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Passioni. 7

di Agostino Roncallo

Una volta giunto nella “ville lumière”, non fu difficile per Giacomo trovare il lavoro che desiderava: fu assunto dalla ditta Frigerio di Frouard, presso Nancy, e impegnato nella ricostruzione del villaggio di Nomeny. Si trattava di zone devastate dalla guerra e, quando nel 1918 era cominciata la ricostruzione, le imprese avevano bisogno di assumere operai, soprattutto nel campo edile. Finalmente era muratore. In quel periodo soggiornò a Thézey St. Martin, un villaggio che nel periodo bellico era anche un avamposto francese in terra nemica. La prima volta che percorse la strada che portava a Thézey non riusciva a darsi ragione del motivo per cui il tracciato aveva continue, e inutili, curve a gomito. Quale mente alterata aveva potuto concepire un simile percorso? Non poteva immaginare che quello, negli anni della guerra, era un modo per confondere l’artiglieria nemica ed evitare così di offrire un bersaglio troppo facile, da colpire.

In una cartolina d’epoca, il villaggio appare affondato nella vegetazione e, sulla strada antistante la piazza da cui è stata scattata la fotografia, un bambino osserva. Chi era? Apparteneva forse alla famiglia Thiébaut? O a quella degli Antino? Erano questi i nomi delle famiglie presso le quali Giacomo aveva soggiornato. Gli Antino avevano un caffè proprio sulla piazza, egli ci andava spesso e Marguerite, la proprietaria, lo trattava come fosse uno di casa. Era simpatico a tutti, Giacomo. Ma la persona a lui più affezionata era Elise Thiébaut che nelle lettere si firmava “Elisa” perché così amava chiamarla, italianizzandone il nome. Elisa, qu’est que tu fait, aujourd’hui! Nei periodo in cui era a Parigi, lei gli scriveva spesso: «Jacques, papà dice che non dovresti farti crescere quei baffetti, stai meglio senza. Sai che qui abbiamo comprato una nuova cucina? Così, se verrai per Natale, potrai scaldarti le gambe. Per l’occasione ammazzeremo anche il maiale. Io sto bene, in casa c’è tanto da fare ma, una volta alla settimana, vado ad aiutare anche gli Antino».

Ma in quei luoghi, se ne intuiscono le ragioni, tornava sempre più raramente, la città era attrazione e nello stesso tempo euforia: euforico era recarsi ai Grands Magazins, il Bon Marché per esempio, oppure ai Cafès-Concerts, dove le barriere di classe erano abbattute dai costi accessibili.

“In una cartolina d’epoca, il villaggio appare affondato nella vegetazione e, sulla strada antistante la piazza da cui è stata scattata la fotografia, un bambino osserva. Chi era? Apparteneva forse alla famiglia Thiébaut? O a quella degli Antino?”

“Una fotografia ci mostra Giacomo insieme a una ragazza a bordo di uno dei primi monoplani Blériot. Ma è solo un trucco, da parco dei divertimenti: i loro sguardi non sono gioiosi, lui abbozza un leggero sorriso, lei appare preoccupata.”

Frequentando il “Chat Noir” finiva per trovarsi, lui operaio, allo stesso tavolo di ricchi borghesi, e ne aveva una sensazione di vertigine: sono qui, pensava, in un mondo sognante e tante volte sognato, e questa musica, queste parole, mi rapiscono, mi portano via. Le parole erano ad esempio quelle di Charlys, erano dolci e bruttissimi versi che parlavano di amori e di abbandoni:

Quand on s’aime bien tous les deux
La vie semble plus jolie
Toutes les peines s’oublient
Dans un doux baiser d’amoureux
Sur la terre pour être heureux
Il suffit de peu de choses
On oublie les jours moroses
Quand on s’aime bien tous les deux

31 maggio 2025

7. Continua

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