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Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Un’altra forma di amore

di Patrizia Lazzarin

Sono passati cento anni dall’incontro tra Antonietta Raphaël e Mario Mafai a Roma nel 1925, dove entrambi frequentavano la scuola Libera di Nudo. Pare che Mafai, come primo gesto di corteggiamento, offrì a Raphaël un mazzolino di fiori chiedendole di dipingerlo ed entusiasmandosi poi per il risultato inaspettato, quasi il segno di un rapporto che prefigura, già dall’origine, una storia di seduzioni reciproche, un intreccio indissolubile tra esperienze artistiche ed esistenziali.

 Oggi, a cinquant’anni dalla scomparsa di Antonietta Raphaël e a sessanta da quella di Mario Mafai, la mostra al Casino dei Principi di Villa Torlonia, “Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Un’altra forma di amore”, propone di attualizzare e soprattutto di far conoscere, in particolare al pubblico più giovane, due tra i protagonisti delle vicende artistiche del Novecento.

Dai tardi anni Venti, dopo la breve e appassionata stagione che li vide, insieme a Scipione, animatori di quella che Roberto Longhi definì la “Scuola di via Cavour”, Mafai e Raphaël seguirono percorsi artistici diversi, a volte intrecciati in analoghe scelte tematiche, ma spesso divergenti nelle modalità immaginative. Una diversità che si riflette anche nelle vicende biografiche.

L’attività espositiva di Mafai nel corso degli anni fu intensa e continuativa e l’artista ebbe sempre una indubbia reputazione e un ruolo importante nell’ambiente culturale della Capitale, mantenendo il suo prestigio anche nel dopoguerra. La serie delle Fantasie, realizzate negli anni del conflitto, furono considerate tra le testimonianze più autentiche e antiretoriche della cultura italiana durante gli anni della dittatura.

Antonietta Raphael – Mario nello studio Omaggio a Mafai, 1966

Molto diversa la vicenda biografica e artistica di Raphaël segnata dall’erranza e dal cosmopolitismo come condizione esistenziale, da interruzioni, da esili coatti dovuti alle leggi razziali, dalla solitudine e dalla discontinuità della pratica artistica pur se sempre al centro della propria vita.

 La valorizzazione della sua opera, il riconoscimento del ruolo che ebbe anche rispetto ai suoi compagni di strada, avverrà parzialmente a partire dagli anni Cinquanta, ma solo negli ultimi decenni la ricerca scientifica sul suo lavoro è stata approfondita anche grazie all’impegno delle figlie, del Centro studi Mafai Raphaël e di scrittori, storici dell’arte, critici e galleristi che hanno catalogato e ricostruito il contesto e il significato della sua opera scultorea e dell’ultima stagione pittorica negli anni Sessanta.

Nelle prime sale del percorso espositivo sono esposti due ritratti nello studio, un tema iconografico ricorrente nella storia della pittura: un Ritratto di Mafai, dipinto da Antonietta Raphaël nel 1928 ed un altro, realizzato da Mario Mafai nel 1934, intitolato Ritratto di Antonietta nello studio.

Antonietta Raphaël – Donna del popolo con bambino, 1956

Come spesso accade, l’immagine dell’artista nello studio ha un valore e un significato simbolico più ampio del solo ritratto. Lo spazio dell’atelier, con gessi, scaffali, drappi, sculture, cavalletti, stracci e pennelli, strumenti del mestiere e oggetti di affezione, sembra alludere ad un mondo intimo dell’artista che esiste dietro le quinte.

Nel dipinto di Raphaël non si vede la terrazza della casa dove entrambi abitavano, all’ultimo piano del palazzo di via Cavour, né il profilo dei tetti di Roma e neanche gli archi del Colosseo e le fronde degli alberi sul Palatino. Eppure quella terrazza era l’unico spazio ampio dell’appartamento dove incontrare gli amici e lavorare nelle belle giornate: su quello straordinario affaccio si allestivano vasi, fiori e stoffe per dipingere le nature morte e apparivano le visioni della città immerse in tramonti tenebrosi e infuocati costellati dagli accenti architettonici del paesaggio che animavano le tele di quegli anni.

Guardando le opere esposte in questa mostra, leggendo i testi raccolti nel catalogo dedicati agli artisti e il carteggio tra Mafai e Raphaël, così vivido e drammatico, è possibile ripercorrere la loro storia anche nel più ampio contesto delle vicende artistiche dell’arte italiana del Novecento; eppure i due ritratti nello studio ci raccontano anche altro che, con la consapevolezza oggi acquisita, fa emergere il significato sotteso di queste due opere così apparentemente intime nella loro reciprocità artistica ed affettiva.

Il lavoro per Raphaël aveva sempre avuto l’assolutezza di un atto religioso, esclusivo seppur sofferto, per Mafai è stato costantemente un percorso segnato dall’inquietudine e dalle contraddizioni. Mentre importanti riconoscimenti e ampi consensi hanno segnato la biografia artistica di Mafai, quella di Raphaël, donna, straniera e di origine ebraiche, ha scontato gli effetti della differenza di genere nel mondo dell’arte come in diversi altri campi. Si trattava di condizioni di squilibrio esplicito che si riverberavano non solo nelle difficoltà del riconoscimento sociale ma anche, con grande evidenza, nelle dinamiche del rapporto amoroso.

Mario Mafai – Lezioni di piano, 1934

Basta rileggere alcuni brani dei loro scambi epistolari per evidenziare un conflitto alla fine insolubile tra la libera affermazione di una donna artista e la storia sentimentale: «È difficile vivere insieme per due artisti» – scrive lei nel 1939 – e Mario confessa a sua volta «Non vorrei che Antonietta mi passasse avanti. Io davanti a certe sue opere ho sentito spesso un senso di inferiorità».

Non è un caso quindi che Mafai cerchi consapevolmente di ricomporre l’infranto quando nel 1942 scrisse: «Abbiamo passato 18 anni insieme e abbiamo veduto crescere le nostre figlie intelligenti e sane. Il destino è stato buono con me. Ci amiamo ancora molto. Soltanto la nostra natura artistica è stata sempre gelosa di un tesoro di cui sentivamo la responsabilità di non poter distruggere e non ha voluto l’annullamento di uno di noi come esige una certa specie di amore. Quando tu mi dici che non puoi amare di più che il tuo lavoro, io ne potrei essere geloso, ma ti capisco e allora si è formata un’altra forma di amore che è piena di armonia venata di sottili nostalgie, e che ha qualche cosa di sublime» (Lettera di Mario ad Antonietta, 1942).

L’esposizione, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è ideata dal Centro Studi Mafai Raphaël e curata da Valerio Rivosecchi e da Serena De Dominicis, con l’organizzazione e i servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

La mostra racconta una vicenda insieme artistica, intellettuale e sentimentale, basata sulle differenze ma anche su una trama sottile di scambi, idee e passioni comuni, in grado di trasformare in poesia ogni evento della realtà vissuta.

Il percorso espositivo comprende opere pittoriche e scultoree provenienti, oltre che dalle collezioni della Sovrintendenza Capitolina, anche dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, dai Musei Civici Fiorentini, dalle collezioni d’arte della Camera dei Deputati e della Banca d’Italia, da numerose collezioni private e dalle collezioni degli eredi dei due artisti, con la presenza anche di una rara e selezionata documentazione originale formata da lettere, disegni, fotografie, provenienti dagli archivi di famiglia, dal Centro Studi Mafai Raphaël, dal Gabinetto Vieusseux di Firenze e dall’Archivio della Scuola Romana di Sovrintendenza.

Mario Mafai – Autoritratto, 1928

Le oltre cento opere presentate – di cui alcune inedite e altre raramente esposte – si snodano sui due piani del Casino dei Principi, lungo un percorso scandito in sette sezioni tematiche per offrire una panoramica sull’opera di entrambi gli artisti e un confronto ad evidenziarne le feconde differenze.

La mostra è accompagnata dal catalogo edito da De Luca Editori d’Arte.

4 giugno 2025

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