Il racconto della montagna nella pittura fra '800 e '900

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I nostri occhi colgono il fascino della montagna e della sua  natura: campi  innevati, piccoli ponti che uniscono lembi di terra scura nella luce della neve che produce sfavillii, e mentre la materia sembra sfaldarsi ammiriamo rocce  che si tingono di rosso e di viola, grazie al fenomeno dell’enrosadira che si distende sulle pareti delle nostre Dolomiti.  Fra le pietre si trovano case solitarie che suggeriscono emozioni raccolte, storie di vita di chi quei monti ha dipinto, scalato, attraversato per necessità e per bisogno, e forte la gioia che cime e valli alpine regalano, ad ogni persona che vi si reca, avida di scoperte e di bellezza. Se il fin del poeta è la meraviglia, come suggeriva il  poeta Giovan Battista Marino nel Seicento,  sicuramente le immagini ed i documenti della I nostri occhi colgono il fascino della montagna e della sua  natura: campi  innevati, piccoli ponti che uniscono lembi di terra scura nella luce della neve che produce sfavillii, e mentre la materia sembra sfaldarsi ammiriamo rocce  che si tingono di rosso e di viola, grazie al fenomeno dell’enrosadira che si distende sulle pareti delle nostre Dolomiti.  Fra le pietre si trovano case solitarie che suggeriscono emozioni raccolte, storie di vita di chi quei monti ha dipinto, scalato, attraversato per necessità e per bisogno, e forte la gioia che cime e valli alpine regalano, ad ogni persona che vi si reca, avida di scoperte e di bellezza. Se il fin del poeta è la meraviglia, come suggeriva il  poeta Giovan Battista Marino nel Seicento,  sicuramente le immagini ed i documenti della mostra IL RACCONTO DELLA MONTAGNA nella pittura fra Ottocento e Novecento, che si è aperta a fine giugno a Palazzo Sarcinelli, nella elegante città di Conegliano, è una freccia che  ha raggiunto la sua destinazione. La rassegna, che sarà visitabile fino all’otto dicembre ed ha la  curatela  di Giandomenico Romanelli e di Franca Lugato, sembra  creata apposta  per Conegliano. Sono proprio le tesi sostenute dal sindaco del Comune, Fabio Chies e dall’assessore alla Cultura Gaia Maschio che sembra giusto citare per comprendere alcuni dei significati essenziali dell’iniziativa: i progetti espositivi, elaborati con Civita Tre Venezie, si contraddistinguono per la loro unicità: partono dalla città di Conegliano per arrivare ad una riflessione più ampia sul valore artistico e culturale del territorio. Per il 2020 l’argomento non poteva non essere la montagna: Conegliano, con il suo strategico posizionamento, al centro delle colline del prosecco e sentinella delle Dolomiti, anticipa, con una grande mostra dedicata, importanti eventi sportivi quali le Olimpiadi invernali del 2026. La mostra è il terzo appuntamento del ciclo dedicato al paesaggio nella pittura veneta tra XIX e XX secolo a Palazzo Sarcinelli: paesaggio come forma che individua uno spazio specifico e caratteristico  e luogo che narra … fatti misconosciuti, scomparsi quasi dal flusso della storia. Uno di questi racconti  poco noti,  è sicuramente la vicenda biografica della trevigiana Irene Pigatti che nella Gazzetta di Treviso del 21–22 agosto 1886, veniva salutata come la pioniera delle nostre Dolomiti. Prima italiana, dopo la contessina francese Henriette d’Angeville e una cameriera di Chamonix,  Marie Paradis, ad inerpicarsi lungo le pareti dolomitiche e a raggiungere quelle  cime che dividono dalla terra il cielo, che sembra diventare quasi la meta più vicina. Per valutare i meriti di queste prime alpiniste, come racconta Franca Lugato nel catalogo edito da Marsilio, è doveroso ricordare quell’ingombrante abbigliamento fatto di crinoline e di cappellini che la moda e le consuetudini del tempo sembravano indicare come l’abbigliamento adeguato per una donna, anche durante le scalate. Pioniere in gonnella a cui dovrebbe andare un doppio plauso per la loro determinazione e costanza. Lungo le sale della mostra vediamo come la montagna viene vista ed interpretata nelle opere di pittori famosi come Edward Theodore Compton, Guglielmo Ciardi, Giovanni Salviati, Francesco Sartorelli, Traiano Chitarin, Teodoro Wolf Ferrari e nei quadri di artisti meno conosciuti. La lettura può tradursi in immagini reali e naturalistiche oppure simboliche ed intime, rivelatrici di un diverso sentire la natura, capaci anche di restituirci brani di luoghi modificati oggi dall’uomo o  dal trascorrere del tempo. Dalla seconda metà dell’Ottocento cresce la passione di ritrarre la montagna fino a cercarne le profondità come nelle tele con le Grotte di San Canziano del pittore Ugo Flumian, che prende ispirazione dalle foto del suo amico speleologo Eugenio Boegan, per dipingere quel groviglio di gallerie arricchite di stalagmiti e stalattiti, prodotte dallo scavo del fiume Timavo nel sottosuolo. Le Dolomiti friulane dipinte dall’alpinista e acquarellista Napoleone Cozzi sonola testimonianza di un legame intenso fra arte e vita  e, al di la delle Alpi Carniche , in Slovenia e Croazia, incontriamo ancora  grandi interpreti  come  Gabrijel Jurkić che ha dipinto  la montagna lungo le stagioni dell’anno  con effetti che rivelano una grande sensibilità pittorica. Decisamente insuperata la serie di manifesti dell’austro-italiano Franz Lenhart, spiega nel catalogo Giandomenico Romanelli, molti dei quali dedicati alle Dolomiti e a Cortina. Perfetti nel taglio modernista, nella tipizzazione dei personaggi, nell’essenzialità decorativa dei paesaggi, nell’antinaturalismo e nella vivacissima gamma cromatica, i manifesti di Lenhart realizzati in un cinquantennio di attività sono un corpus davvero eccezionale sia per la montagna estiva che per quella invernale. Essi introducono ad una montagna giovane, ricca, felice, sana, dinamica, piena di donnine bellissime e di affascinanti atletici sciatori. La montagna è  considerata invece da un punto di vista scientifico nel libro: Bel Paese dell’abate, geologo e paleontologo Antonio Stoppani, edito nel 1876. Impostato come una sorta di racconto in sette serate per i nipotini, il testo dell’abate ebbe una buona funzione didattica. Egli  sicuramente svolse un ruolo importante nel promuovere l’alpinismo, il Club Alpino Italiano e nel far conoscere l’orografia del Bel Paese. Il Club Alpino Italiano fu  fondato nel 1863 dall’allora ministro delle Finanze ed alpinista Quintino Sella e nel libro si valorizza la sua  funzione di tutela del territorio.  Come  Stoppani altri svolsero un ruolo attivo nella promozione dell’ambiente montano, come il geografo, cartografo ed eroe Cesare Battisti, impiccato dagli austriaci per alto tradimento oppure il trevigiano Giuseppe Mazzotti che nel libro La Montagna presa in giro vaticinò un turismo più attento alla mondanità che alla identità dei luoghi, quasi riecheggiando in questo la commedia Le smanie per la  villeggiatura del veneziano Carlo Goldoni.

Patrizia Lazzarin, 30 giugno 2020

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L’Angelo degli Artisti

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L’arte del Novecento e il ristorante All’Angelo a Venezia. Un pezzo  di storia veneziana sommersa in parte, dallo scorrere del  tempo, è riemersa a dicembre sul palcoscenico della vita  e diventa piacevole  rivivere  l’atmosfera di un luogo quasi magico, dove e quando  la buona cucina si mescolava alle discussioni sull’arte, con gli effetti di  un’alchimia preziosa. Erano  uno spazio e un tempo in cui  gli artisti pranzavano e cenavano in osteria permutando la consumazione con  un disegno, tracciato, a volte, in pochi minuti. Siamo negli anni che seguono la  seconda guerra mondiale e lo spazio è quel ristorante All’Angelo, poco distante da piazza San Marco a Venezia. Sembra di sentire nell’aria, ancora mescolata con la polvere degli spari, quella voglia di cambiamento e quel senso di fratellanza che animavano le persone. Si ritrovavano per far arte, discutere e credere nel potere di modificare il mondo, attraverso il mestiere dell’artista e,  provavano ad inventare una Storia felice perché si pensava fosse realmente possibile. La mostra che possiamo vedere nelle sale della Fondazione Querini Stampalia fino al 1 marzo 2020, è ispirata alla mission dell’Istituzione veneziana che vuole favorire il sapere e la conoscenza e rientra nel programma di celebrazioni per i 150 anni  dalla sua nascita. La rassegna intitolata L’Angelo degli Artisti. L’arte del Novecento e il ristorante All’Angelo a Venezia ha la curatela degli storici dell’arte Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin.  Essa si è realizzata soprattutto   grazie alla  volontà di Luciano Zerbinati di ritrovare e riacquistare  nel mercato, il patrimonio di quadri e disegni che riempivano le basse sale dell’osteria All’Angelo, che per differenti ragioni era andato disperso, e quindi di riunirlo,   in un percorso che raccontasse la vitalità di un’epoca, le sue passioni, quelle  dei suoi proprietari, i signori Carrain,  e degli artisti che ne erano i principali protagonisti. Lì al ristorante All’Angelo, che apre nel 1928 nell’omonima stretta calle, avvengono dei  fatti che definiscono la fisionomia di un tempo: il 29 settembre del 1946, in un clima di festa, si inaugurano i tre trittici a olio su tela di Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso e Armando Pizzinato, commissionati con grande sensibilità da Renato Carrain, figlio di quell’Augusto e di  Antonietta che avevano aperto il locale nella seconda metà degli anni Venti. Essi narrano della nascita di  Venezia e delle sue feste, dei suoi costumi e di quello che la caratterizza.  Due giorni dopo a Palazzo Volpi, sempre a Venezia, venne sottoscritto il manifesto del Fronte Nuovo delle Arti che, in prima battuta, con un nome assai simbolico era stato chiamato Nuova Secessione artistica italiana.   Simboleggiava infatti, una nuova dichiarazione d’intenti dopo il movimento artistico di Novecento di Margherita Sarfatti,  ed univa gli artisti più rappresentativi del panorama italiano che chiedevano fiducia nel loro lavoro. Quel gruppo si scioglierà nel 1950, ma ne fecero parte: Pizzinato, Vedova, Santomaso, Renato Guttuso, Renato Birolli, Giulio Turcato, Antonio Corpora, Alberto Viani, Leoncillo Leonardi, Pietro Franchini, Ennio Morlotti e Pericle Fazzini, il meglio della nuova generazione nell’Italia della Liberazione e dell’impegno etico, politico, sociale e, naturalmente artistico,  ha scritto lo storico Romanelli nel catalogo edito da Lineadacqua. La cosa bella è che, attraverso il percorso dell’esposizione, fra i documenti e le opere appese alle pareti, comprendiamo come il mondo dell’arte che noi associamo ai musei, alle gallerie o alle collezioni private, possa crescere e svilupparsi in contesti molto diversi. Questa mostra e, le successive su questo argomento, si propongono di mostrare un tipo di collezionismo che ha avuto come artefici ristoratori ed osti che, grazie alla loro genialità e a quella dei critici d’arte che li affiancavano, come Giuseppe Marchiori con Renato Carrain, hanno favorito un clima culturale vivace. La Venezia del dopoguerra possiamo raccoglierla, interpretarla e restituirla oggi, nel suo colore che la rende magica, grazie anche a questi ambienti, dove il cibo e il vino, scelti con cura, rappresentavano un momento di convivialità, apprezzato  da artisti, letterati, sportivi e politici. Era un modo di stare insieme che caratterizzava quell’epoca. Nel 1946 è ospite spesso All’Angelo anche Peggy Guggenheim che, assieme a Vittorio, il secondo figlio di Augusto, girerà l’Italia in cerca d’artisti. Negli spazi di Villa Morosini, che ha collaborato al progetto della mostra, a Polesella, è stato ricreato il salottino rosso che veniva destinato a Peggy, in quel ristorante che Antonietta dal 1928 e per lunghi anni aveva diretto con grandi capacità manageriali. La mostra riunisce, dopo tanta fatica e molti sforzi, due dei tre trittici, quelli di Pizzinato e Vedova, e permette quindi di ricostruire uno dei luoghi  simbolo del fervido dibattito intellettuale sull’arte, in quella Venezia che aveva visto nel ’48 la riapertura della Biennale e il ritorno massiccio degli artisti che si ritrovavano a tavola, nei locali della città lagunare, dove nascevano sempre nuovi concorsi, come quello dell’isola di Burano. Il sei giugno del 1948, nelle sale trentanove e quaranta del Padiglione Centrale della Biennale, venne ospitata la Mostra del Fronte Nuovo delle Arti.  Tante foto documentano, ora, sulle pareti della Fondazione Querini Stampalia, i sorrisi, le strette di mano, gli sguardi rivelatori, le intese, le titubanze, i momenti di socialità e le figure o i nomi importanti del jet set nazionale ed internazionale di quel periodo storico. I tre trittici sono pietre miliari del percorso dell’arte contemporanea  e rivelano i percorsi di ricerca originali di tre artisti prima di dividersi. Accanto ad essi disegni e dipinti di Guttuso, di Mario Sironi, Ennio Morlotti, Mario Deluigi, Felice Casorati, Ida Barbarigo, Zoran Music, Filippo De Pisis e di  tanti altri pittori e scultori che sono passati All’Angelo, e che  testimoniano accanto al loro valore artistico, il gusto per l’arte della famiglia Carrain.

Patrizia Lazzarin, 20 dicembre 2019

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