedali. Un giorno incontrammo davanti allo stabilimento mio cugino Lele, architetto come suo padre, simpatico e mattacchione come sempre. Ci invitò nella sua casa di Vogogna. Dai venite, lo zio dov’è? La piscina ci aspetta. Io, che tanto amo l’acqua, non vedevo l’ora di tuffarmi, anche se non ero certa di avere il permesso di allontanarmi da Pieve Vergonte. Erano giorni in cui si iniziava a sentir parlare di partigiani, di feroci rappresaglie, e di retate.
Papà stava uscendo proprio in quel momento dallo stabilimento della Rumianca e Lele altro non doveva fare che ripetergli la richiesta. Inizialmente non vi fu risposta, papà era preoccupato e tentennante. Papà, per favore, ti prego. Poi però, visto che tutto era calmo, disse che sì, andava bene, a condizione che si ritornasse prima dell’imbrunire. Non ce lo facemmo ripetere e partimmo a tutta velocità per godere di quell’inattesa libertà. La piscina era in realtà un laghetto ricavato in uno spuntone di roccia sporgente dal Ronco, questo era il nome della parte di montagna che sovrastava la casa di Lele. Nuotammo, giocammo, prendemmo il sole. La vita, era tutta una promessa. Come altre volte mi divertii anche a guardare la valle dall’alto, i paesi che si stendevano ai miei piedi: qui era lo stradone, la ferrovia, laggiù il fiume, i campi e lo stabilimento. E gli uomini, quei cosi con due gambe che si facevano la guerra, erano piccoli e inermi, da lassù. Come altre volte, per vedere meglio mi sollevai sulle punte dei piedi e abbracciai il pennone su cui, in altri tempi, sventolava la bandiera di casa. A un certo punto vidi entrare in stazione uno strano treno. Tutti, allora, guardarono giù. Ma che razza di treno è? È un treno blindato! – disse Lele. Eravamo curiosi, mai avevamo visto, prima di quel giorno, un treno simile. Come mai si saranno fermati proprio qui? Era meglio, per sicurezza, scendere in casa.
L’inferno, arrivò in un attimo: colpi di mitragliatrice, schegge di pietra che si sollevavano sotto i nostri piedi, il pennone che risuonava, la staccionata che andava in mille pezzi. Poco dopo vedemmo arrivare di corsa zia Maria in compagnia di un milite fascista che gridava: dove sono i partigiani? Il milite era agitatissimo, probabilmente temeva di trovarsi di fronte a un’agguerrita pattuglia.
Quando tornò la calma, i fatti di quel giorno assunsero contorni più precisi: a Beura i partigiani avevano teso un’imboscata a una camionetta carica di fascisti, ammazzandone un paio. Per questo era stato chiamato il treno blindato che erroneamente, invece di proseguire per Beura, si era fermato alla stazione di Vogogna. Ma quali erano stati i motivi di quella sparatoria proprio nel nostro giardino? Le notizie del giorno dopo parlavano di un partigiano ucciso nei pressi del laghetto. Fu Lele a svelarci il mistero. Su per la strada che sale sul Ronco vi erano alcune statue e una di queste aveva accanto un’agave le cui foglie si allungavano davanti al busto: per i fascisti quella statua era un partigiano e le foglie dell’agave il suo mitra. Si trattò di un equivoco grossolano e, per fortuna, nessuno rimase ucciso. Quello, fu il mio battesimo del fuoco. Quel giorno compresi che la vita non era fatta solo di scuola e di vacanze, che esistevano anche la paura e l’odio. Compresi, che la nostra vita è appesa a un filo, il sottile filo di una mira sbagliata o di un’imprudenza.
È successo. Non ricordo come, quando, ma è successo.
11 giugno 2025
2. Continua